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La tassazione reale è la regina del prelievo sui ricchi

La seguente è una nota, tradotta, che fa parte di un mio recentissimo articolo, dal titolo Mirrlees’ and De Viti’s Fiscal Systems, di prossima pubblicazione sulla Rivista di diritto tributario e scienza delle finanze: “Un esempio è costituito dall’attuale tassazione del risparmio in Italia. Consideriamo le società di capitali, gli immobili, e i risparmi finanziari. Tutte queste componenti hanno un prelievo che è essenzialmente reale. Per le società di capitali c’è l’Ires dalla riforma tributaria del 1973, alla quale è stata aggiunta nel 1997 l’Irap, di nuovo una tassazione reale. C’è l’Imu per gli immobili, introdotta originariamente nel 1992 con il nome di Ici. C’è infine il prelievo sui depositi bancari, che è reale sin dalla riforma tributaria del 1973. 

Soltanto nel 1996, attraverso il decreto 239, è stata introdotta la tassazione personale sui titoli pubblici e sulle obbligazioni private, sia pure ad aliquota proporzionale per i residenti italiani, generandosi con ciò un enorme incremento nei titoli di Stato posseduti dai non residenti. Questi sono infatti cresciuti da circa il 5% agli inizi degli anni novanta al 50% circa all’inizio degli anni duemila. Il relativo grafico è riportato nell’articolo di Ricotti e Sanelli, Banca d’Italia, 2006, p.427 e p.431 (nel frattempo Ricotti è diventato Direttore del dipartimento tributario della Banca, n.d.r.).

 L’elevata quota di titoli di Stato in mano ai non residenti è stata la principale causa della crisi dello spread nel 2011. Negli anni recenti la quota è caduta dal 50% al 30% circa, ma questa percentuale rappresenta tuttora un pericolo riguardo al problema dello spread. La doppia tassazione dei capital gain delle imprese, di nuovo proporzionale, fu introdotta molto tardi, negli anni novanta, e genera un gettito molto piccolo. 

La base Irpef sugli immobili è decrescente, secondo i dati del Dipartimento delle finanze, essendo passata da circa 35.000 euro negli anni 2007-2009 a circa 27.000 euro in anni recenti. La base personale e internazionale dell’Irpef grava dunque esplicitamente sul lavoro, in particolare quello dipendente, che sostiene l’intero sistema fiscale, essendo drammaticamente cresciuta. La circostanza che i migranti residenti dovrebbero pagare sui depositi e sugli immobili detenuti nel loro paese di origine è irrilevante agli occhi degli osservatori, che tuttavia spesso si immischiano sulle questioni dei migranti. Il trend del prelievo, a parte l’enorme incremento sui lavoratori dipendenti, registra un declino sulla tassazione personale dei risparmi e sull’Ires come imposta reale (essendo questa soggetta alla concorrenza internazionale), e registra invece un enorme incremento sulla tassazione reale dei risparmi differenti dall’Ires. I maggiori esperti di finanza pubblica, nazionali e internazionali, a parte qualche richiamo sull’evasione del lavoro autonomo, approvano la sostanza di questo prelievo, che ha più o meno le stesse caratteristiche in molti paesi oltre all’Italia”. 

 

Il resto di questo articolo è dedicato a decifrare questa nota. Partiamo dalla ricchezza, facendo riferimento al suo valore in Italia, approssimativamente uguale a 10.000 miliardi (Banca d’Italia), ed arrivando alla sua tassazione. Questa riguarda in maniera approssimativa o il suo valore (ciò riguardo agli immobili – l’Imu è un’imposta sul valore degli immobili, sia delle famiglie che delle imprese), o i suoi redditi, nel caso del patrimonio delle imprese e finanziario. A parte il patrimonio delle imprese, il cui valore reale è all’incirca pari a 100 miliardi, gli immobili rappresentano grossomodo il 60% dei 10.000 miliardi, mentre il patrimonio finanziario è all’incirca il 40% dei 10.000 miliardi. Gli ultimi dati sono attorno al 2015, anno in cui in realtà il totale è superiore a 10.000 miliardi. Quindi le stime vanno ritenute prudenziali. 

C’è da dire in primo luogo che buona parte della tassazione è doppia, nel senso che è sia personale che reale. La tassazione reale riguarda tutto il patrimonio, eccetto i titoli pubblici e le obbligazioni private, per cui vale il principio che ad essere applicata è l’aliquota del paese di chi possiede tali titoli. Ad essa in casi rilevanti si aggiunge la tassazione personale. Così è per gli immobili, eccetto le prime case (la tassazione è personale, nel senso che chiariremo subito: non importa se è progressiva o è proporzionale). Così è per le imprese, che sono così colpite: le società di capitali da due imposte reali (l’Ires e l’Irap); le altre imprese dall’Irpef e dall’Irap; tutte quante da un’imposta sui capital gain, che è personale e proporzionale. L’intrico del quadro nulla toglie al fatto che i redditi dai lavoro dipendente e da lavoro autonomo siano colpiti dall’Irpef (quelli di lavoro autonomo anche dall’Irap e spesso dall’Imu), con imposte divenute quantitativamente assai elevate. 

 

Un primo chiarimento riguarda la distinzione tra imposte reali e personali. La distinzione non riguarda la progressività delle aliquote (abbiamo visto che le imposte personali riguardanti il patrimonio sono tutte proporzionali) ma la base imponibile. 1) Se l’imposta è personale, il gettito si forma sulla base della proprietà delle persone: dunque se un cespite è in mani estere il gettito va all’estero. Sono molti i casi di estero-vestizione, cioè di patrimonio in realtà nazionale, che si presenta tuttavia in mani estere. 2) Se l’imposta è reale, il gettito dipende interamente dal cespite: se il cespite è nazionale, il gettito è interamente nazionale. Il secondo chiarimento riguarda la questione del gettito. Trasformiamo a questo fine il patrimonio in reddito, per favorire la comparazione, applicando poi le relative aliquote. La distinzione di fondo riguarda: a) gli immobili, la porzione maggiore della ricchezza. Qui va fatta una distinzione tra immobili in proprietà, pressoché esenti salvo le seconde case, e le seconde case e gli immobili in affitto (percentuale assai elevata, pensando a negozi, bar, alberghi, pensioni). Se poniamo per gli immobili in affitto una percentuale pari a un terzo del totale (cioè pari a 2.000 miliardi) e applichiamo un saggio di rendimento del 10% (200 miliardi), applicando le imposte già viste (essenzialmente Irpef, Irap e Imu), dovremmo avere grosso modo 100 miliardi di gettito; b) le imprese, su cui il reddito supera sicuramente il patrimonio reale. Poniamolo a 150 miliardi, cui, applicando la congerie di imposte viste (essenzialmente Ires, Irap, capital gain, Imu), con un tasso minimo di imposizione pari al 50%, il gettito corrispondente è di 75 miliardi; c) restano le attività finanziarie, pari a 4.000 miliardi. Anche ammettendo che, per la caduta dei loro redditi, l’imponibile fiscale è divenuto assai basso, con un’aliquota media sul 20% un gettito di 25 miliardi è il minimo che ci si possa aspettare.  

 

Abbiamo stimato, in maniera prudenziale, il gettito atteso dai redditi della ricchezza in 200 miliardi. A fronte, in base ai dati del Dipartimento delle finanze, si può grossomodo stimare un gettito effettivo attorno a 100 miliardi di euro. Dunque grosso modo mancano alla raccolta 100 miliardi di euro, in un quadro estremamente intricato. Si possono svolgere molte considerazioni, quali la ridicolaggine della proposta di un’imposta progressiva sul patrimonio personale, oppure l’inconsistenza della lotta all’evasione del lavoro autonomo, l’unico che, oltre a condividere l’Irpef con il lavoro dipendente, è gravato da altre pesanti imposte. 

Assai più seriamente, noi proponiamo il ritorno all’impostazione tributaria vigente fino ai primi anni settanta, anzi il suo rafforzamento. Tale imposizione era reale, nella sua interezza. Nessun problema riguarda la progressività, dato che si può introdurre una certa progressività sui contributi sociali, che sono a carattere nazionale (e sono già progressivi, in taluni casi). Si può affinare la progressività dell’Iva. Infine va notato che l’imposizione reale può discriminare in base alle aliquote (piccole imprese, prima casa), rendendo possibile di fatto la progressività. Nessun problema anche per quanto riguarda l’evasione, in quanto basta controllare quella sull’Iva, in base ad indicatori specifici sulle vendite al consumo, su basi territoriali regionali e settoriali, con il contenimento dell’evasione sull’Irpef che segue in automatico. 

L’imposizione reale porrebbe finalmente sotto controllo la massa dei redditi a base patrimoniale, che verrebbe interessata una sola volta, nella sua interezza, a carattere nazionale. I profitti e i capital gain verrebbero colpiti a livello di impresa, che li genera; gli interessi verrebbero tutti anticipati dalle imprese, pur riguardando i percettori, nella base nazionale; i redditi da lavoro dipendente ed autonomo verrebbero individuati come massa e colpiti; i redditi degli immobili, infine, verrebbero ricondotti ad una tassazione unica, salvo le agevolazioni sulle prime case. 

Al sindacato conviene riflettere se adottare tale prospettiva, già collaudata, avendo una visione globale del fisco. Oppure se continuare nella situazione attuale, gridando a vuoto contro l’evasione, contro il lavoro autonomo, senza vedere che la parte del fisco che riguarda i ricchi, cioè il patrimonio, è proporzionale, reale, e fortemente elusa ed evasa, specie nella sua parte personale.  

  

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