“Senza la pretesa di compiere un’analisi esaustiva né di prendere in considerazione tutti gli aspetti della realtà che viviamo, propongo soltanto di porre attenzione ad alcune tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale”. “Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti una aspirazione mondiale alla fraternità”.
Questo esordio, paragrafi 9 e 8 dell’Enciclica, suggerisce la postura necessaria a qualunque “persona di buona volontà” per comprendere “il tempo che ci è dato vivere”, poiché “la volontà di sapere” non basta a “comprendere” se manca “l’aspirazione alla fraternità”. A cos’altro dovrebbe servire l’esercizio dell’intelligenza – le arti, la scienza, il lavoro, la politica, la filosofia – se non ad addestrarci al riconoscimento reciproco della nostra comune umanità?
E’ dai tempi del Concilio Vaticano Secondo che, da non credente educato tuttavia a leggere le Encicliche papali, vi ritrovo un pensiero insostituibile per la funzione etico-civile dell’ “educatore” e questo non è per caso, poiché se la Chiesa cattolica si “globalizza” in nome della fraternità fra gli uomini e tra i popoli, non si può dire altrettanto del modo in cui si globalizzano la politica, l’economia e la cultura.
Negli anni Novanta del secolo passato, il mondo “globale e interdipendente”, anche se gravemente infragilito dall’incipiente “Terza guerra mondiale a pezzetti”, ci aveva consentito di comprendere la fallacia di una modernità fondata sull’antitesi tra scienza e fede: mi riferisco all’esemplare dialogo tra Jùrgen Habermas e l’allora Cardinale Ratzinger.
Quasi trent’anni dopo – senza poter fare qui nemmeno un accenno al modo in cui si è evoluta la dottrina della Chiesa – il senso della storia condensato in questa Enciclica di Papa Francesco raggiunge una capacità di dire la verità sulla condizione umana nel nostro tempo molto più illuminante di quelle che si ritrovano nelle narrazioni secolari, variamente implicate in una “Terza guerra mondiale a pezzi” che fa tornare di attualità lo spettro dell’olocausto nucleare.
In questo breve spazio, richiamo l’attenzione solo su pochi punti dell’Enciclica: l’allarme per la “fine della coscienza storica”, la denuncia della “decostruzione” di concetti fondamentali perché intrisi di trascendenza come il concetto di “popolo”, il nesso fra la crisi dell’Occidente e la crisi della democrazia.
“Un modo efficace di dissolvere la coscienza storica, il pensiero critico, l’impegno per la giustizia e i percorsi di integrazione, scrive Francesco, è quello di svuotare di senso e alterare le grandi parole. Che cosa significano oggi alcune espressioni come democrazia, libertà, giustizia, unità? Sono state manipolate e deformate per utilizzarle come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione”.
E il risultato più vistoso di tale manipolazione, osserva più avanti l’Enciclica, e il diffondersi del convincimento che ciò che fa la libertà degli individui e la possibilità di trasformare qualunque desiderio, interesse o pulsione che gli si presenti in un diritto individuale da rivendicare contro la comunità e senza alcun senso del limite. Ma se questa è la condizione umana che favorisce la crisi e la manipolazione della democrazia non si pone, forse, il problema di ripensare il paradigma utilitaristico su cui è stata costruita la democrazia dei moderni?
La narrazione su cui si regge, quella della sovranità popolare, configura in ogni cittadino un io-legislatore che però, quando esercita la sua potestà, non è tenuto a interrogarsi sulle ricadute delle sue decisioni sull’insieme della comunità, locale, nazionale o globale che sia, poiché gli si richiede di calcolare costi e benefici delle sue scelte soltanto per sé e quando va bene anche per la sua famiglia e al massimo per la sua fazione.
So bene quali implicazioni abbia il problema che sollevo e non voglio provare neppure ad accennarvi. Mi limito a concludere che per questo loro ischeletrimento, le democrazie liberali hanno cominciato ormai da tempo a degenerare in democrazie plebiscitarie e autoritarie. Il paradigma utilitaristico è il brodo di cultura della politica demagogica e della sua rappresentazione “agonistica” da parte dei media. Il ritorno della guerra non si può più attribuire, se non con manipolazioni estreme a minacce e nemici esterni: è la deriva della democrazia utilitaristica che semina l’inimicizia fra i cittadini e genera guerre fra i paesi democratici prima ancora che contro quelli che non lo sono.
L’Occidente è fratturato da guerre di ogni genere al suo interno. Come possiamo pensare che continui a rappresentare un modello o un miraggio per i popoli di altre civiltà? Se dunque per rincominciare a declinare l’individuo nella chiave della nostra comune umanità è necessario attingere alla sorgente religiosa di ciò che fa degli individui delle persone umane, non vedo quale pensiero più “moderno”, oggi, ce ne debba distogliere.
* Storico e Saggista