La prima ondata di diffusione del COVID 19, con le indicazioni preventive generali, ha trovato anche il sistema carcerario impreparato. E le condizioni strutturali della detenzione hanno favorito preoccupazioni per il rischio di contagio e le reazioni.
Per tentare di dare risposte sono stati predisposti gli interventi urgenti del Dipartimento Amministrazione penitenziaria (DAP) e quelli, successivi, del Governo che ha introdotto alcune misure specifiche per la popolazione carceraria, vista l’inefficacia o l’impraticabilità delle misure generaliste (distanziamento, igiene, dispositivi vari).
I primi interventi del DAP sono stati: la messa in isolamento sanitario dei positivi al tampone in camere singole, dotate di bagno autonomo, dentro apposite sezioni detentive; l’effettuazione di controlli disposti dalle autorità sanitarie, in base a protocolli del Ministero della Salute; il ricovero presso strutture ospedaliere esterne dei sintomatici e quelli in condizioni più gravi. Con il contributo della Protezione Civile sono stati messi in distribuzione vari dispositivi destinati a persone detenute ed agenti: 67mila mascherine (tra FFP2 e FFP3); 409mila mascherine chirurgiche; quasi 6mila occhiali e visiere facciali; 13mila fra camici e tute impermeabili; 1 milione e 800mila guanti monouso; oltre 1.100 kit di protezione totale.
Al fine di mantenere le relazioni dei detenuti con parenti e amici – bruscamente interrotte le visite, comprese quelle dei volontari – son stati distribuiti migliaia di telefonini e attivate con modalità di videochiamata.
Con il decreto legge “Cura Italia” del marzo scorso, il Governo ha introdotto norme, per lo più valide fino a giugno 2020. Si è intervenuto con sospensive dei processi (ad esclusione di quelli per reati di una certa gravità); con stanziamenti economici per la funzionalità degli impianti carcerari e per la sanificazione degli ambienti; con la previsione, tramite procedura semplificata, della detenzione domiciliare per i detenuti con pena o residui di pena fino ai 18 mesi; con il ricorso ai braccialetti elettronici per coloro con pena da 7 a 18 mesi; con la proroga della scadenza per i detenuti in semilibertà. Da questi benefici sono stati esclusi alcuni tipi di reato.
Tali interventi hanno contribuito per il periodo della loro vigenza a limitare i casi di contagio e diminuire il sovraffollamento (comunque nelle quantità sempre superiore al livello della capienza regolare) il cui aumento è ripartito in coincidenza della fine dei provvedimenti.
La seconda ondata di pandemia ha coinvolto il sistema carcerario con una crescita veloce e progressiva.
Difficile conoscere in modo puntuale i dati del contagio delle persone detenute o operanti nel carcere. Il DAP l’8 ottobre scorso indicava 34 detenuti contagiati e 61 operatori della polizia penitenziaria. Il 9 novembre i numeri sono saliti a 537 detenuti e 737 agenti penitenziari. Non solo, le fonti sindacali sospettano che i dati siano sottostimati perché, intempestivi, non contemplano alcune misure di contenimento per i detenuti e la messa in quarantena di agenti. Non aggiornata è la stessa distribuzione dei contagiati nelle singole carceri.
Comunque si è di nuovo ricorso ai ripari con la replica dei provvedimenti normativi. Nel decreto “Ristori” si sono inserite norme a favore dei detenuti, (quali permessi straordinari, durata delle licenze premio, detenzione domiciliare, braccialetti) che ricalcando in parte precedenti previsioni che sono state estese a fine dicembre 2020.
Sull’ efficacia di alcuni interventi previsti per i detenuti, si sono levate perplessità. Ad esempio sulle aspettative quantitative dell’innovazione della detenzione domiciliare: dalla platea potenziale configurata dei beneficiari della detenzione domiciliare di 3359 persone bisogna sottrarre le 1557 che non hanno fissa dimora.
Ma anche la pandemia ripropone la questione carceraria e l’occasione di una riflessione per un diverso approccio.
E’ consolidato che il sovraffollamento delle carceri con le implicazioni di carenza di igiene, è il principale e più grave problema della politica detentiva, perché ostacola il percorso costituzionalmente previsto circa la funzione riabilitativa della pena, sottopone il sistema italiano a reiterate procedure di infrazione e a rischio di sentenze di condanna da parte della giustizia europea.
Con la pandemia si riconferma la difficile esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute.
L’alimentazione del sovraffollamento è principalmente collegato ad una concezione del carcere come idealtipo di sistema penale punitivo – repressivo, con minime ed occasionali soluzioni alternative.
Vengono rimosse, ad esempio, nella pratica le acquisizioni consolidate da indagini, anche da parte dell’amministrazione penitenziaria, circa il fenomeno della recidiva: in percentuali elevate in caso di pena in carcere (68,45%) e ridotte con il ricorso a pene alternative (19%) ovvero nel caso di occasioni di formazione professionale e di lavoro in situazione carceraria.
Il carcere consolida o promuove reati che poi alimentano la popolazione carceraria.
Reati che potrebbero essere affrontati con misure alternative, più efficaci e meno costose. A riguardo si riscontrano incrementi di tali misure, seppur in maniera diversificata per tipologia (affidamento in prova, semilibertà, detenzione domiciliare). A fine 2008 in tali misure erano coinvolte 7.530 persone; il 15 aprile erano 30.436.
Il contributo maggiore è quello derivante da 2 misure: l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare. Tali misure, in larga parte nel verso da liberà piuttosto che da carcere, forniscono un costante contributo deflazionistico alla carcerazione: la popolazione in situazione penale infatti ammonta a circa 110.000 persone. Cifra insostenibile dalle strutture carcerarie.
Interventi di presa in carico per facilitare il reinserimento socio lavorativo a partire dalla detenzione e mirati alle condizioni esterne sono limitati. La digitalizzazione delle carceri, se strutturale, può dare un contributo positivo al rapporto dentro – fuori. Ma non è in grado di produrre il superamento delle condizioni di isolamento sociale.
L’attività lavorativa riguarda circa un quarto della popolazione carceraria ed è quasi esclusivamente dipendente dall’amministrazione penitenziaria, con scarsa possibilità di maturazione in professionalità spendibili all’esterno (oltre con la mortificazione della limitata remunerazione).
Il numero dei corsi professionali , in quantità limitata, sono frequentati da iscritti di cui meno la metà viene promossa.
Esistono le condizioni, maggiormente sollecitate dalla pandemia, per una progressione nel passaggio alla concezione della pena come processo riabilitativo. L’unica barriera, fino ora risultata insuperabile, è quella della combinazione tra malinteso concetto di sicurezza sociale e condivisione del bisogno di pene repressive.
1 – Vedi M.Conclave, #iorestoacasa va bene, ma non per tutti. In Newsletter Nuovi Lavori
2 – Da rilevare che vi è stata una diminuzione dei reati denunciati che è aumentata nel periodo di blocco.
3 – Vedi giustizia on line
4 – Per quanto riguarda il dettaglio degli interventi legislativi vedi XVI Rapporto Antigone, pagg 114 e segg.
5 – L’Associazione Antigone ha attivato un Osservatorio che informa, tra gli altri, sugli eventi collegati al COVID19 nelle carceri.
6 – Vedi Covid Garante dei detenuti
7 – La pandemia si aggiunge a generali condizioni di svantaggio sul piano della tutela della salute. A riguardo vedi XVI Rapporto Antigone, Salute, pagg. 27 e segg.
8 – I minori costi delle misure alternative sono deducibili dal bilancio dell’amministrazione penitenziaria.”Le misure alternative costano meno di un decimo di quanto costi la detenzione. Nel 2020 il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità – che ha in carico le misure alternative – costava il 3,16% del bilancio complessivo del Ministero della Giustizia. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria il 34,3%. In XVI Rapporto Antigone, pag 49.
9 – Vedi Rapporto Antigone, citato, pagg.47 e segg.
10 – Vedi tabella seguente.31 dicembre 2019
Riepilogo nazionale detenuti lavoranti
Situazione al 31 Dicembre 2019
Regione
di detenzionealle dipendenze
dell’Amministrazionenon alle dipendenze
dell’Amministrazionetotale lavoranti
numero
detenutidi cui
donnenumero
detenutidi cui
donnenumero
detenutidi cui
donne
italiani + stranieri
Totale
Italiani + Stranieri15.6898712.38117618.0701.047
Fonte: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Ufficio del Capo del Dipartimento – Segreteria Generale – Sezione Statistica
11 –
Per i corsi di formazione professionali
Corsi professionali per tipologia
II semestre 2019
Fonte: Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Ufficio del Capo del Dipartimento – Segreteria Generale – Sezione