Il lavoro cambia e quindi deve cambiare anche il sistema educativo. La scuola del ‘900 era sequenziale, cioè un anno dopo l’altro, le elementari, le medie, le superiori, con una netta separazione fra licei e istituti tecnici e professionali. Dopodiché vi era una università per le professioni liberali, o un percorso di inserimento lavorativo che poteva anche prevedere spazi di formazione ma limitati e rinchiusi dentro un lavoro che a sua volta era irregimentato jn schemi fissi e modelli rigidi.
La nostra epoca richiede invece un lavoro capace e competente, in continua formazione, in grado non di subire i cambiamenti ma di anticiparli. La grande trasformazione dei sistemi produttivi, che la stessa pandemia ha in parte reso meno evidente ed in parte congelato, delinea una industria che cambia sotto l’impulso di una rivoluzione tecnologica e di un mutamento ambientale che non hanno precedenti.
Il lavoro che cambia richiede una scuola che si proietta in tutta la vita delle persone, una formazione permanente ha bisogna di una solida formazione di base fin dall’infanzia, con un sistema educativo egualmente distribuito su tutto il territorio nazionale, superando quelle diseguaglianze in particolare fra nord e sud che limitato la vera unità del Paese.
L’Italia resta infatti il paese d’Europa con la più alta dispersione scolastica, con differenze fra regioni settentrionali e Mezzogiorno non accettabili e resta il paese in cui più significative sono ancora le diseguaglianze di genere. Lavorare tutti insieme per superare queste diseguaglianze vuol dire dare a tutti i ragazzi e le ragazze pari opportunità e quindi pari dignità nella scuola e nel lavoro.
Aumentare l’offerta di educazione superiore vuol dire allora far crescere, e rapidamente, il sistema degli Istituti tecnici superiori, non in alternativa o in concorrenza con l’università, ma in piena complementarietà, uno strumento in più in un Paese, il nostro che ha il più basso livello di giovani con un titolo terziario, cioè una laurea o un diploma postlaurea.
Gli Its debbono garantire quel livello di qualificazione di tecnici e specialisti che ha reso grande nel mondo la nostra manifattura, e che poi debbono poter crescere all’interno dell’impresa con quella continua formazione sul lavoro, che contribuisce essa stessa a mantenere l’impresa dinamica e competitiva.
Infine molte sono le esperienze di transizione scuola-lavoro da cui abbiamo imparato che bisogna accompagnare i nostri giovani al lavoro con iniziative strutturate, con programmi di inserimento lavorativo, che permettano ai ragazzi di conoscere le imprese e misurare le proprie competenze, ma permettano anche alle imprese di esplorare le proprie potenzialità e misurarsi con sistemi educativi dinamici e responsabili.
Per dare risposte ai nostri giovani, al loro bisogno di lavoro e di personale affermazione, bisogna andare oltre la pandemia, ma anche oltre la trappola della bassa crescita che ha caratterizzato l’economia italiana ed europea degli ultimi 30 anni. Questo richiede di investire in educazione, nella scuola per i ragazzi e le ragazze ma anche in una formazione che divenga parte costante di vite professionali, che debbo guidare la rinascita del Paese intero.
*Ministro dell’Istruzione