Non è facile orientarsi fra terze ondate in agguato, previsioni ottimistiche, manifestazioni di piazza, possibili effetti collaterali dei vaccini e inevitabili scivoloni. Al netto dei no-vax, per tutti gli altri c’è almeno una convinzione: quanto più saremo vaccinati, tanto più vicina sarà la fine della pandemia. Un obiettivo reso incerto dalla mancanza di un vaccino europeo e dalle inefficienze nella somministrazione. Non possiamo programmare in modo indipendente la vaccinazione perché nella UE non disponiamo di un vaccino prodotto e gestito autonomamente.
Certo possiamo meglio contrattare gli acquisti, aiutare nella produzione e nell’infialamento, ma da una posizione subordinata. Eppure, nel vecchio continente non mancano i colossi farmaceutici. Fra le prime 10 Big Pharma per fatturato, 4 sono statunitensi, 2 asiatiche, 2 svizzere, una è basata in Francia e una nel Regno Unito.
Le strategie industriali e gli indirizzi perseguiti nella ricerca hanno evidentemente condizionato negativamente Roche, Novartis e Glaxo nel giocare un ruolo attivo contro il virus, mentre Sanofi, pur essendo specializzata in vaccini, è ancora molto indietro. E’ mancato l’orgoglio europeo nel combattere in prima persona la pandemia, e con esso l’impulso politico alla collaborazione e alla convergenza.
La proposta della Commissione Ue di istituire un’apposita Agenzia per prevenire e rispondere alle emergenze sanitarie denominata Hera, sul modello dell’americana Barda, costituisce un segnale, pur timido e tardivo, da cogliere positivamente. Il governo Draghi, grazie all’autorevolezza del premier, bene farebbe a candidare l’Italia come sede di questa authority, visto che l’Ema ci fu scippata dagli olandesi.
La questione vaccini dovrebbe suggerirci un modo diverso di fare industria in Europa, promuovendo più cooperazione fra grandi imprese, per garantirci maggiori livelli di sicurezza interna e essere più competitivi alla scala globale.
L’altro fattore per il successo della campagna vaccinale riguarda la catena logistica di distribuzione presidiata fondamentalmente dalle sanità regionali. E come dimostrano i dati – quelli non taroccati – la frammentazione regionale è un ostacolo all’efficienza.
Poche sono le regioni virtuose, prima fra tutte il Lazio, che sulla base della trasparenza per regolare gli accessi e tecniche da supply chain per organizzare la somministrazione, dimostrano che è possibile vaccinare milioni di persone in tempi relativamente brevi.
Una lezione per quelle amministrazioni regionali che reclamavano una maggiore autonomia in ragione di una presunta superiorità organizzativa, risultata invece deficitaria proprio nell’emergenza Covid-19.
*Presidente RUR (Rete Urbane delle Rappresentanze Urbane)