Non esiste un criterio oggettivo per giudicare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che il Governo Draghi deve presentare entro la fine di aprile alla Commissione Europea. Ci sono le linee guida della Commissione su cui tutti sono d’accordo, ma i progetti sia nella loro parte qualitativa, che delle risorse impiegate, che nei tempi di realizzazione sono di responsabilità dei singoli Stati. Lasciando da parte la questione, non irrilevante, delle risorse e dei tempi, vale la pena di farsi un’idea di quali priorità qualitative potranno dare la cifra identitaria del PNRR e dei singoli progetti.
Per essere concreti, ne propongo sei: l’inversione della tendenza demografica; l’allargamento dell’educazione e della cultura a tutto l’arco della vita di una persona; la transizione verso nuovi lavori, nuove competenze, nuove modalità di lavoro; l’affermazione della partecipazione dei lavoratori nella gestione della transizione; le correzioni sia organizzative che contenutistiche del welfare, anche alla luce dell’esperienza pandemica; i cambiamenti delle procedure pubbliche, dei sistemi di controllo e dei procedimenti giudiziali. Chiunque potrebbe aggiungere altrettante priorità, tutte legittime, ma queste mi sembrano le più significative per dirci con maggiore nettezza quale Italia si intende delineare.
La prima, attiene fondamentalmente alle nascite. Si fanno pochi figli, la figura degli zii è in via di estinzione e prese singolarmente, le giovani coppie hanno ragionevoli giustificazioni per non sentirsi in colpa. Il tema diventa un problema sociale e politico perché progressivamente l’immigrazione non è un’alternativa in assoluto (anche gli stranieri non sono prolifici, a quanto pare) e le ricerche sono unanimi nel dirci che gli investitori di lungo periodo si orientano sempre più verso i Paesi ad alto tasso di natalità. Di conseguenza, non basta l’assegno unico, se non si incentiva fortemente chi vuole più di due figli e soprattutto se donna, vuole continuare a lavorare. Ciò può avvenire con una serie di servizi (a partire dagli asili nido e dalla scuola dell’infanzia a basso costo), assistenza familiare e sostegni agli studi di ogni grado. Soltanto così si potranno convincere le giovani generazioni che i figli non sono un peso ma una ricchezza per sé e per il Paese.
La seconda fa i conti con un cambiamento di mentalità. Studiare molto e bene non serve soltanto per lavorare ma per saper affrontare le difficoltà e le opportunità della vita. Cioè ben altro che avere santi in paradiso. Per realizzare questa prospettiva, bisogna rivedere i cicli formativi, saper gestire il gap che si è formato tra competenze richieste da chi offre lavoro e quelle che la scuola forma, abituare i giovani a saper scegliere autonomamente i loro sbocchi professionali, consentire agli adulti di riqualificarsi continuamente per non passare attraverso periodi lunghi di disoccupazione o sottoccupazione. La formazione come costante presenza nella vita delle persone: ciò serve a tenere il passo con le nuove tecnologie e i nuovi sistemi lavorativi e per vivere in un dignitoso benessere.
La terza è strettamente connessa alla precedente. Lo sviluppo degli investimenti nell’economia circolare e nella digitalizzazione creeranno nuove professionalità, nuove visioni del fare, nuovi prodotti. Se sarà massiccio, come chiede l’UE, c’è futuro per i giovani e le donne che cercano lavoro e per gli adulti che lo perdono per obsolescenza dei beni e servizi maturi. Devono però essere pronti a cogliere il cambiamento e questo sarà tanto più possibile se da un lato, si smette con la lagna che è inutile studiare se poi il lavoro è dequalificato o addirittura non c’è, come è nel Mezzogiorno; dall’altro, non si illuda nessuno che l’unico vero e realistico obiettivo sia quello che si ritorni a fare ciò che si faceva prima della pandemia. Inchiodarsi a questi assunti, significa candidarsi a un clamoroso flop dell’economia italiana per i prossimi anni.
La quarta rappresenta un salto di qualità, che è già in atto ma va consolidato. Riguarda la responsabilizzazione dei lavoratori dipendenti nel governo del cambiamento. A scala aziendale o di ente è sempre più diffuso il coinvolgimento, spesso attraverso il sindacato, dei lavoratori e delle lavoratrici nelle scelte innovative. Con risultati ragguardevoli sul piano della produttività e dell’efficienza. Ora, con la pandemia, anche su quello della tutela della salute. Non a caso, i luoghi di lavoro non sono focolai di contagio. Si tratta di rendere il più generalizzato possibile questo sistema di relazioni sindacali, riconoscendo al sindacato il diritto di esprimere il proprio parere su tutti i progetti finanziati attraverso il PNRR. In particolare per ciò che riguarda l’impatto di genere e quello ambientale. Ma perché questo non diventi un fenomeno di corporativizzazione, è necessario che vi sia una cornice di partecipazione a livello nazionale e confederale che consenta di assicurare l’equilibrio tra esigenze particolari e interessi generali.
La quinta riguarda l’ampio spettro del welfare pubblico messo a dura prova dalla lunga fase di pandemia e dall’esplosione delle preesistenti debolezze e carenze. Della insufficienza del contrasto alla decrescita demografica si è già detto. Sull’altro lato, quello degli anziani, grida vendetta la condizione di quelli che vengono ospitati da strutture come le RSA. In esse devono approdare soltanto quelli che proprio non possono essere curati e assistiti in casa. Quest’obiettivo, per essere realizzato ha bisogno di una serie di interventi, a partire dalla rivalutazione della medicina di territorio, dal potenziamento dell’intervento sanitario domiciliare e da un assegno di assistenza adeguato. Il PNRR non può ignorare una progettualità ben organizzata e ben finanziata per realizzare questo obiettivo in tempi rapidi.
La sesta, pur prescindendo dall’importanza che ha la questione della governance, è determinante per il buon esito, soprattutto temporale, del PNRR. La Pubblica Amministrazione e il sistema giudiziario vanno riformati in modo significativo. L’inevitabile celerità delle decisioni non può prescindere da severi controlli e rigorose penalità. Ma quest’ultimi non possono diventare alibi per bloccare i progetti. La quadratura di questo cerchio è non solo una garanzia di buon funzionamento del PNRR ma di un miglioramento del rapporto tra cittadini e Istituzioni dello Stato.
E’ chiaro che non stiamo ragionando di una questione d’ordinaria amministrazione. Il PNRR è magna pars del nostro futuro prossimo. Si tratta di contemperare tante esigenze. Ma su tutto deve prevalere la volontà di far entrare definitivamente in questo secolo gli italiani. Senza dotare il Paese di una buona dose di sano ottimismo, non saremo in grado di guardare con serenità il nostro domani.