Il governo ha varato le prime misure in materia di lavoro. Lo ha fatto attraverso un decreto legge, pubblicato in GU e una legge delega.
Le prime misure, quelle previste nel decreto, sono di efficacia immediata e quindi valutabili nel loro contenuto e riguardano l’apprendistato e il contratto a termine.
L’apprendistato andava semplificato per renderlo più accessibile e un effettivo strumento di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Nel decreto si danno varie risposte utili a questo fine: la riduzione dei costi delle ore formazione, l’abolizione dell’obbligo di stabilizzare una percentuale del 30% di apprendisti, come condizione per nuove assunzioni, la non necessità di forma scritta per il piano formativo individuale e infine la possibilità (non la necessità) di integrare la formazione in azienda con quella esterna trasversale. Su questo punto bisognerà essere chiari per evitare che la Ue bocci la riforma. La formazione esterna dovrà essere effettiva, altrimenti gli incentivi per l’impiego degli apprendisti potrebbero non essere giustificativi.
Per superare ogni riserva al riguardo potrebbe essere utile prevedere forme di certificazione dei contenuti formativi dell’apprendistato, attraverso gli enti bilaterali o centri specializzati da individuare. La certificazione deve essere non un formalismo, come tanti altri, ma una garanzia della serietà della formazione comunque essa sia impartita, e non solo nel caso dell’apprendistato. Solo un apprendistato qualificato per i suoi contenuti formativi si può distinguere dal contratto di inserimento a tutele crescenti ipotizzato nella delega, perché questo secondo dovrebbe caratterizzarsi non per la presenza di formazione, ma in quanto forma di avvio graduale e flessibile al lavoro dei giovani.
Riguardo al contratto a termine, che è una forma di flessibilità in sé “buona”, si va nella giusta direzione. L’abolizione della causale la condivido, perché sono convinto da tempo che le causali sono fonte di contenzioso più che garanzia di protezione. Fissare un tetto quantitativo massimo, modificabile dai contratti, come ha fatto il decreto, è un sistema non solo più semplice ma anche più tutelante. Semmai può essere discutibile se le otto proroghe del contratto ammesse dal decreto siano un numero adeguato oppure, come credo, non siano eccessive.
Il suo utilizzo dipende molto dal contesto in cui si colloca. Il rischio di un aumento della precarietà cresce con la incertezza delle prospettive economiche; ma questo vale anche per altri contratti. Viceversa in presenza di una economia stabile le assunzioni a termine presentano un buon tasso di conversione in rapporti a tempo indeterminato, come confermano i dati di altri paesi e anche la nostra esperienza degli anni pre crisi.
Per rafforzare la tendenza alla stabilizzazione è importante che siano confermati i costi aggiuntivi dei contratti a termine (la flessibilità si paga) e d’altra parte che siano previsti adeguati incentivi alla loro conversione in contratti a tempo indeterminato.
Determinante per valutare la portata e l’efficacia del Job act è come si realizzeranno i principi contenuti nella legge delega, che rispondano all’obiettivo della flexicurity: riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, servizi per l’impiego, politiche attive del lavoro, riordino delle tipologie contrattuali, semplificazioni delle procedure e degli adempimenti.
All’obiettivo della flexicurity si ispirano non solo le proposte di universalizzare le indennità di disoccupazione (Aspi e mini Aspi), ma anche la revisione e il potenziamento degli strumenti di politica attiva del lavoro.
Occorrerà definire bene il passaggio dal sistema attuale di casse integrazioni eccessivamente lunghe e in deroga, a vere politiche attive che non offrano solamente sostegno ai lavoratori momentaneamente senza lavoro, ma ne promuovano l’attivazione con aiuti a trovare lavoro e con sanzioni nel caso in cui non accettino proposte di lavoro o formative alternative al sussidio.
Fondamentale in questo nuovo contesto sarà il ruolo dell’Agenzia nazionale che dovrà guidare il sistema dei servizi all’impiego, ora disperso, e unificare le funzioni di questi con la gestione degli ammortizzatori. I centri all’impiego saranno utili e frequentati solo se sapranno offrire servizi veri e attivare sanzioni per chi non accetta le loro offerte. E dovranno collaborare con le Agenzie private sulla base di precise intese, e con obiettivi misurabili.
(*) Presidente Nuovi Lavori