Gli avvenimenti di questi giorni, connessi all’introduzione del green pass hanno portato al centro dell’attenzione pubblica questo lasciapassare, dipinto a più riprese da una minoranza di contrari, come “strumento di discriminazione tra i cittadini e ideato come complotto contro la nostra libertà”. Questa opposizione è montata al punto da dar vita ad una serie di manifestazioni e conflitti con una significativa partecipazione anche di studenti, culminate venerdì 15 ottobre, giorno dell’entrata in vigore del green pass, con una pluralità di scioperi e altre manifestazioni, sotto la spinta dei portuali di Trieste e dei camionisti della logistica, con l’intento di mettere il ginocchio il Paese per far recedere il governo da questa scelta considerata liberticida.
Una mobilitazione che, grazie anche alla pubblicità dei media e dei social, ha assunto l’aspetto di un assalto allo Stato, dagli esiti del tutto imprevedibili. Nella realtà le cose si sono dimostrate molto meno gravi di quanto previsto, sia per il numero e la qualità degli scioperi che per i partecipanti alle manifestazioni, conclusesi senza violenze e con la corsa di molti a vaccinarsi. Dopo l’assalto alla sede della Cgil e ad altre strutture sanitarie della Capitale della scorsa settimana, questo movimento intende proseguire nella sua azione in modo da creare le condizioni per far ritirare questo strumento.
Le motivazioni reali, al netto delle polemiche, rimangono radicali e per certi aspetti incomprensibili. Si parla di difesa della libertà di scelta e del diritto al lavoro, di rispetto delle minoranze garantito dalla Costituzione, ma si trascura totalmente sia l’emergenza pandemica in cui versa il Paese che i gravi effetti sulla salute di tutti i cittadini come ineludibili limiti al diritto di libertà. Nei fatti la protesta e gli scioperi, pur essendo stati diffusi in diverse parti del Paese, hanno determinato disagi e rallentamenti in alcuni punti delicati e strategici della vita collettiva, senza effetti significativi sul sistema paese.
Ciò che tuttavia è emersa è stata la totale impreparazione e l’assenza di strategia dei protagonisti. In particolare, i portuali di Trieste e di qualche altro porto, proclamando uno sciopero a oltranza senza avere un interlocutore reale a cui rivolgerlo (l’invito a Draghi è soltanto illusione inesistente), finiscono per colpire, senza prospettive di soluzione, gli interessi di tutti i cittadini. Un autentico suicidio sindacale e politico, che giustamente è stato definito “sciopero di cittadinanza” e che fa ricordare l’esperienza dei Forconi, che, con arroganza, volevano cambiare l’Italia e che sono rapidamente e indecorosamente spariti.
Alla luce della complessità della situazione emerge la totale incertezza degli obiettivi ed in particolare la evidente ipocrisia dei no pass circa la posizione sui vaccini, dei quali il green pass è soltanto un certificato, analogo a quello che sarebbe necessario per testimoniare l’avvenuta vaccinazione. Cercare di bloccare il Paese a tempo indeterminato soltanto per contestare il green pass, dimostra la confusione e l’irresponsabilità dei promotori per il totale squilibrio tra obiettivo e forme di lotta, e la totale indifferenza verso le conseguenze per l’intero Paese.
Ma, al di là del carattere confuso di queste iniziative, è opportuno cercare di capire su quali presupposti culturali è nato questo movimento. Il primo riferimento credo sia il diffuso individualismo che si è consolidato nelle nostre società occidentali, e che ha portato ad una concezione e ad una pratica della libertà individuale come valore prioritario e dominante su ogni esigenza di giustizia e di solidarietà sociale. In secondo luogo, influiscono i sentimenti di paura, incertezza e diffidenza verso le novità non sperimentate, che spingono a ricondurle ad aspetti dominati dalla propria esperienza o respingerle. In terzo luogo, va considerato l’influsso dei social, con la loro forte capacità di persuasione tramite l’applicazione del “uno vale uno” e della convinzione che tutto ciò che appare in rete ha il medesimo valore, comprese le proprie opinioni.
Ma una diffusione così rapida di tali convincimenti, fino a influenzare la pubblica opinione e la stessa politica, si spiega anche con la predicazione e la polemica, prima da parte del M5S di Grillo, poi dalla destra sovranista di Salvini e Meloni che hanno fatto di tale verbo la componente fondamentale della loro propaganda per la conquista del consenso. Ma mentre i grillini hanno duramente pagato questa loro predicazione antipolitica nel momento in cui hanno dovuto affrontare il governo del Paese, Salvini ha provato solo un poco da minoranza e con effetti disastrosi’, e Meloni non si è mai confronta con l’azione di governo, ma i contenuti e il modo con cui hanno costruito il loro consenso e la loro identità, rendono strutturale la loro inidoneità a governare l’Italia.
Non tanto per un pregiudizio ideologico ma per i presupposti culturali e le scelte politiche fondati sulla diffusione della paura, insicurezza e sulla illusoria promessa di risposte ai problemi del momento, del tutto divergenti dalla fase di ripresa e di rilancio strategico di cui ha bisogno il Paese. La stranezza e nello stesso tempo la gravità della situazione è costituita dalla colpevole assenza politica di alcuni partiti che, nel momento in cui hanno delegato a Draghi l’azione di governo, non hanno trovato il tempo e la responsabilità di intervenire in una questione che nelle intenzioni conclamate si proponeva di mettere in ginocchio la democrazia italiana.
A parte il Pd di Letta, che ha tenuto con rigore una chiara linea a sostegno dei vaccini senza se e senza ma, seguito, con qualche contraddizione, dal M5S, la destra di Meloni e Salvini ha privilegiato i propri giochi propagandistici al punto che Meloni ha cercato di rovesciare una deriva violenta di destra in un grave errore della sinistra. Una assenza dal dovere di difendere la democrazia, aggravata da una incomprensibile assenza del sindacato da un conflitto motivato in gran parte da una sbagliata difesa del diritto al lavoro.
E’ stato doveroso manifestare per reagire alla violenza di segno fascista contro la sede della Cgil, ma risulta altrettanto necessario presidiare il proprio campo del lavoro quando è minacciato da regressioni ed errori che saranno pagati dai lavoratori. Con la consapevolezza che le peggiori sconfitte sono quelle subite senza combattere.