1. Il rapporto “Oltre l’ostacolo. Rapporto 2021 su povertà ed esclusione sociale in Italia”, presentato il 16 ottobre scorso dalla Caritas nazionale fornisce le peculiarità e il portato delle condizioni della pandemia, rispetto ad analoghe situazioni, quali:
– la contemporaneità della crisi sanitaria ed economico sociale; – la vulnerabilità di aree produttive sviluppate e aree di ritardo di sviluppo;
– la imprevedibilità e completa novità del fenomeno pandemico;
– il coinvolgimento socio economico di larghi strati di popolazione non attrezzati alle crisi con strumenti di protezione economica e sociale, quali piccoli imprenditori, lavoratori precari e non dichiarati;
– l’impatto sulla scuola e l’intera struttura formativa con il crearsi di ulteriori differenzazioni generazionali, economiche e sociali;
– l’appesantimento della condizione delle donne con la battuta di arresto sul piano della crescita occupazionale e sociale, impossibilitate al lavoro esterno e nel ruolo di caregiver familiari oltre all’impegno professionale, anche con rischio di esposizione a violenza nell’ambito familiare.
Viene ampiamente trattato il fenomeno dell’incremento e della metamorfosi dell’usura come un portato della crisi pandemica e proposti scenari di impatto territoriale provocati dalla crisi del turismo specialmente in alcune aree del territorio nazionale.
Viene riferita l’articolata azione della Caritas nel periodo pandemico, comprese le difficoltà a rimodulare i progetti di servizio civile.
Vengono prefigurati, inoltre, gli scenari post pandemia per l’Italia: le dimensioni socio-economiche; le possibili risposte con particolare riguardo alle politiche di contrasto alla povertà.
Più a lungo riporteremo le analisi sulla povertà e le disugualianze. Accenneremo agli interventi adottati da Caritas durante la pandemia, sintetizzando le proposte per il futuro con particolare attenzione al Reddito di Cittadinanza (RDC), anche per il dibattito in corso.
2. La povertà. Per quanto riguarda l’andamento della povertà, il rapporto fa riferimento ai dati ISTAT di giugno scorso.
Nel 2020, dopo la flessione registrata nel 2019, risultano in povertà assoluta oltre due milioni di famiglie. Le persone in povertà assoluta sono in totale 5,6 milioni di poveri assoluti. Dopo la flessione registrata nel 2019, si registra un incremento di oltre un milione di poveri assoluti in più rispetto al pre pandemia.
Permane la maggiore incidenza della povertà nel Mezzogiorno ma la crescita più ampia, su base annua, si colloca nelle regioni del Nord. In termini assoluti sono così 2 milioni 554mila i poveri assoluti residenti nelle regioni del Nord e 2 milioni 259 mila quelli del Mezzogiorno.
Nelle aree del Centro Italia, l’incidenza della povertà assoluta è di 788mila poveri assoluti, comunque in crescita rispetto al 2019.
Si conferma la tendenza alla correlazione della povertà assoluta con l’età e prende connotati più marcati lo svantaggio di minori e giovani under 34. L’incidenza maggiore si registra proprio tra bambini e ragazzi under18, a fronte di un’incidenza inferiore per le persone over 65. In Italia si contano 1 milione 337mila minori che non hanno l’indispensabile per condurre una vita quotidiana dignitosa.
Il numero di componenti del nucleo familiare rimane un fattore rilevante per l’incidenza della povertà assoluta: varia dal 20,5% per le famiglie con cinque e più componenti, all’11,2% per quelle con quattro, all’8,5% per quelle con tre. I figli conviventi appesantiscono la situazione. L’incidenza sale dal 9,3% nelle famiglie con un solo figlio minore, al 22,7% in quelle che ne hanno tre (o più).
La povertà delle famiglie monogenitoriali, in maniera comparata, sale di tre punti percentuali
Si collocano sotto la media nazionale i livelli di povertà registrati nelle famiglie con almeno un anziano o tra le coppie in cui l’età della persona di riferimento è superiore ai 64 anni.
L’istruzione continua ad essere uno dei fattori che influiscono sullo stato di deprivazione. Dalla pre pandemia al 2020 si aggravano le condizioni delle famiglie la cui persona di riferimento ha conseguito al massimo la licenza elementare (o nessun titolo). Peggiorano anche le condizioni di coloro che possiedono un diploma di scuola media inferiore . Nei nuclei dove il capofamiglia ha almeno un titolo di studio di scuola superiore si registrano valori di incidenza molto più contenuti, anche se in crescita rispetto al 2019.
Il 2020 segna un netto peggioramento delle condizioni di vita degli occupati: l’incidenza della povertà sale con evidenti differenze in base alla posizione occupata. Risulta stabile la situazione delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro o in cerca di occupazione.
Forti disuguaglianze si registrano tra italiani e stranieri residenti, acuite negli ultimi dodici mesi. Gli individui stranieri in povertà assoluta sono 1 milione e 500mila, per un totale di 568mila famiglie povere.
3. Le dimensioni della disuguaglianza in tempo di Covid-19. Il rapporto evidenzia come il Covid abbia rallentato il progresso nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile a livello mondiale per quanto riguarda povertà e aspetti sanitari come ad esempio la distribuzione dei vaccini.
Per l’Italia vengono citati numerosi studi che sembrano andare in una direzione simile alle tendenze mondiali per esempio per quanto riguarda maggiore mortalità, livelli di reddito, livelli bassi di istruzione, minore occupazione.
L’impatto della crisi pandemica sull’occupazione viene connessa a tre processi collegati al lavoro: la contrazione economica, il lockdown e il ricorso allo smartworking o lavoro agile.
Il calo del numero di occupati in Italia durante la pandemia è di 682mila unità di cui più della metà è costituito da donne e da giovani tra i 15 e i 34anni.
Gli ultimi andamenti riferiti al mese di agosto 2021 indicano un tasso di occupazione maschile pari al periodo pre pandemia (dicembre 2019) e così per la fascia 25-34 anni; il tasso di occupazione femminile e giovanile tra i 15-24 anni rimane sotto il livello pre pandemia.
La pandemia ha allargato inoltre il divario tra lavoratori più o meno tutelati (tempo determinato, stagionali, lavoratori a chiamata, ecc.).
Lo smartworking o lavoro agile ha amplificato le disuguaglianze tra chi ha potuto beneficiare di tale modalità di lavoro e chi no. In Italia in smartworking sono state in maggioranza le donne, gli occupati con più di 35 anni, gli italiani nel confronto con gli stranieri, i residenti nel Centro e nel Nord, i laureati e diplomati rispetto a chi possiede la licenza media. Le professioni qualificate sono caratterizzate da una maggiore incidenza di occupati che hanno lavorato da casa. Influente per l’accesso al lavoro agile, con le conseguenze di disparità, è stata la logistica: tipo di abitazione e disponibilità di tecnologia da remoto.
L’ambito educativo è stato fortemente influenzato. Le indagini ISTAT segnalano che non è stata garantita la continuità del processo formativo in particolare per i bambini più vulnerabili e/o con minori risorse a disposizione.
La pandemia, inoltre, ha fortemente rallentato a livello globale i progressi verso l’uguaglianza tra uomini e donne.
La pandemia ha così prodotto una forte crescita della povertà in Italia e l’acuirsi delle tante forme di disparità sociale. Un arretramento, quindi, rispetto a due obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile sconfiggere la povertà e ridurre le disuguaglianze.
Tra le categorie maggiormente colpite sono i giovani e minori, le persone di cittadinanza straniera, i lavoratori con posizioni precarie e meno protette dal sistema di ammortizzatori sociali,
le donne.
” Nel guardare a questa fase di ripresa e di post-pandemia non si può non partire proprio da tali categorie, convinti che la costruzione di una società più equa e inclusiva è sempre il frutto di mirate – e coraggiose- scelte politiche”. Così le conclusioni del paragrafo sulla povertà.
4. Le attività della Caritas nella pandemia. Gli interventi rivolti alle persone in stato di deprivazione economica sono stati effettuati dalla rete territoriale di Centri o altri punti di ascolto con capillare diffusione in tutto il territorio nazionale. Sono stati rilevati attraverso un sistema informativo i cui punti di accesso sono aumentati nel periodo pandemico.
Le persone interessate agli interventi sono state 221.233. Non tutti nuovi ingressi nella rete di assistenza. Di queste, un po’ più della maggioranza, è di genere femminile. Gli stranieri rappresentano poco più della metà, seguiti a poca distanza dagli italiani. Tra gli stranieri, l’incidenza degli uomini è leggermente più alta, tra gli italiani al contrario risulta più marcato il peso delle donne.
Delle persone sostenute dal circuito Caritas, oltre un terzo è supportato anche da alcuni servizi pubblici soprattutto i servizi sociali dei comuni.
Tra i bisogni riscontrati nel 2020, non in modo differente dagli anni precedenti, vi è la fragilità economica declinata in “reddito insufficiente, “assenza totale di entrate”, lo stato di disoccupazione, precariato, lavoro nero, licenziamento/perdita di lavoro.
La “questione casa”, è declinata in: carenza di abitazione, accoglienze provvisorie, sistemazioni precarie o inadeguate, o problemi di sfratto.
Sul fronte degli aiuti materiali, oltre al lavoro ordinario delle mense, degli empori o market solidali si possono elencare: – la consegna di pasti a domicilio o la fornitura di pasti da asporto; – l’operatività sul fronte sanitario; – azioni legate alla grave marginalità e alle persone senza dimora (dal cibo da asporto, ai servizi residenziali, agli interventi di sorveglianza sanitaria in strada); – pagamento di bollette e affitti; – interventi verso il lavoro: l’erogazione di borse lavoro; i tirocini formativi o di inserimento lavorativo; le convenzioni con aziende per favorire inserimenti lavorativi; gli sportelli di orientamento lavoro; – le iniziative inerenti l’ambito scolastico ( la distribuzione di tablet/pc/device alle famiglie meno abbienti e alle scuole; l’acquisto di libri e materiale scolastico; il pagamento di rette scolastiche; l’aiuto per la didattica a distanza e i dopo-scuola online; le borse di studio per l’iscrizione all’università; il pagamento di abbonamenti ai mezzi pubblici e i progetti contro l’abbandono; – l’accompagnamento e orientamento anche rispetto alle misure di contrasto alla povertà e i bonus previsti dal Governo nazionale (ad esempio il Reddito di emergenza e di cittadinanza, i Bonus per i lavoratori stagionali, indennità per lavoratori domestici, ecc.) e dalle amministrazioni locali.
Dai primi otto mesi dell’anno 2021 (gennaio-agosto) dal sistema Caritas emerge quanto segue:
- cresce del 7,6% il numero di persone assistite rispetto al 2020;
- cala l’incidenza dei nuovi poveri allineandosi a quella degli anni pre Coronavirus);
- persiste in uno stato di bisogno una quota di persone incontrate per la prima volta nell’anno dell’emergenza sanitaria;
- sale la quota di chi vive forme di povertà croniche;
- sale la quota dei poveri “intermittenti” (che oscillano, per vari motivi, tra il “dentro-fuori” la condizione di bisogno.
5. La pandemia ha messo in sofferenza economica, a vari livelli, fino ad almeno sei milioni di famiglie: da insolvenza finanziaria o creditizia a esposizione allo sfruttamento “grigio” e all’usura.
Gli interventi non possono essere che legislativo-istituzionali, in modo articolato. Ma Caritas individua una propria area di intervento a riguardo.
“Si apre dunque un campo di azione enorme per le Caritas in tutte le sue varie articolazioni, in particolare rafforzando la collaborazione con le Fondazioni Antiusura presenti nelle proprie diocesi”.
“Le Caritas diocesane possono intercettare le famiglie in difficoltà e offrire soluzioni efficaci, prima che sia troppo tardi.
Sul piano più generale, Caritas può esercitare un’azione di advocacy affinché vengano adottate norme che riequilibrino il rapporto tra creditore e debitore, scongiurando il rischio che l’espulsione dal credito legale spinga l’indebitato a cercare soluzioni nel circuito criminale”.
6.Le proposte sul RDC. Nel suo rapporto, Caritas propone il riordino del Reddito di Cittadinanza a partire da riflessioni generali e dalla propria esperienza. Si rifà a riguardo alla propria Agenda presentata a luglio 2021.
L’Agenda fissa alcuni elementi per il cambiamento della misura.
In primo luogo. Il RDC lascia fuori tutela più della metà delle famiglie in povertà assoluta. E tra i beneficiari più di un terzo non si trova in povertà assoluta. Inoltre le famiglie povere escluse dalla misura tendono più di frequente: i) a risiedere nel Nord, (ii) ad avere figli minori, (iii) ad avere al loro interno un richiedente straniero (iv) ad avere un patrimonio mobiliare superiore alla soglia fissata come requisito di accesso. A riguardo due manovre sono necessarie: ampliare alcuni criteri di accesso e incrementare il tasso di copertura per i poveri assoluti esclusi; restringere i criteri di accesso per ridurre la quota di coloro che, oggi beneficiari, non sono oggettivamente in povertà assoluta.
In secondo luogo. Necessita intervenire su quelle distorsioni che creano delle iniquità fra i percettori (i singoli ricevono un contributo proporzionalmente molto più alto rispetto a una famiglia di 3 o 4 componenti; stranieri e poveri residenti al Nord sono poco presenti tra i beneficiari. A riguardo è opportuno rivedere: – le soglie dei requisiti patrimoniali mobiliari che escludono molte persone in povertà che hanno risparmi; – il peso della quota per l’affitto; – il numero di anni di residenza richiesti per gli stranieri; – le soglie economiche al Nord; -la scala di equivalenza in modo non discriminatorio verso le famiglie più numerose; le soglie economiche per le famiglie di una persona e di due persone (per puntare su altre risposte più mirate.
In terzo luogo. Occorre mantenere l’attenzione sul rafforzamento dei servizi sia lavoristici sia di inclusione sociale: il rafforzamento organizzativo; la necessità di migliorare gli incentivi al lavoro per chi è già occupato, consentendo il cumulo tra RdC e una porzione significativa del nuovo reddito da lavoro percepito dal beneficiario di RdC; disegnare interventi adatti a chi non è occupabile (investendo in azioni di recupero del gap di istruzione e competenze; indirizzando ai servizi sociali alcuni profili oggi inviati di default ai CPI o ricorrendo ai Progetti Utili alla Collettività predisposti dai Comuni).
Necessita proseguire il processo di irrobustimento dei servizi sociali locali e di coordinamento con la rete del welfare territoriale prevedendo il sostegno agli Ambiti Territoriali Sociali con un incremento di assistenti sociali e personale amministrativo.
In quarto luogo. Urge intervenire sui criteri di suddivisione della platea di percettori fra i percorsi di inclusione sociale (con i servizi sociali) o quelli di inserimento lavorativo (con i Centri per l’Impiego): è necessario mettere mano ai criteri amministrativi in base ai quali vengono effettuati gli invii ai CPI o ai servizi sociali, sostituendo l’attuale Dichiarazione di Immediata Disponibilità con altri indicatori più significativi sul piano dell’occupabilità e dell’attivazione quali: – l’aver avuto uno o più rapporti di lavoro alle dipendenze nell’ultimo anno o negli ultimi due anni; – aver dichiarato un reddito da lavoro autonomo negli ultimi due anni; – aver svolto qualche azione di politica attiva del lavoro presso un CPI o un’agenzia del lavoro.
Inoltre il RDC, in una complessiva riforma dei trasferimenti alle famiglie, va armonizzato con altri interventi: assegno unico ai nuclei con figli, programma di sostegno al reddito per i lavoratori a rischio di povertà.