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Il mondo conosciuto smotta, rimbocchiamoci le maniche

L’opinione pubblica è concentrata sulla drammatica vicenda ucraina. Ma sta prendendo coscienza che questa grave crisi umanitaria e geopolitica si intreccia con l’emergenza sanitaria e alimentare planetaria, la minaccia del cataclisma climatico, la rivoluzione dell’intelligenza artificiale e le tragedie delle grandi emigrazioni. E’ un’escalation di complessità che delineano un mondo che si sta smontando. Nelle sue certezze, nei suoi standard di vita, nel suo credo materialistico, nella sua fiducia nel futuro.

Avevamo scommesso sulla globalizzazione come colla per un mondo migliore; nella rete degli accordi per scambi sempre più interconnessi, il filo rosso per non guerreggiare; nella finanziarizzazione dell’economia, la molla per la fabbrica dello sviluppo ininterrotto. Ma i G8 e i G20 hanno perso sempre più lo charme iniziale di garanti del nuovo ordine globale, come superamento delle contrapposizioni ideologiche della seconda metà del Novecento. Sono diventati progressivamente organismi decorativi di crescite economiche e sociali asimmetriche dei vari Stati egemoni nella scacchiera del mondo, sempre più senza anima politica e quindi esposti a ricorrenti ventate di logiche di potenza.

Anzi la globalizzazione – al di là della valorizzazione evidente che ne fa la riduzione della povertà planetaria – ha alimentato uno spirito concorrenziale così estremo, da favorire le democrazie illiberali rispetto a quelle liberali. Nelle prime è stato sempre più facile perseguire livelli consistenti di crescita del PIL, essendo sempre più difficile l’esercizio di libertà come quelle di espressione sindacali, partitiche, religiose e di pluralismo nel mercato e nella società.

Con la guerra in Ucraina, si è raggiunto un punto di difficoltà profonde della convivenza pacifica mondiale. La voce dell’ONU è flebile e impotente. Anche quando condanna quasi a stragrande maggioranza quell’invasione. Ma è poco convincente sfoderare vecchie terminologie. Lo scontro non è tra un imprecisabile Occidente (la Nato non è l’Occidente, ma semmai ormai un incidente) e un altro indeterminabile Oriente. Lo scontro è più complesso ed articolato. E’ tra Paesi a democrazia liberale ed includente e Paesi a democrazia illiberale e sovranista. E’ tra Paesi ricchi e Paesi poveri. E’ tra chi vuole il multilateralismo pacifico e chi persegue l’obiettivo di un mondo bipolare e armato.

Non sembra che le carte siano in poche mani, anche se ci sono quelle che contano di più e quelle che contano di meno. E proprio per questo, mai come ora, fare l’Europa come unica entità di rappresentanza politica è un’esigenza vitale per tutto il continente. Ci vuole un’accelerazione della definizione di una costituzione federalista, a governo maggioritario ma rispettoso delle minoranze di ogni tipo, che si occupi delle questioni principali della salute, dell’economia, del sociale, della politica estera e della sicurezza con un proprio esercito. Mai come ora è chiaro che la cessione di sovranità degli Stati nazionali è una convenienza esiziale per essi stessi. Soltanto un’Europa unita può assicurare un mondo che progredisce nella multipolarità. Lo hanno capito bene gli Ucraini, che non chiedono di entrare nella EU per meglio tutelare le proprie produzioni granarie, ma per rafforzare la propria identità culturale e democratica.

E’ questa la discussione più vera che in Italia deve trovare spazio e volontà. Sono devianti, ormai, questioni come quella se dare o non dare armi agli ucraini per difendersi e obbligare l’invasore a trattare seriamente la pace o quella se integrare dello 0,6% del PIL le spese militari (l’altro 1,4% è già stato speso) secondo un piano di investimenti già definito negli anni passati dal Parlamento. Al punto in cui siamo arrivati occorre sostenere e non scoraggiare gli ucraini e non bastano gli aiuti umanitari perché possano essere forti nelle trattative di pace.

E’ l’Europa il nostro futuro. Un riformismo verace e non strettamente domestico è possibile soltanto se ruota attorno all’urgenza di realizzarla. Bisogna bruciare le tappe, non consentire il tira e molla del residuo sovranismo serpeggiante nella politica italiana. Se ci va bene e scongiuriamo il pericolo della guerra nucleare, saremo comunque in un dopo guerra che ci coinvolge. Soltanto scelte coraggiose, innovative ci potranno far diventare protagonisti del futuro.

 

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