L’Unione Europea ha reagito in modo rapido e unitario nell’aiutare l’Ucraina a resistere contro l’invasione russa. L’emergenza è stata affrontata con successo soprattutto in conseguenza dell’operato della Nato, delle sue strutture organizzative e del ruolo che gli Stati Uniti svolgono nell’Alleanza atlantica.
A questo compito emergenziale l’Unione avrebbe dovuto fare seguire una politica in grado di affiancare le misure militari con le ulteriori azioni di contenimento nei confronti della Russia e di protezione dell’Europa.
La politica europea ha invece dimostrato, ancora una volta, di non essere in grado di prendere, nei tempi dovuti, le necessarie decisioni.
Questa ancora fragile e imperfetta capacità di reazione si è resa palese in molti settori ma, in questi giorni, si è manifestata con una particolare evidenza nella politica dell’energia.
L’annuncio di porre fine all’acquisto del petrolio dalla Russia, non accompagnato dall’unanimità dei consensi necessaria per rendere concreto l’embargo, ha avuto solo la conseguenza di provocare un sostanzioso aumento del prezzo del petrolio, aumentando in questo modo le risorse che la Russia può utilizzare contro l’Ucraina.
La drammatica lentezza e le difficoltà dei processi decisionali dell’Unione hanno finora avuto l’unica conseguenza di punire chi impone le sanzioni, favorendo invece chi le dovrebbe subire. Mi sono in questa sede limitato a citare come esempio il caso dell’energia, ma i processi decisionali condizionati dall’unanimità stanno rendendo impossibile ogni politica europea e ci rendono irrilevanti nel mondo.
Venerdì scorso, su queste stesse colonne, il commissario Gentiloni ha giustamente messo ancora una volta in rilievo i danni dell’unanimità. Essa è infatti parte integrante dei trattati europei che, a loro volta, possono essere modificati solo all’unanimità.
Un problema insolubile, anche se lo stesso Gentiloni suggerisce che si può dare vita a procedure decisionali alternative, chiamate “cooperazioni rafforzate”. In questo caso le decisioni possono essere prese da un numero limitato di paesi (almeno nove) e sono valide solo per i paesi che le sottoscrivono.
Se è così difficile prendere decisioni unanimi per le conseguenze di un evento così drammatico come l’invasione dell’Ucraina, allora non resta che procedere con un appropriato uso delle cooperazioni rafforzate, cominciando subito dalla politica estera e della difesa. Questo processo ha funzionato egregiamente nel caso dell’Euro, sottoscritto da 19 paesi e non da tutti i 27 membri dell’Unione. La drammaticità degli eventi ne dimostra la necessità.
L’attuale momento politico lo rende possibile. Macron è arrivato al potere come unico leader europeo con il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza e unico detentore dell’arma nucleare. I quattro maggiori paesi membri dell’Unione (Germania, Francia, Italia e Spagna) hanno obiettivi di politica estera e di difesa sostanzialmente convergenti e molti altri paesi attendono solo il momento di adottare una politica comune.
Un’Europa a più velocità è perciò indifferibile e, in ogni caso, da preferire ad un’Europa ferma, oggi in balia di chiunque. Non solo l’imbarbarimento della politica mondiale ci obbliga a fare presto, ma anche le evoluzioni che si stanno verificando all’interno dei singoli paesi europei. Prima fra tutte la decisione del governo tedesco che ha progettato un bilancio di spesa militare che va oltre il doppio delle spese militari russe.
Non abbiamo certo alcun dubbio sulla maturità democratica e sulle ben note posizioni di equilibrio della politica estera tedesca, ma sappiamo che quando vengono prese decisioni di importanza così rilevante, si creano forti legami di interesse fra strutture industriali, militari, politiche e burocratiche dello stesso paese. Legami e interessi del tutto naturali e legittimi, ma che rendono e renderanno sempre più difficile la convergenza verso una comune politica europea.
La politica è correttamente definita come l’arte del possibile. La guerra di Ucraina ci dimostra ancora una volta che non è invece possibile fare le cose giuste e al tempo giusto con la regola dell’unanimità. Abbandoniamola quindi prima che sia troppo tardi, e abbandoniamo l’illusione che nuove impossibili convergenze possano portare a impossibili mutamenti dei trattati.
Certamente in questo modo si cambia la direzione della politica europea, ma ormai non vi è dubbio che camminare a diverse velocità sia meglio che stare fermi mentre gli altri corrono. Naturalmente bisogna che Macron abbia la volontà e la possibilità di dare inizio a questo cammino di una più forte coesione nella politica europea, un cammino che la Francia ha rifiutato di percorrere quando, nel 1954, l’Assemblea Nazionale ha bocciato il progetto di un esercito europeo e, nel 2005, il popolo francese si è espresso, in un referendum, contro la Costituzione Europea.
*da Il Messaggero 08/05/2022