A tre anni dalla sua scomparsa, Steve Jobs, il geniale e bizzarro cofondatore della Apple, continua ad essere studiato e adulato nelle Business school statunitensi – e non solo – come una “sacra” icona cui riferirsi per avere successo nel business e nell’innovazione tecnologica. Un “mito” indiscusso per il “sogno” americano.
Nella realtà, invece, la figura di Job si carica di non poche ombre. Tanto che l’autorevole “New York Times”, qualche giorno fa, si è domandato polemicamente “se Steve Jobs fosse ancora vivo, oggi dovrebbe stare in carcere?”. La domanda si riferiva al ruolo di Jobs nella “costruzione” di cartelli contro la concorrenza nella “Silicon Valley” californiana (in particolare quello relativo alle assunzioni degli ingegneri, in modo da evitare che le aziende potessero assumere tecnici provenienti dai concorrenti ed evitare, così, aumenti di stipendi legati al mercato concorrenziale). Sappiamo quanto per la cultura americana l’antitrust sia una cosa seria, e questo peccato non riguarda solo Jobs ma anche altri manager americani.
Certo, per qualche adulatore, il “genio” di Jobs non poteva sottostare alle regole che valgono per altri “comuni” mortali. Il “fenomeno” Jobs resta, comunque, uno dei casi più importanti di successo nella storia dell’imprenditoria tecnologica mondiale.
E così in questo libretto (Steve Jobs, Lezioni di Leadership, Mondadori, 2014, pagg. 103, € 12,00), che sta avendo un buon successo nella classifica dei libri più letti, il maggior biografo di Steve Jobs, Walter Isaacson, che attualmente è Amministratore Delegato dell’Aspen Institute, ci offre le “regole” (per quanto Jobs, in vita, sia stato poco incline alle regole) e i “segreti” del successo di Jobs e della sua creatura, la Apple.
E con la Apple Jobs è riuscito a creare prodotti rivoluzionari che hanno cambiato il modo di essere occidentale.
In questa storia certamente ha molto influito il carattere ruvido e bizzarro di Jobs, uomo capace di grandissime sfuriate con i suoi sottoposti ma al tempo stesso di immensi silenzi (frutto del suo culto Zen).
In Jobs c’era un condensato della cultura californiana degli anni ’60 (quella della beat generation) , fatta di ribellione agli schemi (che poi si è riversata nella “sua” Apple con lo slogan “Think Different”: Ai folli. Ai piantagrane. A tutti coloro che vedono le cose in modo differente..), ma anche della cultura umanistica (il pensare agli ingegneri della sua azienda come “artisti”, con spiccato senso estetico, della tecnologia), insomma un mix non facilmente eguagliabile.
Ed ecco alcune delle 14 “regole” del successo di Jobs: Concentrati e semplifica (si perché “decidere quello che non si deve fare è non meno importante che decidere quello che si deve fare” e la “semplicità è la massima raffinatezza) , Diventa responsabile dell’intero processo, Quando sei indietro fai un passo in avanti, Pensa ai prodotti prima che ai profitti, Non essere schiavo dei Focus Group, Plasma la realtà, Lavora con i migliori e Punta alla perfezione (La “perfezione” ricercata anche nelle parti nascoste di un computer o iphone: “Voglio che ogni cosa sia più bella possibile, anche se nessuno la vedrà mai).
Ma la regola più importante per Jobs e per la sua creatura, la Apple, resta il famoso: “Stay hungry, stay foolish” (restate affamati, restate folli). Pur con i limiti della sua persona, e con le sue ipocrisie, Steve Jobs resta un genio indiscusso. “Perché solo coloro che sognano di cambiare il mondo lo cambiano davvero”
Dal sito: http://confini.blog.rainews.it/2014/05/05/a-lezione-di-leadership-da-steve-jobs/