L’accordo siglato il 14 maggio 2014 a conclusione della vertenza Electrolux ha ricevuto vasta eco ed è stato salutato positivamente dal governo e dalle parti sociali.
Si è ritenuto che l’intesa sia importante non solo per i suoi contenuti specifici ma anche in quanto può rappresentare un modo nuovo di affrontare le situazioni di crisi aziendale che purtroppo continuano a susseguirsi.
In effetti la frequenza e la gravità di tali situazioni impongono di innovare le modalità tradizionali con cui esse vengono affrontate per renderle economicamente più efficienti ed insieme socialmente sostenibili. Da una parte è urgente ridefinire i tempi e i modi delle misure di sostegno passivo all’occupazione, cioè dei vari tipi di ammortizzatori per non immobilizzare risorse scarse su situazioni produttive senza speranza; allo stesso tempo, occorre predisporre politiche attive del lavoro finalizzate ad accompagnare i dipendenti delle aziende in crisi nella ricerca di nuova occupazione.
Servono interventi che intervengano in tempo utile per prevenire le crisi e per ridurne l’impatto. E gli interventi non possono consistere solo in misure di gestione del mercato del lavoro, ma devono combinare tali misure con interventi di politica economica, di settore e di territorio, per predisporre sbocchi alternativi realisticamente ipotizzabili alla crisi.
La integrazione fra politiche di riattivazione economica e misure di sviluppo all’occupazione va perseguita nei periodi successivi alla crisi, per superarla o correggerne l’evoluzione, così da offrire prospettive sostenibili alle imprese e ai loro dipendenti.
L’approccio governativo alle crisi aziendali è stato adottato in modo sistematico in Francia dalla legge Borloo del 18.1. 2005 La normativa prevede una serie di procedure e misure finalizzate ad analizzare le possibili evoluzioni dell’impresa, al fine di anticipare le decisioni necessarie per un migliore impiego delle risorse umane e di ridurre l’impatto di eventuali crisi e ristrutturazioni. Tali misure sono oggetto di un obbligo periodico di negoziazione con le rappresentanze sindacali.
Soluzioni del genere non sono previste legislativamente nel nostro ordinamento; ma non mancano buone prassi in questo senso, adottate da aziende lungimiranti, soprattutto in periodo di crisi.
In tale direzione sono potenzialmente utilizzabili gli obblighi di informazione e consultazione previsti nei contrati collettivi di lavoro: non tanto quelli nazionali, che prevedono informative periodiche e aggregate poco utili ad anticipare segni di criticità specifici, quanto quelli aziendali e territoriali più vicini alle vicende specifiche delle singole realtà produttive.
Esempi significativi in tal senso si trovano in alcuni accordi di grandi gruppi (ENI, Finmeccanica) che hanno valorizzato i sistemi di informazione e consultazione nel contesto di relazioni industriali partecipative. In alcuni casi gli accordi per una gestione positiva delle risorse umane si sono combinati con interventi pubblici di sostegno all’occupazione e allo sviluppo (vedi da ultimo l’accordo Indesit del dic. 2013).
La situazione occupazionale ed economica verificatasi in particolare a seguito della crisi dell’Electrolux, ha costituito un test di particolare gravità per tutti gli attori pubblici e sociali del territorio che si sono mobilitati per dare risposte . Fra questi in prima persona l’Unione Industriale di Pordenone che con un suo documento ha proposto una serie di misure sia contrattuali sia di politica industriale e del territorio, intese a dare una risposta organica anche di medio periodo alla crisi. Le proposte si sono articolate in cinque aree complementari: riduzione del costo del lavoro, forme di flessibilità, ammortizzatori sociali, misure di welfare, interventi nella formazione delle risorse umane e nella cultura organizzativa.
Questi impegni non si riducono a “tagli di costi”, ma sono accompagnati da una parte con misure di sostegno all’occupabilità e di welfare; dall’altra con misure di politica industriale coerenti con la vocazione del territorio, finalizzate a rilanciare la competitività delle imprese e le prospettive dell’occupazione.
In realtà l’andamento della vertenza ha preso un corso diverso da quello indicato nel documento. L’azienda, in un primo momento, ha drammatizzato il tema del costo del lavoro, proponendone una drastica riduzione come condizione per il superamento della crisi. Le forti reazioni del sindacato e delle istituzioni locali a tale impostazione hanno indotto l’azienda a ridimensionare le proposte relative al costo del lavoro, “ripiegando” sulla richiesta di intervento del governo di sostegno (decontribuzione) ai contratti di solidarietà e su aggiustamenti specifici delle condizioni di lavoro: riduzione delle pause e dei tempi di assemblea, nonché aumento dei carichi di lavoro. Per altro verso, l’Electrolux ha presentato un piano industriale comprensivo del sito di Porcia, inizialmente destinato alla chiusura.
I contenuti positivi dell’accordo si articolano su due assi principali: un investimento dell’azienda di 150 milioni destinati in parte a innovazioni di prodotto e in parte a interventi innovativi sul processo produttivo , la garanzia che nessuno stabilimento italiano sarà chiuso e la salvaguardia dei livelli occupazionali fino al 2017.
Mentre nessuna riduzione salariale è stabilita a carico dei lavoratori, si prevedono aumenti di produttività, da conseguirsi tramite riduzione delle pause e incremento delle cadenze di linea, e una riduzione del costo del lavoro conseguente a una decontribuzione aggiuntiva per sostenere i contratti di solidarietà (portandola al 35% dal precedente 25%).
L’accordo ha contribuito ad allentare la forte tensione sociale e a rassicurare per l’immediato circa la situazione occupazionale dell’area. Si tratta dunque di una tregua positiva.
Ma l’interrogativo che resta aperto è la tenuta nel tempo dell’accordo, cioè la sua capacità di fornire prospettive non transitorie alle difficoltà competitive dell’azienda; perché questo è l’obiettivo da perseguire se si vuole affrontare in modo strutturale le crisi aziendali.
Da questo punto di vista un elemento potenzialmente critico dell’accordo è che non è stato sciolto definitivamente il nodo centrale della questione, cioè l’eccessivo costo del lavoro per unità di prodotto rispetto agli standard internazionali e in relazione a prodotti a basso tasso di innovazione tecnologica.
La strada indicata dal documento di Pordenone puntava su alcuni punti principali : il riallineamento dei costi aziendali, peraltro incidendo su elementi ulteriori a quelli del CCNL per allineare il salario alla media delle aziende del territorio; forme di flessibilità soprattutto interna: orari multiperiodali capaci di reagire alle variazioni sulla domanda in modo più flessibile e meno precarizzante del (continuo) ricorso a contratti a termine; revisione delle pause e del regime delle festività; maggiore mobilità professionale, anche in deroga all’art. 13 dello Statuto dei lavoratori, accompagnata da investimenti formativi mirati alla riqualificazione delle persone interessate, coinvolgimento di tutti gli stakeholders , forme partecipative dei lavoratori anche azionarie, iniziative concordate con le istituzioni locali per politiche attive del lavoro sul territorio, e per istituti di welfare integrativo dirette sia a compensare il contenimento della retribuzione sia a migliorare le condizioni di vita e di salute dei lavoratori e delle loro famiglie.
Questi sono tutti problemi aperti e da risolvere non solo nel caso di Electrolux ma in altre aziende e settori che soffrono di scarsa competitività di prezzo e di qualità e che per avere futuro richiedono innovazioni sia nei processi produttivi sia nelle prassi contrattuali e nelle relazioni industriali.
L’accordo di Electrolux ha una durata di tre anni; un periodo che dovrebbe essere impiegato dall’azienda, dal sindacato e dalle istituzioni locali non solo per consolidare l’esistente, ma anche per creare le condizioni produttive e sociali necessarie alla sopravvivenza dell’impresa e al rilancio del territorio.
(*) Presidente Nuovi Lavori