Lo scorso 18-19 settembre 2014, presso l’Università degli studi di Cagliari, si è svolto il Convegno Going to school today: School choice and transition between family, school and public policies, che ha unito numerosi studiosi italiani e stranieri, insegnanti e dirigenti scolastici sui problemi della scelta scolastica e universitaria, dell’orientamento e delle politiche educative.
L’ottica multidisciplinare e un approccio complesso alla questione ha permesso di porre nuova luce anche e soprattutto sulle dinamiche di transizione scuola-lavoro, argomento di interesse per questa newsletter. Infatti, come si legge nell’abstract del Convegno, organizzato dal Centro Interdipartimentale per la Ricerca Didattica (CIRD), gli elementi che definiscono il modo in cui la scuola indirizza gli studenti in percorsi differenti non dipendono esclusivamente dal merito, dall’organizzazione scolastica o dai metodi educativi, ma interagiscono con fenomeni di segregazione sociale (la categoria socio-professionale della famiglia), culturale (il titolo di studio dei genitori) e di genere. «Di certo il merito scolastico ha un peso determinante, ma questa variabile ha effetti diversi a seconda delle “qualità” sociali degli studenti». A questo si aggiunge l’effetto della struttura dell’offerta scolastica. Questa, infatti, non è “neutra” ma articolata per rispondere a precisi obiettivi di politica educativa e a specifiche strategie di riproduzione culturale dei gruppi sociali situati in un dato territorio. La “scelta” si produce dunque all’incrocio tra le strategie delle famiglie e degli studenti e la struttura dell’offerta scolastica.
I flussi di studenti all’interno dell’offerta formativa – sia a livello secondario che universitario – non hanno poi come unico elemento propulsore le strategie degli individui e delle famiglie o i puri meccanismi di valutazione definiti dagli attori scolastici. Questi flussi sono influenzati da micro-politiche istituzionali e da vere e proprie strategie di «marketing» delle autonomie scolastiche ed delle università in competizione – per attirare gli studenti – in una condizione di quasi-mercato. Tale condizione sembra avere delle conseguenze fondamentali sulla definizione delle micro-politiche di orientamento.
In occasione del Convegno sono stati presentati i primi risultati di un’indagine di ricerca del CIRD e del Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari sul tema delle Transizioni Scolastiche, in corso grazie al contributo della Regione Autonoma della Sardegna (L.R. 7/2007 Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica). Di seguito se ne propone una sintesi, ricordando che su questi temi è già disponibile il Volume Transizioni scolastiche: un’esplorazione multidisciplinare. Per un progetto di ricerca su orientamento e scelte scolastiche e professionali(Franco Angeli, 2014).
I risultati cui ci concentriamo ora riguardano l’analisi delle scelte degli studenti in Sardegna, presentati da Silvia Cataldi e da Antonietta De Feo dell’Università di Cagliari. La ricerca nasce con l’intento di studiare il fenomeno della scelta dei percorsi scolastici e lavorativi in una prospettiva multidisciplinare e in una dimensione internazionale con l’obiettivo di fornire un quadro di conoscenze utili all’impostazione di politiche scolastiche e dell’orientamento. Il primo step della ricerca è consistito nello svolgimento di una survey tra gli studenti delle scuole superiori. La rilevazione è cominciata il 3 aprile del 2014 e si è conclusa il 22 maggio 2014 e ha coinvolto le classi I e V dei 25 Istituiti superiori campionati su tutto il territorio sardo tenendo conto di due variabili fondamentali: tipologia d’istituto e localizzazione geografica. La rilevazione è stata effettuata tramite un questionario cartaceo somministrato in classe durante le ore scolastiche a 1063 studenti delle V classi e 1639 studenti delle classi I, per un totale di 2702 casi. Il questionario è stato strutturato in 6 sezioni, integrando la prospettiva sociologica, con quella psicologica e pedagogica.
Un primo nucleo di risultati interessanti afferisce alle rappresentazioni di genere, indagando sulle presunte predisposizioni al femminile o al maschile di scuole, università e mestieri.La questione di genere costituisce un problema nell’ambito delle strategie di orientamento. Ciò può apparire paradossale tenuto conto del fatto che oggi le donne non solo proseguono più facilmente gli studi, ma anche registrano le performances migliori in termini di risultati scolastici più elevati. Eppure un risultato è emerso con chiarezza nel corso della ricerca: la vischiosità di quegli stereotipi che vedono la realtà scolastica, ma anche quella lavorativa e quella universitaria legate al genere.
Dalla survey infatti emerge che le scuole non sono neutre ma assumono nell’immaginario studentesco delle connotazioni al maschile o al femminile. È il caso delle scuole superiori, ma anche delle università. Infatti, anche se la maggioranza degli intervistati appartenenti alle classi V ritiene che la rappresentazione di genere non abbia contato nella scelta della scuola superiore, alcune scuole, come il liceo psico-pedagogico e il liceo classico sono ritenute particolarmente adatte alle ragazze, mentre la maggior parte degli istituti tecnici e professionali più adatti ai ragazzi.
Tale rappresentazione si conferma anche nell’ambito della scelta post-secondaria. Secondo, infatti, la maggioranza degli intervistati (22,8%) i corsi professionali presenti nel panorama formativo sono soprattutto adatti ai ragazzi, piuttosto che alle ragazze. Ciò significa che il percorso di inserimento lavorativo dopo la scuola superiore viene ancora visto come più facile per i maschi. Anche i corsi universitari non sono affatto esclusi da questa rappresentazione polarizzata dal punto di vista del genere: oltre ai corsi di laurea tradizionalmente femminili, come quelli dedicati alla cura e all’educazione (o che hanno come principale sbocco lavorativo l’insegnamento, come lettere e filosofia), a sorpresa sono catalogati in rosa anche corsi più scientifici come biologia e farmacia. Mentre corsi maschili vengono considerati tutti quelli tecnici e hard sciences, oltre che architettura ed economia.
Tuttavia gli stereotipi di genere non sono affatto esclusi da dinamiche di appartenenza alle classi sociali. Per quel che riguarda le scelte femminili, in generale, si può dire che queste sono più libere da stereotipi di genere se si appartiene a ceti privilegiati e si è studentesse del liceo classico. All’estremo opposto troviamo le ragazze dell’istituto magistrale, scuola femminile per eccellenza, tendenzialmente frequentata dai ceti medio-bassi che, solo raramente, pensano a una scelta universitaria che si distacchi da percorsi di studio e di lavoro a «vocazione femminile».
Un secondo nucleo di risultati si riferisce alle scelte degli studenti dopo le scuole superiori, tra lavoro e università.
Riguardo alla scelta post scuola superiore, il 35,9 % dei casi di studenti di V superiore dichiara di voler cercare un lavoro, mentre il 9 % di volere frequentare un corso di avviamento professionale.
Tali studenti provengono principalmente dalle scuole tecniche e professionali campionate mentre solo il 7,7 % proviene dai licei. Mentre poi la scelta lavorativa risulta fortemente connotata al maschile, la scelta di frequentare corsi professionali viene perseguita anche dalle ragazze.
Possiamo allora ancora considerare tali scelte di serie B nella scala delle classi sociali? In effetti mentre la decisione di trovare un lavoro dopo la scuola superiore risulta associato ad un capitale culturale basso della famiglia di provenienza, la stessa cosa non è per la decisione di frequentare un corso professionale, che risulta collegato a titoli di studi medio-alti dei genitori. Il lavoro però risulta ancora una scelta obbligata per chi è figlio di genitori disoccupati, segno che sul ragazzo si ripercuotono le intere speranze economiche di una famiglia. Ma come vengono percepite le iniziative di orientamento e tirocinio messe in atto dalle scuole e da altri enti (enti locali, Regione, etc.)? Purtroppo il giudizio degli studenti è molto severo su questa questione: per quasi la metà dei rispondenti (47,6%) tali iniziative sono praticamente inutili.
A conferma del fallimento delle politiche di orientamento è inoltre l’associazione con la provenienza scolastica. Il gradimento delle iniziative di orientamento professionale e al lavoro risultano infatti positivamente associate alla frequentazione dei licei e negativamente associate alla frequentazione di istituti tecnici e professionali, scuole in cui vengono maggiormente concentrate tali attività in vista della scelta lavorativa e di formazione professionale.
Riguardo alla scelta dei percorsi universitari, il 54,5% dei rispondenti di V superiore dichiara di voler continuare gli studi frequentando l’università, ma circa 2/3 di costoro sostiene di voler combinare la formazione universitaria con un lavoro. Stando quindi alle dichiarazioni degli intervistati la prossima generazione di universitari sarà di studenti lavoratori o studenti part-time. Quali sono le ragioni di questa scelta? Ovviamente esiste una ragione economica e sociale a tale scelta: la provenienza dei ragazzi che decidono di conciliare università e lavoro attiene ad una classe impiegatizia media con capitale culturale medio. Inoltre la scelta di lavorare e studiare in contemporanea è associata a scuole come le magistrali e conseguentemente a corsi di laurea di tipo letterario, educativo e sociale che non hanno l’obbligo della frequenza. I ragazzi delle classi medie e impiegatizie non vogliono puntare tutto sull’università e, consapevoli della scarsa valenza dei titoli di studio, specialmente in ambito letterario, educativo e sociale, in termini di sbocchi professionali, cominciano a costruirsi una esperienza professionale fin da giovani.
Nella scelta conta molto l’ambiente frequentato dagli studenti che decidono di andare all’università: la maggior parte dei ragazzi dichiara infatti di essere circondati da persone – genitori e amici in particolare – secondo cui frequentare l’università è lo sbocco più naturale dopo la scuola superiore. E’ evidente dunque che non si tratta di una scelta completamente autodiretta: essa, seppur non direttamente indirizzata dai consigli degli adulti o dei pari, è comunque indirettamente esito di un ambiente favorevole alla prosecuzione degli studi, sia in termini di opinioni, sia in termini di capitale culturale.