Secondo il recente documento “la BUONA SCUOLA” sono 700.000 i giovani disoccupati tra i 15 ed i 24 anni e 4.355.000 i ragazzi che non studiano, non lavorano e non sono in formazione (neet), ovviamente anche loro disoccupati. Questi numeri, che crescono senza sosta, sono il termometro dei ripetuti fallimenti di una certa politica, nazionale e regionale, rivolta a sostenere il lavoro e l’occupazione e degli strumenti che sin qui ha utilizzato.
Da parte di molti si continua a sostenere, meno a credere, che il lavoro si crei per legge, o per decreto, che sia sufficiente regolamentare le modalità di entrata e di uscita dal lavoro per creare più lavoro. Più che una tesi neo liberista è un alibi che serve coprire e giustificare le inefficienze e i deficit di una classe politica sempre più confusa e incapace di affrontare i reali problemi del Paese.
Secondo il sondaggio Mckinsey&Company (citato dal documento la BUONA SCUOLA) per tornare alla percentuale di disoccupazione pre-crisi del 2007 sarebbe necessario creare almeno 4 milioni di posti lavoro. Quattro milioni di posti di lavoro sono un’enormità e la disoccupazione non è solo quella giovanile. Reclamano il diritto al reinserimento un numero elevatissimo di altri soggetti, padri e madri, ad esempio, che sono stati sospesi o che hanno perso il lavoro (cassa integrazione ordinaria, straordinaria, in deroga, mobilità, contratti di solidarietà, patti generazionali, aspi, sospensioni e altro ancora).
Anche il nostro apparato legislativo in materia di mercato del lavoro risente del clima di incertezza e di confusione. Ad esempio è frequente che uno stesso argomento sia affrontato, modificato e integrato, in un breve arco di tempo, da un numero significativo, forse eccessivo, di norme e da un numero ancora più consistente di articoli, seminati qua e là, che si richiamano, si accavallano o si sostituiscono ai precedenti. E’ il caso dell’apprendistato, del contratto a tempo determinato, degli ammortizzatori sociali e così via.
Solo di recente la Conferenza delle Regioni (16 ottobre e 27 novembre 2014) ha elaborato un’inaspettata, innovativa e approfondita analisi e ha avanzato un’ articolata proposta che ha l’ambizione di affrontare le questioni della disoccupazione e dell’abbandono scolastico, e non solo, con il ricorso a due efficaci strumenti, corrispondenti a due azioni tra loro strettamente connesse ed interdipendenti: orientare e formare.
È necessario ed urgente intervenire, sostengono le Regioni, con una profonda azione riformatrice sui due sistemi dell’orientamento e dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP).
Prima di entrare nel merito delle iniziative, che di recente sono state adottate o solo proposte su questi temi, è opportuno evidenziare alcune criticità che rendono gli attuali “sistemi” dell’orientamento professionale, scolastico e formativo e dell’IeFP incapaci di rispondere in modo esaustivo ai bisogni delle persone.
Nel nostro Paese le istituzioni pubbliche e private che si occupano di orientamento sono molte, forse troppe. Queste operano, purtroppo, al di fuori di un modello coordinato ed integrato.
Accanto ai Centri per l’impiego, ai CILO agli sportelli Informagiovani, erogano servizi di orientamento le agenzie del lavoro autorizzate, gli enti di formazione, le cooperative sociali, le fondazioni, le onlus, le associazioni di categoria e ovviamente, le scuole.
Non sempre alla varietà e alla molteplicità dei soggetti corrisponde una maggiore chiarezza, qualità ed efficienza dei servizi. L’orientamento professionale, in quanto sistema, è di competenza regionale, che l’organizza in modo autonomo, spesso delegandolo alle province.
La presenza di troppi soggetti e di troppi e diversi modelli organizzativi non in rete, o in reti locali poco significative, e la loro capacità di operare solo su ambiti territori ristretti e solo per specifiche esigenze e competenze da questi espresse, disarticola e limita l’efficacia dell’azione di orientamento. Tuttavia, secondo un’opinione ampiamente diffusa e purtroppo consolidata, l’orientamento deve disporre di un modello organizzativo funzionale al territorio a cui afferisce e, pertanto, operare in funzione di questo, integrandosi ed interagendo con il tessuto economico e produttivo locale, con il sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale, con la scuola.
Là dove il territorio è carente di un diffuso e solido tessuto economico e produttivo, ad esempio nel Mezzogiorno del nostro Paese, l’orientamento non può svolgere appieno le sue funzioni. In queste Regioni, dove si riscontra una più alta esigenza di professionalizzazione, unitamente a più alte percentuali di disoccupazione giovanile e di abbandono scolastico, anche l’IeFP, ovvero l’anello di congiunzione, che avrebbe dovuto mettere in collegamento e far interagire l’orientamento e le imprese è stato talmente indebolito da risultare non più operativo, non più efficace, non più un’opportunità.
I percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale, sono cresciuti nel Nord, sono rimasti stabili al Centro si sono fortemente ridotti nel Mezzogiorno. In queste Regioni, più che altrove, la IeFP si presenta ancora come un sistema incompiuto, frammentato, sbilanciato e con una precaria sostenibilità economica (Conferenza delle Regioni 27 novembre 2014).
Insomma, questi territori (il termine è abusato) non hanno beneficiato di un sistema di orientamento integrato compiuto, mirato alla prevenzione dell’abbandono e alla valorizzazione dei percorsi professionalizzanti di breve durata, in particolare dei percorsi triennali, né un sistema di aggiornamento continuo degli operatori.
Il sistema regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale (IeFP) è oggi, pertanto, lo specchio della situazione economica in cui versa il Paese, che fatica a crescere in tutti quei territori dove l’orientamento, in ogni sua articolazione e funzione, non trova sponda in un sistema di formazione professionale solido, stabile ed efficace.
In concreto un giovane che risiede in una delle Regioni del nostro Mezzogiorno, può disporre di un servizio di orientamento poco efficace, se non del tutto inefficace, ha difficoltà ad accedere ai percorsi triennali di IeFP e, quindi, ad acquisire le competenze necessarie ad entrare nel mondo del lavoro. Insomma ha meno strumenti, e quindi opportunità ed occasioni di uscire dalla precarietà professionale di quanti ne abbia un suo coetaneo che risiede al Centro o al Nord del Paese.
E’ ormai opinione diffusa e condivisa che anche le altissime percentuali fatte registrare sia dall’abbandono, che dall’insuccesso scolastico e dalla disoccupazione giovanile in alcune aree del nostro Paese, sono la diretta e pesante conseguenza della combinazione di un carente sistema di orientamento e di una offerta di percorsi di IeFP, insufficiente e di discutibile qualità.
La Conferenza delle Regioni il 27 novembre 2014 ha sostenuto, per la prima volta, ma forse tardivamente, che il ruolo che i percorsi triennali di IeFP ricoprono nella lotta all’abbandono scolastico e alla disoccupazione giovanile è di fondamentale importanza e che gli stessi non possono operare se non in presenza ed in sintonia con un valido ed efficiente sistema di orientamento.
I percorsi di IeFP – si legge nel documento del 27 novembre – sono caratterizzati da un legame molto stretto con la professionalità da sviluppare e vedono nel lavoro il proprio punto di partenza anche come metodo…..le Regioni ,…, devono garantire il rispetto di una serie di disposizioni relative all’offerta, ai livelli di qualità delle strutture formative e dei percorsi; devono garantire il soddisfacimento della domanda di frequenza ed elementi di qualità dei percorsi.
Ma le Regioni sono in grado di sviluppare un programma così ambizioso? Hanno i mezzi per farlo? Sanno cosa significa in termini operativi “soddisfare la domanda di frequenza”? Ci sono ancora molte domande alle quali andrebbe data una risposta di certo più chiara ed esauriente. Una, comunque, va fatta. Se gli obiettivi sono quelli dichiarati, perché tutte le Regioni tagliano le risorse destinate alla IeFP? Perché le Regioni non investono sui giovani?
Si diceva, per la prima volta, dopo la riforma del titolo V della Costituzione, le Regioni tornano a parlare di un sistema nazionale di IeFP: i percorsi di IeFP rappresentano un livello essenziale delle prestazioni che deve essere garantito dallo Stato, in riferimento a studenti che sono in obbligo di istruzione o di diritto dovere di istruzione e formazione. In altri termini, si dice che lo Stato deve farsi carico dei costi e deve investire risorse sui percorsi di IeFP.
Da qui l’esigenza, non più rinviabile, di una riforma di carattere nazionale dell’orientamento professionale, scolastico e formativo non disgiunta da una complessiva riforma del carente sistema di Istruzione e Formazione Professionale.
Il primo passo è quello di uscire da confini angusti e penalizzanti, che ci siamo dati, per guardare, così come è giusto si faccia, ad un contesto territoriale ben più ampio. Questo territorio non può che essere l’Europa e le opportunità che questa offre. Le “linee guida nazionali sull’orientamento” tracciate il 5 dicembre 2013 dalla Conferenza Unificata, vanno timidamente in questa direzione.
Dal 2013 l’orientamento non è più solo una prestazione di carattere informativo ed episodico, a volte caratterizzato dalla estemporaneità e dalla buona volontà di chi lo esercita, è soprattutto un diritto che le istituzioni devono garantire al cittadino per tutto l’arco della vita.
Il diritto all’orientamento permanente viene assicurato dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Solo cosìl’orientamento può trasformarsi, riformarsi in azione sociale a tutto campo, che sostiene ed educa la persona nella ricerca del lavoro e non solo.
Alla consulenza orientativa si affiancano, ora, le funzioni educativa, informativa e di accompagnamento. Sebbene l’orientamento sia un diritto riconosciuto (e in quanto tale universale), tuttavia, sono le Regioni che la attuano, in quanto programmano e coordinano gli interventi e le politiche in materia, secondo disuguali forme e modalità organizzative individuate da loro stesse con il solo blando limite di generiche priorità nazionali.
E’ la medesima situazione che da tempo vive l’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) nel nostro Paese: presente in alcune Regioni, assente in altre. Eppure, sostengono le Regioni, il 60% dei ragazzi entro 6 mesi dalla qualifica/diploma professionale risultano collocati nel mondo del lavoro.
(*) Coordinatore Nazionale Cisl Scuola Formazione Professionale non Statale