1) la legge Fornero è sotto tiro da più parti. Dal vostro punto di vista quali sono gli effetti negativi riscontrati finora?
Le riforme del diritto sostanziale del lavoro, per vari motivi, non operano nel breve termine e le opinioni circa l’efficacia o meno dei nuovi istituti sono legittime, ma più come ipotesi su effetti futuri che come riscontro della realtà. L’attesa salvifica, sull’occupazione e sul rilancio del sistema economico, che si basi su riforme, anche rilevanti quale quella Fornero, è fuorviante: e forse un primo errore commesso dalla politica è stato quello di enfatizzare proprio la capacità, ripeto presentata come “salvifica”, della riforma Fornero, nel breve entro cui purtroppo siamo costretti a pensare sotto la pressione della crisi.
Diverso è il discorso su una parte della riforma che ha investito il processo del lavoro: quella che ha introdotto una procedura speciale per la trattazione delle cause di licenziamento nell’area di applicazione dell’art. 18 dello Statuto, contestualmente riformato.
Gli avvocati che praticano quotidianamente la difesa delle parti nella concreta realtà del lavoro hanno immediatamente denunziato le gravi incongruenze e gli effetti negativi – questi purtroppo immediati e nient’affatto da verificare sul lungo periodo – del nuovo rito processuale. Su questo, il giudizio unanime di AGI, e quindi degli avvocati di entrambe le parti del rapporto, è assolutamente negativo.
Il modello processuale del lavoro, nato nel 1973, è – sarebbe, sul piano normativo – perfetto e funzionale. Ci è invidiato da più parti ed è stato preso a modello di altre riforme del processo civile. Se i tempi della definizione delle cause, in moltissimi Fori, si è allungato a dismisura negli ultimi anni non è per colpa delle norme, ma dell’incuria di chi doveva semplificare gli istituti di diritto sostanziale, che generano litigiosità anche perché mal costruiti e contraddittori, dotare la macchina giudiziaria di mezzi, strumenti, personale, accorgimenti organizzativi e cultura manageriale nella direzione degli Uffici Giudiziari. Ed invece l’emergenza generale, che investe indubbiamente da anni tutti gli ambiti processuali, a partire da quello civile generale, è stata gestita nel peggiore dei modi. Con l’incuria e l’improvvisazione.
La riforma processuale contenuta nella legge Fornero è l’emblema di questa improvvisazione, “improvvida” e devastante.
Non posso certo entrare nella tecnica, ma, sommariamante, il nuovo rito sta seminando disagi, disfunzioni, ingiustizia sostanziale, frustrazione dei diritti, dispendio di risorse e moltiplicazione assurda di cause e fasi che davvero sono un ulteriore, grave colpo ad un processo in difficoltà.
In certi Fori i giudici ritengono che il rito sia obbligatorio, che le domande che non investono direttamente il licenziamento sono inammissibili, che se proposte impropriamente, naturalmente secondo il tal giudice, magari con opinione diversa da quello della porta accanto, producono comunque la decadenza del diritto sostanziale azionato; ritengono che il giudice che deve trattare l’opposizione debba essere la stessa persona fisica di quello che ha trattato la fase sommaria …. In altri Fori, o in altre “stanze” dello stesso Foro le applicazioni sono opposte.
Intanto chi ha bisogno di giustizia, magari non solo in ordine al licenziamento, subisce gli effetti negativi di queste gravissime incertezze, ovviamente dovute ad una pessima tecnica legislativa e non certo ad un’improvvisa schizofrenia dei giudici. Deve affrontarecosti moltiplicati per fare cause separate, che aggravano il carico giudiziario già al limite della sopportazione.
Come se non avessero già i ruoli straripanti, i giudici devono trovare improvvisamente spazi di agenda per trattare in tempi brevi – ma attenzione: sulla carta assolutamente analoghi a quelli scritti nel rito processuale ordinario – i processi sui licenziamenti; e lo devono fare con cognizione “sommaria”, ovvero con approccio tecnicamente superficiale, pur dovendo applicare oggi una norma sostanziale – il nuovo art. 18 – assolutamente più complessa di quella anteriore alla riforma. Il processo è sdoppiato in due fasi ancor in primo grado (ovvero nello stesso Tribunale): il che, in termini banali, vuol dire raddoppio del lavoro. La “corsia preferenziale” che la legge impone sui licenziamenti sta penalizzando a dismisura le cause “altre”. E questo, quando ormai il problema che suggeriva l’urgenza prima della riforma, ovvero la reintegrazione e il lievitare del risarcimento dovuto dal datore per l’eventuale illegittimità accertata del licenziamento, sono fortemente stemperati dal nuovo art. 18. La “coperta” della giustizia del lavoro era già terribilmente corta: è responsabile “tirarla” così fortemente da una parte senza curarsi di cosa avviene per tutte le altre domande di giustizia, che sono spesso non meno importanti (si pensi alla sicurezza del lavoro, alle cause sui trasferimenti, a controversie che chiedono al giudice di rimuovere illeciti che colpiscono diritti primari del lavoratore o la sua stessa salute, a molte controversie sulle prestazioni previdenziali) ?
2) come rimediare a una eterogeneità dei comportamenti dei diversi tribunali’
Agi ha promosso decine di iniziative di studio, congiunte tra avvocati e magistrati, per cercare vie interpretative ed applicative ragionevoli e omogenee, che limitassero l’assurdo ventaglio di soluzioni processuali ed i gravi disagi per i lavoratori e le imprese, che la legge voleva invece, nelle intenzioni, agevolare con una rapida, certa soluzione delle controversie sui licenziamenti. Agi ha promosso un’indagine approfondita estesa alle prassi sull’intero territorio nazionale. Il risultato è la certezza che la disciplina è talmente mal fatta che i comportamenti diversi dei giudici non potranno essere superati: quel rito non può che essere abrogato, subito e senza ulteriori “toppe” che non risolverebbero il disastro che ha creato e sta alimentando.
3) governo e parlamento si stanno preparando a cambiare la riforma. In sintesi, secondo lei, quali sono i punti più controversi?
Per quel che ho spiegato nelle prime due risposte non credo che sia opportuno, né francamente efficace, intervenire in modo significativo ora sugli istituti sostanziali della riforma: la si condivida o meno, è stata frutto di un confronto e si basa su un equilibrio tra le due flessibilità, in entrata e in uscita, che deve essere valutato in un periodo più lungo che i pochi mesi dal varo della legge. Certo, qualche aggiustamento tecnico è possibile, ad es. per rendere più semplice il ricorso all’apprendistato, ma facendo sempre attenzione a evitare gli abusi che sono in agguato dietro le norme sostanziali e che la legge Fornero ha voluto combattere con un piano complessivo. Ma non condivido, come ho già detto, l’attesa salvifica che si attribuisce a modifiche di questo o quell’istituto. Anzi, le continue modifiche normative sono in sé ragione di incertezze applicative e spesso di liti che costituiscono comunque un costo per lavoratori ed imprese e un aggravio per la giustizia, già in difficoltà.
L’unica vera riforma di impatto immediato e urgentissima è davvero e solo l’abrogazione del rito processuale assurdo che la legge ha introdotto.
Se poi la politica ritiene che si debba dire agli investitori che le cause sui licenziamenti hanno una corsia preferenziale e, almeno quelle, si risolvono in tempi brevi, si può salvare della riforma il solo accorgimento che fa oggi funzionare i tempi del nuovo rito: il monito ai capi degli Uffici Giudiziari ad esercitare managerialità nell’organizzazione del lavoro dei giudici. Questa misura è perfettamente compatibile con il processo ordinario del lavoro e non richiede certo uno scompiglio come quello creato dall’introduzione del rito speciale.
4) e quali suggerimenti portare per una nuova legge?
Un processo che funzioni davvero e torni ai tempi di pochissimi mesi che lo caratterizzavano fino ai primi anni ’80 nella gran parte dei Fori, sarebbe un vero beneficio per tutti. La giustizia del lavoro è chiamata, da sempre, ma ancor più in periodi di crisi come quello attuale, a stemperare le tensioni sociali, a dare ai cittadini che vivono una controversia la fiducia che possano ottenere una soluzione equa da un giudice imparziale. Una giustizia incapace di rispondere in tempi brevi e in modi credibili – perché la disfunzione e l’eccessivo carico in cui i giudici operano si riflettono anche sulla qualità delle pronunzie – alla domanda di giustizia è uno dei maggiori problemi del momento. Lo è perché tocca il livello di civiltà di una società e, visto che oggi si guarda tutto con la lente dell’economia, lo è perché gli investitori sanno bene che una giustizia inceppata è un rischio per l’investimento ed un costo certo.
Dunque, riforme che facciano funzionare la giustizia, prima di mettere nuovamente mano a quelle sostanziali.
Agi ha proposto ai Ministri competenti anche riforme “a costo zero”, come la crisi impone o va di moda fare oggi. Tra queste, oltre all’abrogazione del rito processuale Fornero, il rilancio dell’arbitrato, con essenziali correttivi della legge 183/2010 che lo disciplinò in modo errato e velleitario ed è rimasta giustamente lettera morta, e la conciliazione assistita da specialisti con effetti di stabilità dell’accordo raggiunto.
L’arbitrato, se reso secondo diritto, con lodo impugnabile davanti al giudice per le relative violazioni e con remunerazione degli arbitri con un “buono giustizia” pagato dallo Stato con il risparmio di spesa che deriva dal non dover trattare la causa attraverso la giustizia pubblica (un meccanismo analogo alla sanità convenzionata), sarebbe un importante mezzo alternativo che sgraverebbe la macchina giudiziaria; la conciliazione assistita sarebbe un incentivo a giungere ad accordi alternativi alla lite, spesso più soddisfacenti di una sentenza.
Poi è possibile introdurre sistemi che rendano spediti e sgravino il giudice dei procedimenti previdenziali che si basino su perizie.
5) non c’è il rischio che si legiferi condizionati dalla recessione negativa e non guardando al medio-lungo termine?
Il rischio c’è, indubbiamente. E quel che ho detto in esordio, sia riguardo all’improprietà delle aspettative salvifiche di riforme del lavoro, sia sui tempi naturali entro cui la riforme manifestano effetti, credo sia la miglior risposta. Ribadisco poi che le continue “riforme delle riforme” non giovano al sistema e creano problemi ulteriori più che benefici immediati.
6) ora si può dire che c’è maggiore flessibilità nella riduzione di personale delle imprese e nei licenziamenti (voi rappresentate sia i datori di lavoro sia i dipendenti)?
Indubbiamente la riforma Fornero ha notevolmente ridimensionato le garanzie che prima assistevano il lavoratore di fronte al licenziamento ingiustificato. Su questo è difficile dissentire. Lo ha fatto comunque entro un quadro complessivo di intervento, sia sulla flessibilità in entrata, che in certi casi ha irrigidito ed in altri ha modulato, come nel primo contratto a termine acausale, sia su quella in uscita, trovando un equilibrio frutto di compromesso politico e sociale che non può essere giudicato nel brevissimo periodo.
7) non pensa che comunque lo scopo di accelerare i processi sia una urgenza generale?
Indubbiamente lo è. Ma deve essere chiaro a tutti che la soluzione, data la misura della “coperta”, ovvero se queste sono le risorse disponibili, non si trova con interventi improvvidi tipo il processo Fornero. Si può cominciare da piccoli interventi a costo zero, cui ho accennato. Poi, se finalmente la politica si accorgerà che un processo celere, per tutte le controversie, è un valore assoluto di civiltà, un presidio di pace sociale e un valore economico importantissimo, con attenzione specifica, investimenti di cultura e economici, il processo può tornare a funzionare. Quello ordinario del lavoro, nella normadel 1973, può arrivare a sentenza in 60 -90 giorni: basterebbe che l’apparato fosse capace di rispettare la legge.
8) ritiene che il nuovo processo del lavoro, con tempi obbligati e procedure più veloci, possa rappresentare un modello anche per altre tipologie di procedimenti civili? (In particolare il concetto di corsia preferenziale)
Se parliamo del processo ordinario del lavoro, disciplinato dalla riforma del 1973, lo è già stato, non tanto per la “corsia preferenziale”, che a risorse date svantaggia le altre cause, quanto per la snellezza e concentrazione del rito. I meno giovani di noi ricordano bene i primi anni del nuovo rito del 1973: in 60 giorni si arrivava davanti al giudice che conosceva benissimo la causa e riusciva, proprio perciò, a portare le parti a conciliare moltissime controversie. Altrimenti decideva la lite alla stessa udienza o a pochi giorni di distanza, con sentenza immediatamente esecutiva che leggeva alle parti presenti. Occorre inventare un altro rito ? o basta la consapevolezza di avere già in vigore un rito ottimo, che deve solo essere dotato di strutture e mezzi ?
9) la categoria degli avvocati, ben rappresentata in parlamento, potrà pesare su queste riforme?
In linea di massima l’avvocato è un tecnico del diritto ed ha esperienza dell’applicazione delle norme nella realtà. Ma norme specialistiche, come quelle del lavoro, hanno caratteristiche e richiedono competenze di settore. Le associazioni professionali specialistiche possono dare un contributo alla politica, che poi deve fare le sue scelte valutando i molti fattori che incidono su una riforma. Agi ha nei suoi scopi e nella sua pratica la vocazione a dare questo contributo, senza pretendere di avere tutte le soluzioni.
10) più in generale che cosa si può dire riguardo gli avvocati giuslavoristi e l’impegno della associazione nei prossimi mesi?
L’impegno di AGI parte da lontano, dai suoi 10 anni di vita. Passa per una Scuola di Alta Formazione che crea cultura specialistica in circa 150 legali all’anno e passa per oltre 80 iniziative di dibattito e studio ogni anno sull’intero territorio nazionale. Ha un Comitato Scientifico che raccoglie il contributo di idee di notissimi docenti e avvocati di grande esperienza. La cultura e la formazione sono contributi essenziali ad ogni problema e la base di ogni intervento. Continueremo anzitutto su questa strada. Poi abbiamo proposte di riforma che stiamo illustrando ai Ministri della Giustizia, che incontreremo il 27 prossimo, e al Ministro del Lavoro, se risponderà alle nostre richieste di colloquio. E poi lavoreremo, come sempre, nella realtà processuale. Le norme e le riforme vivono anche nelle aule di giustizia, dove si trova pazientemente e civilmente la soluzione equilibrata delle controversie. Il “diritto vivente” nasce nella dialettica processuale. Gli avvocati specialisti vi danno, con i giudici, un contributo essenziale. Continueremo su queste strade, che sono essenziali per la società, nell’emergenza e quando finalmente ne usciremo.
(*) Presidente Avvocati Giuslavoristi Italiani. Intervista ripresa da Il Mondo 23/5/2013
(*) Presidente Avvocati Giuslavoristi Italiani