Il ridisegno del Pnrr che si sta operando in questi giorni nel tentativo di non perdere i fondi assegnati, sembra voler spostare ancor più l’asse dell’intervento verso le grandi imprese pubbliche, per altro oggetto in questi stessi giorni di una occupazione totale dei vertici aziendali da parte del governo.
Questo implica una enfasi sulle infrastrutture, a discapito di una necessità assoluta di rafforzare l’apparato industriale del Paese.
Certamente la nuova industria ha un bisogno spasmodico di infrastrutture efficienti e diffuse in tutto il Paese, ma è imprescindibile il rafforzamento delle vecchie manifatture da rinnovare profondamente e delle nuove manifatture da far crescere e spingere a livello internazionale.
Oggi il limite è più evidente al rinnovamento della nostra industria sono la mancanza di persone con competenze adeguate a gestire questa trasformazione. La ricerca condotta dalla Cattedra Unesco “educazione, crescita ed eguaglianza”, che dirigo alla Università di Ferrara, presenta richieste da parte delle imprese italiane che non trovano risposte sul mercato del lavoro .La Banca dati Talento, gestita dalla Cattedra, raccoglie ed analizza oltre 65 mila annunci di richiesta di competenze da parte delle imprese italiane.
Innanzitutto emerge una domanda di lavoro da parte delle imprese fortemente concentrata non solo nel Nord, ma sempre più confinata tra Milano e Venezia e Milano e Bologna, essenzialmente nelle città, lasciando ad esempio l’intero asse del Po in una situazione di abbandono. Le competenze richieste sono largamente rivolte a diplomati, più che laureati, in area tecnica, con buona conoscenza digitale, ma sopratutto con esperienza di impresa, certamente non surrogata dalla disponibilità del solo titolo di studio.
In altre parole c’è ancora tanta industria, che ha bisogno di innovare ma che ha certo bisogno di investimenti in tecnologie, ma soprattutto in persone aventi capacità e competenze necessarie per rendere produttive quelle tecnologie, che di per sé stesse rischiano di divenire un peso senza quel capitale umane che deve essere il principale fattore di sviluppo.
È certamente più difficile formare le persone e le competenze che investire in macchine, ma oggi è quanto mai necessario predisporre le condizioni per disporre di persone in grado non solo di adattarsi al cambiamento tecnologico, ma capaci di anticipare i cambiamenti. Questo diviene ancor più complesso specialmente in contesti demografici in rapido declino, come in Italia in cui nonostante l’alto grado di disoccupazione giovanile non si trovano giovani preparati per l’industria.
In altre parole oggi la politica industriale incrocia altre politiche, a partire dalle politiche educative e formative, senza contare del bisogno di una seria politica di attrazione di persone da altri contesti, che evidentemente è un tabù per questo esecutivo.
*Pro Rettore Università di Ferrara