La COP 28 è stata la prima Conferenza ad essere ospitata da un Paese “ricco di petrolio”; pur nelle tante controversie è riuscita ad includere la parola “combustibili fossili” in un accordo sul clima, raggiungendo un risultato importante: fissare la data, il 2050, condivisa tra tutti, compresi i Paesi produttori di gas e petrolio.
È un importante risultato culturale che ci indica la possibilità di una transizione in tempi credibili verso un’economia che avrà come motore l’energia da fonti rinnovabili e come fondamento l’economia circolare, slegando i profitti dallo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali con benefici per clima, città e paesaggio.
Con la Conferenza di Stoccolma (1972) sono stati dichiarati e definiti i limiti allo sviluppo; con la Conferenza di Rio (1992) e l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (2015) sono stati precisati gli obiettivi generali da perseguire ai fini di uno sviluppo sostenibile; con la Convenzione ONU sui Cambiamenti climatici (1992) e le successive Conferenze delle Parti (COP) il tema climatico ha condizionato le principali azioni di risposta con riflessi economici e sociali. Centro principale delle attenzioni sono diventate le emissioni da attività umane di gas serra (Protocollo di Kyoto 1996 e Accordo di Parigi 2015).
Negli ultimi anni l’Europa si è imposta obiettivi ancora più stringenti, precisando un modello di transizione integrata (ecologica, economica, sociale) per il superamento delle criticità attuali e prevedibili.
Per la transizione ecologica dobbiamo formulare alcune considerazioni iniziali: noi stessi siamo componenti della biodiversità, usiamo il capitale naturale e il contesto bio-fisico dei sistemi e degli ecosistemi sui quali poggiano gli insediamenti umani e le attività produttive.
Il sistema, nel suo essere interfaccia di fattori biotici e abiotici, è diventato fragile e vulnerabile.
La domanda che si pone è evidente: come governare la complessità del sistema nella ricerca delle soluzioni alle crisi in atto?
La risposta si deve costruire all’interno di una fase di transizione con tempi e modi differenti per le scale diverse e gli scenari temporali molteplici. La conseguenza è la difficoltà di un modello di transizione climatico ed ecologico unico e definito.
Stabilita la visione da raggiungere (lo sviluppo sostenibile condiviso da tutti) e una serie di priorità da non superare, sarà necessario un modello di transizione che sia flessibile e adattativo rispetto alle evoluzioni effettive del sistema e capace di eliminare progressivamente tutte le fonti che determinano la degenerazione degli ecosistemi e dei paesaggi.
Oggi siamo di fronte a un bivio. Quando nacque l’agricoltura, che ha integrato l’uomo nel paesaggio cambiandone l’aspetto, sostituendo foreste, aree umide e praterie con campi coltivati, eravamo pochi e la trasformazione fu molto limitata e capace di reggersi dentro le regole della natura.
Modificandosi il clima, si trasformano i luoghi dell’agricoltura e dei paesaggi agrari, delle connessioni verdi e blu, i luoghi delle fruizioni e della ricettività, i microclimi e altro.
L’evoluzione che sta investendo il campo della transizione climatica ed ecologica pone particolare attenzione al ruolo degli Ecosistemi, dei Paesaggi, e dei sistemi territoriali globali e locali. La necessità è un nuovo equilibrio tra le strategie finora usate, con una rilevanza specifica per le politiche di adattamento e di rigenerazione nel governo dei territori. Serve studiare e proporre transizioni molteplici tra loro strettamente intersecate, che riguardino il sistema complessivo nei diversi collegamenti (climatici, ambientali, digitali, tecnologici, demografici, sociali, politici), sostenendo la loro centralità rispetto al ruolo strategico degli Ecosistemi.
Strategie possibili di transizione, generali e locali, sono la Mitigazione (il massimo abbattimento possibile delle emissioni inquinanti di origine antropica) e l’Adattamento. Per “soluzioni di adattamento” s’intende l’attuazione di modifiche nei sistemi territoriali sensibili, in modo da prevenire gli squilibri locali provocati dagli impatti climatici, con strumenti di condivisione delle qualità e delle opportunità del territorio (le comunità energetiche e altro).
Vanno ampliate le condizioni di resilienza favorendo la progettazione e la realizzazione dei giardini della pioggia (che impregnano gli eccessi di acque meteoriche), di fasce e nuclei alberati capaci di mitigare calure estive in ambito urbano, di ecosistemi-filtro disinquinanti che sfruttano processi di auto-depurazione delle acque e dell’aria, di siepi e filari e altre unità para-naturali multi-funzionali in ambito rurale e agricolo. È necessaria una nuova attenzione per tutte le soluzioni integrabili con i progetti di infrastrutture verdi-blu.
Dobbiamo costruire un sistema d’insiemi, di unità funzionali tecnologiche e naturali fortemente integrate e compatibili tra loro, poggiate su reti eco-paesaggistiche multifunzionali e plurivalenti. Questo complesso di sistema d’insiemi dovrà essere in grado di sviluppare funzionalità, ridurre gli impatti delle opere e degli interventi e soprattutto superare i negavalori delle opere realizzate con valori puntuali e a-sistemici, collegamenti strutturali e organici.
La società umana per funzionare ha bisogno d’infrastrutture efficienti. Nella condizione di profonda metamorfosi dei contesti fisici, sociali, economici e istituzionali, anche i processi di rigenerazione urbana devono contribuire a costruire trame resilienti in tutti i territori e in particolare in quelli che mostrano evidenti squilibri e fragilità, Parliamo della città contemporanea su cui dobbiamo intervenire costruendo politiche che pongano al centro la qualità dell’abitare, l’uso di energie da fonti rinnovabili, la mobilità sostenibile soddisfacendo così i bisogni e le aspettative delle comunità locali.
Costruiamo, nei processi di rigenerazione urbana, tessuti resilienti; individuiamo relazioni e programmiamo interventi da effettuare in un ripetuto approccio alla regolazione ai valori della sostenibilità; ripensiamo i progetti come apparato abilitante di prospettive tese a migliorare la qualità dell’abitare e indicare le linee portanti degli interventi.
Dobbiamo costruire un’impalcatura sulla quale innestare mosaici resilienti, che contribuiscano a modificare positivamente gli assetti ambientali e socio/ economici.
I paesaggi necessariamente resteranno “in transizione”; non si può pensare che restino statici nel tempo per essere conservati nella loro integrità; occorre “governare” e “indirizzare” giustamente e positivamente le “trasformazioni”.
ll paesaggio è lo scenario in cui si svolgono le azioni umane, è dunque per sua natura in inevitabile “transizione”, evoluzione, cambiamento.
In conclusione la transizione deve essere necessariamente la conseguenza di una cultura e di una diplomazia che prescinde dagli interessi parziali. La transizione si dovrà governare solo con la politica economica e si potrà concretizzare con la realizzazione di un nuovo paradigma di sviluppo; la transizione deve essere pensata nella valutazione e rispetto delle necessità, delle possibilità, delle convenienze sostenibili e reciproche.
Il Paesaggio e la città funzionano bene solo se l’Ecosistema funziona bene; forme, funzioni e strutture vanno analizzate insieme; è per la limitazione dei fattori di crisi climatica che occorre produrre rapidamente un aumento significativo degli sforzi dedicati alla resilienza dei sistemi ecologici, dell’inclusione sociale e dell’economia.
Rievocare il significato tecnico originale di resilienza ecologica, implica rafforzare i sistemi territoriali nelle loro capacità di tornare allo stato iniziale dopo un particolare stress. L’adattamento è il processo per cambiare in modo permanente ma accettabile il proprio stato (in termini di “flessibilità”), stabilizzando prima di tutto gli ecosistemi che ospitano le presenze umane, riconoscendo e potenziando i loro servizi, attraverso le forestazioni, l’assorbimento naturale delle acque e tutto quello che sommariamente abbiamo accennato.
*Libero docente in università italiane