Altri meglio di me sapranno descrivere il valore giuridico e politico della legge 300 ma… provate a immaginare il clima politico e sindacale nelle fabbriche negli anni del dopo guerra. Sia nelle grandi concentrazioni operaie, che sopratutto nelle piccole e medie pochi erano i diritti, le Commissioni interne avevano forti limiti di potere e di rappresentanza, la Costituzione sui posti di lavoro era ignota e la dignità spesso era negata.
Le prime lotte unitarie cominciavano a scalfire il muro dello strapotere patronale, ma ancora in modo insufficiente. Alcuni accordi confederali cominciarono ad affermare primi principi, ma il clima era pesante ed in alcune situazioni repressivo. Esplosero altri tipi di lotte; per la casa, le pensioni, i trasporti. Verso la fine del 1969 si svilupparono gli scioperi per i rinnovi contrattuali e quello dei metalmeccanici fu il più combattuto: La tensione crebbe e arrivarono le bombe di piazza Fontana e di Roma.
La repressione era dura, le lotte non si piegarono (a Milano, Cisl Cgil e Uil per le morti di piazza Fontana chiamarono per i funerali in piazza duomo migliaia e migliaia di lavoratori e il tentativo delle destre di addossarne le responsabilità alle lotte operaie fallì). I contratti si chiusero rapidamente.
Subito dopo, il 20 Maggio 1970, fu varato lo Statuto dei Diritti dei lavoratori che diede spazio all’azione sindacale. In fabbrica cominciò a cambiare il clima, cittadinanza e dignità forzarono il pertugio e si affermò la contrattazione aziendale. Con quella legge, prese forma il progetto di Brodolini, Giugni, Donat Cattin con l’approvazione da parte di una maggioranza composita a chiara impronta socialista e con l’astensione del PCI, che lamentava la non estensione alle aziende con meno di 15 dipendenti.
Lo Statuto recepisce precedenti impostazioni del passato ma è altamente innovativo. Infatti prevede: diritti e divieti per garantire la libertà e la dignità dei lavoratori in particolare in materia di libertà di opinione dei lavoratori (art.1); regolazione dei poteri di controllo, di disciplina e sui trasferimenti; poi tratta delle libertà sindacali, del diritto a costituire associazioni sindacali nei luoghi di lavoro , la nullità degli atti discriminatori e il divieto a costituire sindacati di comodo, stabilità del posto di lavoro e tutele per i lavoratori nel caso di licenziamento illegittimo; infine, definisce le prerogative dell’ attività sindacale, riconoscendo al Sindacato il potere di operare nella sfera giuridica dell’ imprenditore per il conseguimento dei propri obiettivi di rappresentanza e tutela e altro ancora .
Ho riassunto e limato i contenuti di dettaglio, per affermare che per più di cinquant’anni lo Statuto ha dato cittadinanza e diritti che prima erano negati, dove la discriminazione (quasi generalizzata) imperava, dove valeva la logica gerarchica e superba dei capi, dove non si tutelava né salute, né sicurezza, dove la retribuzione sempre o quasi non rispondeva al merito della professionalità espressa, dove il diritto a rappresentare ed ad essere rappresentati veniva o negato o osteggiato. Era il tempo del lavoro negato (anche negli anni del boom), lavoro disprezzato, lavoro deprezzato, lavoro insicuro e malsano.
Oggi va definita una nuova frontiera dall’ azione sindacale e dei diritti, in linea con le grandi trasformazioni sempre più veloci. Faccio un esempio: anni fa avevamo nel CCNL dei metalmeccanici una norma che vietava di inserire un laureato al di sotto del quarto livello. Oggi spesso il laureato non dichiara (spesso)il suo titolo, pena non essere assunto La nuova frontiera dell’ impegno sindacale, ma anche di altri attori deve impegnare le intelligenze per stendere un nuovo catalogo dei diritti che la nefasta logica della disintermediazione ha degenerato. Lo Statuto è stato una pietra miliare nel sistema dei diritti e delle rappresentanze, va adeguato alle nuove sfide e ai nuovi bisogni e sarà il pane quotidiano per tutti quelli che fanno della dignità la misura del loro impegno. Serve una nuova stagione della contrattazione, nel tempo della AI, una rivoluzione nel pensiero e nel rapporto con i lavoratori che non sono un tutt’ uno indistinto, ma hanno specificità e soggettività ben distinte. Accanto ai contenuti tradizionali vanno potenziati quelli relativi alla formazione specifica e continua, al welfare, al tempo per sé e per la famiglia. Non tradiamo la nostra storia. In definitiva, lo Statuto non è stato soltanto l’articolo 18, ma una organica costruzione delle condizioni per dare dignità al lavoro. Come e’ stato detto autorevolmente con lo Statuto la Costituzione è entrata in fabbrica e da allora nessuno l’ha potuta buttare fuori.