Noi : valore collettivo, espressione di un io plurimo o valore di sintesi?
Io: individualità, positiva o negativa che sia, oppure espressione di “individualità aggregate e collettive” che si determinano sia come positive e nobili aggregazioni identitarie, sia al negativo come corporazioni, gerarchie, razzismi, predomini, potere assoluto?
I valori positivi li troviamo quando “Io” e “noi” sono coniugati come espressione congiunta della partecipazione, individuale e collettiva, alla formazione di un’ipotesi culturale, di organizzazioni sociali e strutture economiche, capaci di rappresentare il valore della sintesi.
L’io del ricercatore sociale e scientifico confluisce naturalmente nel noi della cultura del luogo e di quel popolo; la cultura di quel luogo e di quel popolo promuove lo studio e la ricerca scientifica ed economica dei singoli che, in questa circolarità e in questa sintesi dei comportamenti, renderanno ricca la cultura del luogo.
È questo Il valore, e si riconosce nella sintesi tra questi due termini plurimi e dialettici, che per esprimersi al meglio non hanno bisogno di contrapporsi bensì di integrarsi, hanno bisogno di contrapporsi al “loro” (nella versione spregiativa di contrapposizione sia all’io che al noi) e al “voi” (anche questo nella versione spregiativa della diversità non accettata, e comunque considerata inferiore sul piano strutturale e sovrastrutturale).
È alla contrapposizione tra l’io e il noi che si può riferire il valore della loro sintesi, verificata sui vantaggi che può portare la collaborazione tra gli IO e i NOI in termini culturali, strutturali, sociali ed economici.
Forse solo la politica con la ‘p’ MINUSCOLA la auspica, perché ha bisogno di identità contrapposte, perché antepone lo scontro al confronto e al dialogo da ricercarsi pur nella coscienza e consapevolezza del “possibile”.
Pongo una domanda retorica: perché nelle scuole (anche elementari) e nei giochi (anche quelli dell’infanzia) la materia principale d’insegnamento, la struttura del gioco, il riferimento culturale e comportamentale non è la diplomazia? Sì, la diplomazia, intesa come disciplina dell’ascolto e della pacatezza dei comportamenti, la disciplina che insegna la costruzione sapiente e colta del dialogo, del confronto, della coscienza delle necessità reciproche.
Da sempre i bambini giocano alla lotta e alla guerra, e ora, nell’isolamento dei social, con i videogiochi pieni di mostri e di violenza, agiscono in assenza di dialogo e di gioco con gli altri: sono gare di velocità a chi “schiaccia” prima, dove il riflesso condizionato conta di più del tempo della riflessione.
Il confronto, la dialettica, il dubbio, la curiosità del nuovo e la certezza del conosciuto, sono indubbiamente elementi fondamentali per la conoscenza e per costruire nuove culture e conoscenze, figlie ma non schiave del conosciuto.
Il sapere e la cultura dell’io, sia esso “io individuo” o “io collettivo”, quando si arroga il diritto di essere l’espressione di conoscenze e sapienze preminenti e sovrastanti, diventa il presupposto di scontri e guerre che sviliscono e degradano altre conoscenze e culture, che rafforzano dipendenze e sudditanze, che partecipano a formare e rafforzare colonialismi e razzismi in un mondo di diversità, contrapposizioni, supremazie, disprezzo o anche solo disinteresse per il diverso.
Ho già scritto su questo giornale che uno degli estensori materiali dei “diritti dell’uomo” nei nascenti Stati Uniti d’America, era proprietario di schiavi neri e nativi. È una definizione chiara dell’io, individuale e collettivo ma comunque identitario, che parla di diritti di alcuni, quando l’io è solo identitario, quando l’io (anche se collettivo) si pone non per confluire nel “noi” ma per marcare differenze e gerarchie con “loro”. In questo caso l’io diventa collettivo e raggruppa tutti gli “io” che interpretano il mondo come “loro” senza nessun rispetto per “loro/altri”.
Io – noi : quante coniugazioni dell’io e del noi abbiamo incontrato nella storia dei popoli e del Potere! Da sempre Io e Noi sono gli elementi capaci di esprimere la cultura di un popolo, di un territorio, di un’epoca.
L’io del re (Luigi XIV si firmava LUIS) non è certo l’io degli anarchici, eppure entrambi non transigono rispetto al valore e al ruolo dell’individualità. Sono certo che su questi due termini si possa scrivere la storia di un popolo nelle sue preminenze individuali o sociali, nei sui valori plurimi e collettivi, nel ruolo dell’IO e dei NOI che l’hanno determinata e subita.
Purtroppo per noi, negli ultimi decenni viviamo una fase storica locale e globale in cui predomina l’io dei singoli, della competitività, del benessere individuale, in cui le piccole e ristrette collettività preminenti per capacità di possesso e di controllo della ricchezza e delle tecnologie, sono assurte a “faro” e a modello di comportamenti e obiettivi.
Il predominio di questo IO è evidente e si esprime nella divisione impari della ricchezza, nei femminicidi, nelle morti sul lavoro, nella povertà e disparità tra Paesi e Continenti in cui chi subisce sono i “noi” coniugati in modo dispregiativo come “loro”, come “gli altri”.
Stiamo perdendo i valori collettivi. Offro un piccolo elemento di riflessione: quanto regresso esprimono i nostri partiti politici quando non hanno più un segretario, un coordinatore delle dialettiche e delle diversità, ma una leader o un leader (che, in realtà si scrive leader ma si pronuncia capo)? Ci chiedono voti e consenso in nome di una sola persona che prima propone la lista dei candidati da votare e poi si candida a gestire per tutti.
Nulla avviene a caso e come dice un vecchio detto: “entra ‘e spighetta e poi si mette chiatto” (entra di traverso, strisciando lungo la parete, e poi si mette comodo e preminente).
Eppure ci stiamo avviando verso una società multirazziale e pluriculturale; dobbiamo costruirla multiculturale, perché i processi di mobilità sono inarrestabili e irreversibili, come sono stati inarrestabili la crescita demografica e i processi di mobilità del capitale finanziario e delle multinazionali.
Per di più, la geografia economica e sociale degli Stati e dei Paesi è cambiata profondamente e sta cambiando senza però bloccare i flussi della mobilità.
E allora?
Allora c’è una via chiara: costruiamo il presente sul futuro e non sulla difesa corporativa del passato.
È ora che il noi ritrovi la sua forza, ma non necessariamente una forza preminente, bensì una forza che si faccia soggetto del dialogo e della ricomposizione dei valori collettivi e individuali.
È un processo culturale, quello che dobbiamo avviare, in cui i valori del soggetto sociale si riconoscano nell’io e nel noi.
Difficile?
Senz’altro sì, considerato che la storia è più storia di soprusi che di altro. Ma il futuro è un mosaico che si costruisce tessera dopo tessera, e solo alla fine ci si presenta come quadro. L’importante è costruire e stare attenti a non accettare cose che poi ci si ritorceranno contro.
I cambiamenti che passano strisciando, che vengono accettati per pigrizia o perché non si può sempre lottare, alla fine producono storia e cultura che cambia comportamenti e azioni.
E allora? Allora ‘Noi’, come valore di sintesi.