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A vecchi vizi, contrapporre nuove virtù

La battuta del Ministro del Lavoro (l’orario di lavoro è un attrezzo vecchio”) non è stata felice, tanto che, dopo le prime bordate – anche queste, per la verità, emotive – giunte da molti settori del sindacato, ha precisato meglio il suo pensiero, sgonfiando la polemica. Ma non conviene archiviarla, perché ha fatto emergere alcuni vecchi vizi e poche nuove virtù. A dimostrazione che, in fatto di lavoro, non solo persiste uno scontro non risolto tra culture gestionali e giuslavoristiche, prima ancora che politiche, ma che è ancora incerta quale sia la migliore strumentazione (legge o contrattazione) per far evolvere le situazioni.

Poletti ha sottolineato che ormai ci sono molti lavori subordinati svolti con una forte flessibilità negli orari e nel luogo dove avviene la prestazione (cioè si può lavorare in autonomia oraria, non sempre nell’azienda). Ha anche detto che in questo modo si può favorire la crescita della produttività alla quale agganciare i salari.  Ha, infine, fatto riferimento al collegato lavoro che prevede di regolamentare questo tipo di lavoro che viene denominato “lavoro agile” o “smart working”. Sostanzialmente una evoluzione ed estensione del tele lavoro.

Molti commentatori, sindacalisti, politici hanno visto in questa uscita una riedizione della “cattiva flessibilità”, dell’aggiramento delle tutele collettive a favore della piena libertà dell’impresa di dettate le condizioni effettive del lavoro da svolgere, dell’ennesimo attacco al ruolo del sindacato, al di là delle precisazioni fatte a polemica accesa. Al vecchio vizio di cercare l’argomento ad effetto per evidenziare una questione che è comunque nella realtà dei fatti, si è contrapposto quello della denuncia eclatante di una volontà di sopraffazione dei diritti e di un allarme circa le conseguenze per il sindacato.

Mi sembra che abbia fatto bene Marco Bentivogli della Fim Cisl (vedere l’articolo che dedica all’argomento su questo numero) a ricordare sia che la casistica sulle regolamentazioni negoziali di forme flessibili di orari nell’azienda e fuori dell’azienda di appartenenza ormai è ricchissima, sia che riguarda il lavoro manuale come quello tecnico ed intellettuale, che l’organizzazione del lavoro del futuro prevederà zone sempre più ampie di lavoro autodeterminato. Non è il solo ad esserne convinto. Dal fronte imprenditoriale giungono segnali interessanti. “Fallo come vuoi, fallo quando vuoi, ma fallo bene” va ripetendo il Ceo di Siemens Federico Golla. E’ tanto convinto di quello che dice, che  ha avviato nel 2011 il progetto “Siemens office” che prevede, su base volontaria, l’applicazione del “lavoro agile”.

D’altra parte, se non si vuole continuare a vivere in un sistema economico che cresca sempre dello zero virgola all’anno, per dirla con il Censis, la questione della produttività dovrà essere sempre più il nocciolo duro dell’organizzazione del lavoro pubblico e privato e quindi delle relazioni sindacali. Attorno ad esso, c’è bisogno di tante altre cose: servizi che funzionano, amministrazioni pubbliche efficienti, giustizia rapida, infrastrutture materiali ed immateriali al passo con i tempi, formazione professionale, universitaria e continua sempre meglio orientata ai cambiamenti nel mercato del lavoro. Ma ciò che conta veramente è che i produttori si mettano d’accordo su come far crescere la produttività senza sminuire la dignità del lavoratore.

Perché ciò accada, sarebbe meglio che non si ricaschi nel vecchio vizio di legiferare su questa forma di lavoro. Sia perché non ancora sono delineabili i confini entro cui il “lavoro agile” può essere codificato. Sia perché lo strumento legislativo è troppo rigido per non diventare in fretta motivo di deroga, se non di devianza illegale, e quindi di conflitto giurisprudenziale e sindacale. Altra cosa è se si vuole incentivare la diffusione di questa modalità lavorativa. Farla rientrare tra le causali della detassazione del 10% per il salario di produttività, appare ragionevole e può essere fatto facendo riferimento alla contrattazione tra le parti sociali.

Questa mi sembra la vera fucina della proliferazione del “lavoro agile”. La contrattazione può fornire le indicazioni più rassicuranti, per tutti, che produttività e dignità del lavoro possano camminare di pari passo. Quindi, meglio tanti accordi decentrati che un collegato lavoro costruito a tavolino. E questa, a mio avviso, sarebbe stata la polemica più efficace da fare con il Ministro del lavoro. 

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