E’ uscito nelle librerie, per Chiarelettere, una riedizione di Storia di una passione politica. Il libro, come scrive Dacia Maraini nella sua prefazione, è “Un ritratto di Tina Anselmi a tutto tondo, che emerge dalle sue stesse parole, raccolte da Anna Vinci con un lavoro fatto con cura, delicatezza e amore, e durato anni.” Un libro denso e appassionato. Con la scrittrice Anna Vinci, in questa intervista, approfondiamo alcuni aspetti della figura di Tina Anselmi. Figura che è stata ricordata, nel giorno che commemora la Liberazione dal Nazifascismo, dalla Rai, il 25 aprile, in prima serata, con il film-tv “Una vita per la democrazia” diretto da Luciano Manuzzi, con l’attriceSarah Felberbaum che interpreta proprio Tina Anselmi.
Avevi scritto una seconda opera, sempre per Chiarelettere, su Tina Anselmi (LA P2 NEI DIARI SEGRETI DI TINA ANSELMI). Ti chiedo come nasce questo tuo interesse per la figura dell’Anselmi (da te conosciuta bene)?
L’interesse per Tina Anselmi, credo che sia comune a molte cittadine e cittadini. Anche negli anni trascorsi dal 2002 – quando ho realizzato il mio primo documentario su Tina, e lei viveva prevalentemente a Castelfranco, e si dedicava ad andare nelle scuole a parlare con i giovani, a incontri con i cittadini, appartata sulla scena politica parlamentare, ma mai avulsa dall’impegno civile – ma anche dopo la sua morte nel 2016, l’interesse per Tina non è mai scemato. È rimasta viva nell’immaginario collettivo, figura coerente, appassionata, donna di raro spessore e potere che ha attraversato e ha dato una forte impronta alla Storia d’Italia, del secondo Novecento. È normale che avendola io già conosciuta per lavoro fin dalla fine degli anni Settanta, seguendo il suo lavoro politico, come tanti giornalisti, quando ho avuto l’occasione di ‘avvicinarmi’ a lei per un lavoro più complesso come appunto un documentario, sia poi restata, grazie alla disponibilità mostrata nei miei confronti, legata alle sue vicende e da qui il primo libro. Poi di seguito altri incontri e altro studio e approfondimento da parte mia, con molto interesse professionale. Mano a mano, si è creata una certa confidenza e posso azzardare, affetto tra di noi. Per la seconda domanda insita nella prima, riguardo al secondo libro, rispondo con le parole di Tina, per spiegare il valore del suo diario segreto [redatto durante i lavori della Commissione sulla P2 n.d.r] a me poi consegnato e divenuto libro: “Ho scritto tante cose su quei foglietti. Ne ho ancora molti. Li tengo da parte, perché ci sono pensieri che mi hanno confortato all’epoca, mi hanno aiutata ad andare avanti. Uno di questi pensieri è: «La verità possono cercarla solo quelli che hanno la capacità di sopportarla”. […] Sono passati tanti anni da quei giorniMa siamo così sicuri che dell’azione piduista, che costituì un motivo di minaccia per la nostra democrazia, non resti più nulla? […] Lo so, già sento i commenti: ancora l’Anselmi. Ancora parla di fatti di oltre vent’anni fa? Ma non stava male?
Non c’è di peggio, in democrazia, che gettare il ridicolo sulla ricerca di verità e di coerenza. Abituare i cittadini a questo gioco al massacro. Spostare le carte in continuazione. Ma le carte parlano. E allora, ecco ancora un’interpretazione denigratoria: parlano perché i giudici sono di parte, parlano perché i giornalisti sono faziosi, parlano perché i politici sono pessimisti, peggio iettatori. Parlano perché sono i foglietti di una fissata, per di più vecchia e un po’ acciaccata”.
La forza che emerge da questo diario è la capacità di Tina di non tirarsi indietro, non temeva quello che avrebbe scoperto: la presenza dei servizi segreti nelle vicende più oscure e insanguinate della vita della nostra Repubblica. Servizi che lei nella relazione conclusiva della relazione sul lavoro svolto dalla Commissione, dalla fine del 1981 ad agosto del 1984, definiva Servizi Devianti. Dando un maggiore valore al loro ruolo, un ruolo che rendeva più difficile portare a galla la verità, scoperchiare quella che lei chiamava l’altra faccia della luna della nostra Storia.
Tutto il libro, questo appena uscito, è attraversato dalla grande passione politica di Tina. Approfondiamo alcuni punti di questa passione politica. Incominciamo proprio dalla sua prima grande esperienza: la partecipazione, da giovanissima, alla Resistenza contro il Nazifascismo. Si rimane impressionati nel vedere una ragazza di 17 anni con questa determinazione. Come matura il suo radicale Antifascismo?
Come sempre in Tina la scelta matura dalla sua capacità di guardare la realtà. Certo in lei c’è fin da ragazza un’attenzione a ciò che accade. Madre cattolica, frequentazione dell’Azione Cattolica, innato senso della giustizia, padre socialista, con la tessera del partito firmata da Matteotti, conservata sempre nella tasca, un socialista sofferto, silenzioso, ma non per questo meno controllato: durante le radunate fasciste, i comizi a Castelfranco, era portato in guardiola, gli aguzzini gli somministravano l’olio di ricino… in breve lo umiliavano.
L’aria, dopo l’otto settembre del 1943, nel Veneto sotto l’occupazione dei Nazisti alleati con i Repubblichini, era irrespirabile. Crudeltà e soprusi, aumentarono dopo il 4 agosto del 1944, quando anche la Toscana era stata liberata, non per niente si parla dell’estate di sangue del Veneto. Nella Marca trevigiana, la zona di Tina, che vive a Castelfranco, la lotta partigiana prende sempre più piede e da questa barbarie, nasce la presa d’atto di Tina:“non si può voltare lo sguardo dall’altra parte, tra la vittima e il carnefice, bisogna scegliere e stare dalla parte di chi subisce”. Questa consapevolezza avrebbe in seguito indirizzato la sua vita politica.
La scelta della lotta armata non era cosa da poco per una cattolica. Con quale spirito accetta la lotta armata? Per l’Anselmi qual è il valore permanente della Resistenza e del 25 Aprile?
Ti rispondo con le sue parole di Tina Anselmi nell’incipit del libro Storia di una passione politica.
“TINA, nome di battaglia Gabriella, anni diciassette,giovane, come tante, nella Resistenza. Non ho mai pensato che noi ragazze e ragazzi che scegliemmo di batterci contro il nazifascismo fossimo eccezionali, ed è questo che vorrei raccontare: la nostra normalità. Nella normalità trovammo la forza per opporci all’orrore, il coraggio, a volte mi viene da dire la nostra beata incoscienza. E così alla morte che ci minacciava, che colpiva le famiglie, gli amici, i paesi, rispondemmo con il desiderio di vita. Bastava aprire la porta di casa per incrociare il crepitare delle armi, le file degli sfollati, imbattersi nella ricerca dei dispersi; partecipare dell’angoscia delle donne in attesa di un ritorno che forse non ci sarebbe stato: ma le macerie erano fuori, non dentro di noi. E se l’unico modo di riprenderci ciò che ci avevano tolto era di imbracciare il fucile, ebbene l’avremmo fatto. Volevamo costruire un mondo migliore non solo per noi, ma per coloro che subivano, che non vedevano, non potevano o non volevano guardare. E se è sempre azzardato decidere per gli altri, temerario arrogarsi il diritto della verità, c’erano le grida di dolore degli innocenti a supportare la nostra scelta, c’era l’oltraggio quotidiano alla dignità umana, c’era la nostra assunzione di responsabilità: eravamo pronti a morire battendoci contro il nemico, a morire detestando la morte, a morire per la pace e per la libertà”. Queste parole possono restare valide anche oggi…
Un altro passaggio fondamentale nel percorso civile di Tina Anselmi è stata la sua esperienza di sindacalista. Una esperienza di grande formazione per lei. E in parallelo all’impegno sindacale si avvicina alla Dc, il partito dei cattolici democratici. Milita nella corrente morotea e più tardi nell’area Zac (la sinistra dc). Cosa rappresentava per l’Anselmi ĺa Dc? E il suo impegno sindacale?
Nei primi anni del dopo guerra, pur nella gioia della pace ritrovata, il mondo si ‘scopre’ un mondo diviso in due, che spinge a fare ulteriori scelte. Fu facile, posso dire, per Tina Anselmi, per la sua adesione al cattolicesimo democratico, iscriversi alla DC, così come scegliere di impegnarsi dopo la scissione sindacale, nella Cisl di Giulio Pastore. Come diceva sovente, “le scelte, quando ti conosci bene, hai elaborato una tua storia interna, vengono facili, pur nella consapevolezza della loro complessità”. Riguardo l’adesione al sindacato, mi affido di nuovo, alle sue parole: “Nella Castellana, e in tutto il Veneto, c’era una comunità che aveva veramente bisogno di essere sollevata. I disoccupati erano numerosi, e i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori erano durissimi. Non esistevano ancora tutele sindacali e c’era molta disuguaglianza tra donne e uomini. Non bisogna dimenticare che le donne passavano direttamente dai campi alle fabbriche senza alcuna preparazione al lavoro, e spesso non erano a conoscenza delle più elementari norme di comportamento. […] Posso dire che i soprusi e le ingiustizie erano all’ordine del giorno. Ricordo con una chiarezza impressionante le mani «lessate» delle filandiere, mani doloranti dopo che erano state tutto il giorno nelle bacinelle di acqua bollente per lavorare i bossoli. Era naturale, stando dalla loro parte con partecipazione umana, che tra loro e me, e le ragazze impegnate nel sindacato – presto infatti ebbi accanto altre militanti – si creasse un senso di comunanza. Era una sensazione bellissima, e io mi ero affezionata al loro mondo e quel mondo mi aveva accolta, mi aveva adottata, mi aveva dato fiducia”.
Nel libro emergono parole come “coscienza “, “dialogo” e “responsabilità “. Insomma per Tina Anselmi queste tre parole racchiudono la politica. È così ?
Racchiudono la politica e la vita. Non ci può essere uno iato tra il modo di vivere e di fare politica. Chi ha responsabilità nella gestione della cosa pubblica, deve rispettare I cittadini e le cittadine che rappresenta – o almeno dovrebbe – ma non si può dimenticare che è inserito in un meccanismo con proprie regole, diritti e doveri con appartenenze partitiche differenti, ma è fondamentale che l’avversario politico non venga considerato un nemico e che la ricerca del dialogo sia tentata fino alla fine, non abdicando ai propri ideali. E non si confonda la ricerca di un compromesso, di una mediazione, con la compromissione. La compromissione, avere le mani legate, non essere liberi di seguire la propria coscienza, avendo presente il bene del Paese sono figli di segreti, di ricatti soprattutto. Precisava, ed era categorica: “Il ricatto può essere l’origine della corruzione, del degrado delle istituzioni in una democrazia. Il ricatto ha in sé una carica eversiva pericolosissima, in politica bisogna guardarsi dal dare spazio anche solo al ricatto di una persona, e non solo per un fatto morale, soprattutto se il ricattato ha responsabilità di governo. Rischieremmo di essere rappresentati da una persona, uomo o donna che sia, le cui decisioni non poggiano sull’interesse del paese, ma sul suo personale e, cosa gravissima, su un interesse che è riflesso di altri interessi, che restano nell’ombra. Senza trasparenza, la democrazia agonizza. Si parla tanto di questione morale, e invece di parlarne bisognerebbe capire perché la vigilanza che doveva esserci non c’è stata; e aggredire l’origine dell’immoralità. Anche rischiando di essere impopolari. Perché in politica le scelte giuste spesso si pagano. Almeno sul momento”.
Siamo alla fine del nostro dialogo. Cosa può dirci, oggi, questa donna coraggiosa?
Spero di essere riuscita con le mie riposte a “dire” quello che ho cercato in tutti questi anni di raccontare di Tina Anselmi, la Mina Vagante, La donna Ponte. Due espressioni, con le quali veniva a seconda dei momenti soprannominata, e racchiudono la capacità di Tina di scompigliare l’esistente quando era necessario, con l’obiettivo di ricomporlo. Una contraddizione che lei sapeva gestire. Tina Anselmi fa parte di quelle persone, credo non comuni, che diventano quelle che erano destinate a diventare.
Dal sito: www.rainews.it