Siamo tutti d’accordo che – passata la fase dell’emergenza e degli interventi tampone – incomincia la parte veramente difficile per affrontare la crisi: quella di delineare un piano di modernizzazione e trasformazione dell’economia italiana che la porti su quel sentiero di crescita che abbiamo smarrito più di due decenni fa. Le risorse non mancano.
L’Unione europea ha già messo a nostra disposizione qualche miliardo a integrazione dei fondi di coesione e strutturali, rendendone più facile l’utilizzo; 18-20 miliardi di fondi SURE che potremmo utilizzare per accompagnare i lavoratori in cassa integrazione a nuovi impieghi; 36 miliardi di fondi MES per rafforzare la nostra infrastruttura sanitaria e aiutare le imprese a sostenere i costi per adeguare gli impianti produttivi alle nuove esigenze di sicurezza sanitaria. Pur se ancora in negoziazione davanti al Consiglio europeo, vi sono pochi dubbi che ampie risorse arriveranno dal nuovo strumento del bilancio europeo, Next Generation EU, probabilmente oltre 150 miliardi per progetti di trasformazione verde e digitale dell’economia italiana.
Il presidente del Consiglio ci ha promesso in apertura degli Stati Generali sull’economia italiana che non un solo euro verrà sprecato, che li sapremo spendere. Gli vogliamo credere. Ma dovrà superare alcuni difetti endemici del nostro sistema politico.
Le ricette non mancano (e ora ad esse si è aggiunta la lista di oltre cento misure del Rapporto Colao), ma manca di solito la volontà politica di applicarle. Alla minima resistenza, ci si ferma o si ritorna indietro. Troppi sono gli esempi che possiamo portare da parte dei diversi (per tempi e composizione politica) Governi che hanno smentito precedenti riforme o fatto marcia indietro dopo aver cercato di varare progetti di riforme. Ma non servono processi al passato.
Serve riflettere sul fatto che in Italia l’instabilità politica è una caratteristica di fondo che impedisce ai governi di portare a compimento azioni di reale riforma, senza il rischio che un successivo governo intervenga a modificare quanto fatto e a proporre nuove soluzioni che anch’esse saranno modificate dal governo che verrà dopo di lui.
Eppure, nei prossimi mesi sarà necessario che il Paese si impegni per diversi anni su come impiegare le risorse che l’Unione Europea metterà a disposizione.
Infatti, le scelte che dovremo fare per usufruire del Next Generation Fund impegneranno il nostro Paese almeno per un decennio e non è immaginabile che esse abbiano la credibilità necessaria nei confronti dei nostri partner europei se esse non sono condivise da un vasto arco di forze politiche. Infatti, non sarebbe possibile dare credibilità ai progetti e agli interventi della maggioranza, se l’opposizione promette di smantellarli appena arriverà al governo. Sarebbe dunque necessario un accordo che sia il più ampio possibile in Parlamento, ma osta a questo obiettivo il continuo succedersi di momenti elettorali che finiscono per distogliere i partiti dagli obiettivi di più lungo termine.
Serve unità d’intenti almeno sui grandi indirizzi per l’impiego delle gigantesche risorse che l’Europa ci sta mettendo a disposizione. Ai partiti dobbiamo chiedere questa prova di responsabilità, sacrificando almeno un poco la ricerca del consenso all’interesse vitale del Paese. Il Governo ha un compito di immane difficoltà; la ricerca di un consenso politico più vasto della sua maggioranza – come del resto chiede da tempo il Presidente Mattarella – può rendere il suo compito meno improbo.
Ma non basta. Nella ricerca di un consenso sulle ricette per salvare il Paese e rimetterlo in carreggiata è importante che si impegnino le parti sociali, per far emergere una volontà riformatrice che porti il paese verso traguardi di migliore efficienza e di migliore giustizia distributiva. Le forze sociali del Paese e le loro rappresentanze sono elementi di stabilità nel quadro italiano e possono, anzi devono, trovare loro quella convergenza di opinione per indicare obiettivi e strumenti per realizzare un ammodernamento del paese e per ridurre gli elementi di ingiustizia tuttora presenti.
Se le rappresentanze delle forze sociali si sforzeranno di mettere assieme un progetto di crescita dell’economia e dell’occupazione, di miglioramento della distribuzione del reddito, di lotta all’evasione fiscale e, quindi, di riduzione progressiva del peso del debito pubblico, allora qualsiasi governo italiano sarà legittimato a prendere impegni con l’Unione Europea, perché avrà assicurato il sostegno di una parte rilevante della società italiana alle misure di ricostruzione di un Paese più giusto e più efficiente. Un sostegno che renderà difficile ad un eventuale nuovo governo che dovesse succedere all’attuale di fare marcia indietro.
Non è semplice per le forze sociali trovare un simile accordo, ma non è neppure impossibile. Sarebbe uno sforzo meritorio che nulla toglierebbe alla politica, ma offrirebbe al Parlamento una platea di consenso che è necessaria perché ogni progetto possa essere realizzato. Si ricreerebbe quel clima di fiducia reciproca che è la base essenziale perché i progetti abbiano successo, dato che troppo spesso anche buone riforme sono fallite se hanno trovato l’avversità di quanti dovevano metterle in pratica.
Abbiamo di fronte un’occasione irripetibile. Sarebbe veramente sbagliato perderla.
*da 24Ore, 24/06/2020
**I.Cipolletta, Presidente Assonime; S.Micossi, direttore generale Assonime