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AI è potere. Solo negoziando si potrà tutelare la dignità della persona

“L’elettronica non solo ha reso possibile l’impiego dell’energia atomica e l’inizio dell’era spaziale, ma attraverso la moltiplicazione di sempre più complessi ed esatti apparati di automazione, sta avviando l’uomo verso una nuova condizione di libertà e di conquiste. Sottratto alla più faticosa routine, dotato di strumenti di previsione, di elaborazione e di ordinamento, prima inimmaginabili, il responsabile di qualsiasi attività tecnica, produttiva, scientifica, può ora proporsi nuove, amplissime prospettive. La conoscenza sicura, istantanea e praticamente illimitata dei dati, l’immediata elaborazione degli stessi, la verifica delle più varie e complesse ipotesi, consentono oggi di raggiungere obbiettivi teorici e pratici che fino a ieri sarebbe stato assurdo proporsi, e di dirigere e reggere con visione netta e lontana le attività più diverse.”

Siamo nel 1959, esattamente l’8 novembre. 

Adriano Olivetti, dinanzi all’allora capo dello stato Giovanni Gronchi, presenta l’ultima generazione di calcolatori Elea, ma già prelude a quello straordinario progetto che aveva nel cassetto: la Programma 101.

Si trattava del primo personal computer, una definizione che avrebbe dato senso e direzione al secolo che seguiva. Il concetto di Personal da semplice aggettivazione sarebbe diventato un modo di vivere e produrre. Un modo che Olivetti interpretava come la via di uscita dalla servitù delle masse.

Possiamo dire che nel nostro paese quel giorno inizia l’epopea digitale, in cui il dominio, incontrastato e non negoziato, dell’io sul noi, come tutte le tecniche non negoziate socialmente, apre le porte a nuove forme di dominazione globale che ancora dobbiamo nitidamente riconoscere.

Ma al tempo stesso, ed è questa la potente ambiguità del nostro tempo, questa dominazione si nutre di una pretesa di libertà non riconducibile a precedenti esperienze collettive.

Senza apparire ossessionati dal materialismo scientifico e dal determinismo dei rapporti di produzione, ci pare evidente che il passaggio dal secolo del noi, o meglio, dal tempo della massa, a quello di un pulviscolare individualismo che compone moltitudini inafferrabili, sia la conseguenza della transizione convulsa dalla produzione fordista materiale a quella immateriale e molecolare, mediata e diretta appunto dalla potenza di calcolo.

Senza prenderla troppo alla lontana  mi sembra che il brano del discorso di Olivetti che citiamo in apertura ci costringa a riflettere proprio su quest’aspetto: quanto l’informatica, o ancora di più, quella che oggi chiamiamo società algoritmica, basata sulla programmazione di soluzioni e applicazioni rigidamente indotte da formule di comando quali sono appunto gli algoritmi, come ci spiega nel suo indispensabile saggio sull’argomento , intitolato La matematica degli dei e gli algoritmi degli uomini (Adelphi editore) Paolo Zellini, sia l’unico modo per padroneggiare la mastodontica massa di informazioni e dati prodotta dalla smaterializzazione della produzione e, al tempo stesso, il più complesso e ancora non aggredito sistema gerarchico in cui viene compressa la società. 

Un tema che affonda le sue radici proprio in un passaggio topico dell’evoluzione socio antropologica italiana, mi riferisco al cambio di secolo dal XVI° al XVII°, quando Giordano Bruno, con la sua cosmogonia sferica, in cui nessun punto è centro e tutti i punti lo possono essere, rende il mondo poliedrico e polimorfo, e Galileo Galilei, aprendo il lungo 600 del calcolo, annuncia che è la matematica l’unico linguaggio in cui è scritto il libro della vita.

Ancora un secolo dopo, siamo a fine del 700, in un apparente angusto e limitato villeggio al centro della galassia di staterelli tedeschi, a Jena, un aggregato di poco più di 4 mila anime, si rivela una stupefacente comunità di giganteschi  intellettuali, da Goethe a Schelling, ai fratelli Schlegel e Humbold, a Caterina Bohmer, al poeta Novalis. Sono i padri di quel romanticismo che prefigura forse la prima globalizzazione culturale e linguistica con quella che il portabandiera di questa scuola di pensiero, il filosofo Ficthe definisce appunto la cosidetta “rivoluzione dell’io”. Insieme al calcolo, irrompe così sulla scena dell’individualismo la globalizzazione come processo in cui i singoli determinano la natura del totale.

Una tale lunga incubazione della valorizzazione della singola persona, strettamente funzionale al predominio dei grandi apparati pubblici e privati che detenevano il potere reale rispetto al quale nessun individuo, nemmeno il più talentuoso, poteva ambire a contrapporsi, viene bruscamente interrotta dall’improvvisa espansione industriale. 

Proprio mentre in Germania i romantici teorizzavano una forma elitaria, per quanto globale, di cultura interconnessa, in Inghilterra si innestavano le prime forme di produzione seriale, dando vita a quella figura di protagonista degli opifici, l’operaio, che avrebbe permesso a un irascibile quanto geniale filosofo di Treviri si rovesciare il mondo, grazie ad una dinamica conflittuale che teneva in scacco la produzione di valore.

Si apre così una parentesi che molti di noi, diciamo la generazione del 68 e dintorni, hanno confuso con l’insostituibile modo di vivere e produrre. 

Se con un colpo d’occhio congiungiamo l’epoca di Giordano Bruno a tutte le successive, fino alla Silicon Valley, ci accorgiamo che solo per poco più di un secolo  il protagonismo di massa ha una forza propulsiva per contrapporsi alla potenza del capitale, tenendo le classi più espropriate saldamente nel campo della contrattazione e civilizzazione della ricchezza.

Chiusa quella parentesi, con una lunga agonia del protagonismo operaio, rintraccio un nuovo, fondamentale switch che meglio dei riferimenti letterari da tono e forma moderna all’individualismo. Dopo Galileo e Jena, alla fine del secondo conflitto mondiale, quando l’occidente, più precisamente la società americana che aveva vinto socialmente la guerra, si chiede come rapportarsi al competitore sovietico. 

La risposta arriva da quel crogiolo filosofico-industriale che già stava ruminando il cambio di standard economico. 

Nel luglio del 45, Vannuvar Bush, forse il più lucido sociologo del 900, una figura di intellettuale manager che aveva anche fornito l’ossatura intellettuale di quel progetto industriale e filosofico che fu la ricerca della reazione nucleare insieme al tecnico Oppenheimer, rispondendo al quesito del dipartimento di stato statunitense, spiega che per battere Mosca bisogna ridimensionare drasticamente il ruolo del lavoro manifatturiero come fonte di valore. In quel passaggio nasce internet e si apre la strada alla scomposizione del dualismo capitale/lavoro. Bisogna togliere l’attrito operaio dagli ingranaggi dello sviluppo economico.

Sul piatto geo politico incambio asd una rigida sottomissione ad un unico modello di sviluppo occidentale, viene offerta la possibilità – così la descrive efficacemente proprio Olivetti – di autonomia di ogni individuo nel nuovo processo produttivo, mediante una sorte di artigianalizzazione dello scambio di simboli e informazioni come matrice della ricchezza.

 La rivoluzione dell’io diventa cosi la versione moderna di quella rivoluzione passiva di cui parlava Gramsci. Il capitale in questo fa il suo lavoro. 

Quello che manca è una nuova forma di attrito sociale che ingaggi con i proprietari di queste nuove tecniche produttive che chiamiamo oggi tecnologia digitale  forme di negoziazione, che civilizzino i sistemi di calcolo.

Oggi l’individualismo è la conseguenza di uno schema sociale basato su una rigida connessione di pochi calcolanti con infiniti calcolati. Un sistema che l’intelligenza artificiale sta ulteriormente stressando, automatizzando non più le funzioni manifatturiere ma direttamente le attività discrezionali di ognuno di noi. L’individualismo da forma di autonomia della persona diventa codice di asservimento di ogni comportamento mediante l’interferenza di linguaggi affabulanti in ogni singolo cervello.

Il buco nero di questa nuova civiltà riguarda proprio le dinamiche conflittuali e le procedure negoziali. IL vero nodo sono i soggetti negoziali :ç chi può oggi ballare con i giganti? Chi può imbrigliare i calcolanti?

Si dice l’azione normativa dello stato. Ma due sono i limiti di questa scelta legista: da una parte l’aqssoluta inefficacia dei processi legislativi rispetto alla velocità incontenibile dell’innovazione tecnologica. Abbiamo visto come nel giro di pochi giorni siano mutate le caratteristiche e le meccaniche di sistemi di intelligenza artificiale con le nuove versioni licenziate da OpenAI e Google. Le leggi sono lente e incapaci di fotografare un giaguaro. Secondo aspetto problematico del ruolo esclusivo dello stato riguarda proprio il rischio di una sostituzione del potere coercitivo della proprietà con un analogo potere di sorveglianza di istituzioni che possono diventare autoritarie. Lo stato è partener di un processo di socializzazione ma non può essere il dominus. Rimane la società civile. Ma qui la discussione diventa complessa. IL soggetto storico del negoziato sociale quale è il movimento del lavoro può oggi candidarsi a negoziare il calcolo? Io non credo. Come proprio l’esperienza operaia ci insegna solo chi ha la possibilità di interferire con la formazione della ricchezza ha potere e statuto per costringere la proprietà al tavolo negoziale. Allora bisogna costruire percorsi diversi, individuando le forme di contrasto efficacie. Oggi tre soggetti possono contrapporsi concretamente ai giganti tecnologici.

Innanzitutto le città, le comunità sociali che determinano con la spesa pubblica delle smart city gran parte dei fatturati della Silicon Valley. Nella città il lavoro può trovare ruolo e missione nel promuovere movimenti che rendano la città un centro di contrasto. E’ capitato contro la rendita immobiliare con i piani regolatori. Oggi si può adeguare quella esperienza. Secondo soggetto sono le categorie professionali – giornalisti, medici, giuristi – che sono investiti da processi di trasformazione e possono condizionare i fornitori delle soluzioni. Infine il mondo della ricerca e delle università che nel mondo determinano la reputazione di questi monopoli.

Sapendo bene che solo un algoritmo può controllare un altro algoritmo: per cui questi soggetti devono darsi organizzazioni, dotazioni, saperi e procedure del tutto inedite e discontinue, rinegoziando intanto la delega ad ogni gruppo dirigente, che deve mettere in gioco primati e attribuzioni. Ed è qui che tutto si ferma, di solito.

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