E’ successo già all’inizio della pandemia che la Germania tentò la fuga solitaria nell’impostare la risposta a questo nemico invisibile e insidioso. La Commissione Europea reagì con prontezza, gli altri Stati – Italia in testa, perché la più aggredita – dimostrarono compattezza. La Germania della Merckel stette al gioco e così nacque una poderosa azione di solidarietà dagli esiti positivi, noti a tutti.
E’ sull’onda di quell’esperienza biennale che fu facile fare il bis di fronte all’aggressività di Putin nei confronti dell’Ucraina. Solidarietà umanitaria, sostegno militare e sanzioni sempre più pesanti sono stati percorsi difficili ma non tormentati. In questo ambito, unica ma importante scelta unilaterale, ancora tedesca, è stata quella di potenziare il proprio apparato militare. Gli altri Stati hanno chiuso un occhio. Ma non vi è dubbio che essa ha indebolito la prospettiva di un esercito europeo e quindi una più incisiva posizione dell’Europa nella Nato.
E’ di questi giorni, un nuovo tentativo di far da sé del Governo tedesco. L’impasse europeo sulla strategia per non subire i ricatti di Putin e degli speculatori internazionali sul gas e il rischio che l’inflazione sconquassasse i bilanci delle aziende e delle famiglie ha indotto una decisione clamorosa. 200 miliardi di euro sono stati messi a disposizione dei tedeschi per calmierare gli effetti dell’escalation del prezzo del gas. Facendo capire che, allo stato delle discussioni, ciascuno Stato dovesse sbrigarsela per proprio conto.
La Germania questo discorso se lo può permettere. Ha un bilancio dello Stato che ha quei margini di scostamento che Salvini può soltanto evocare, qui da noi. La manovra tedesca non sposterà i margini di spread attuali con gli altri Paesi. Se lo facesse l’Italia, per molto meno, saremmo sotto il tiro della speculazione mondiale. Non a caso il leader della Lega è isolato politicamente su questo tema.
Però la Germania la fa facile. Immettendo questo flusso di sostegni, pensa di evitare la recessione, oltre che un crescendo di inflazione. Ma le economie tedesca, francese, italiana e spagnola sono interconnesse. Se una tira e le altre arrancano, perché saltano le fabbriche, i prezzi impazziscono e l’occupazione frana, difficilmente potrà evitare di essere coinvolta.
C’è ancora qualche margine di tempo per non mandare tutte le carte per aria. Bisogna avere chiara la scala delle priorità. Se questa prevede che al primo posto resta il New Generation EU e nell’ambito di questo non va tolto un euro agli investimenti nell’energia rinnovabile, è inevitabile che venga costituito un Recovery Found per l’energia che dia una mano a tutti i Paesi per fronteggiare una emergenza di cui non si sa quanto durerà.
L’agnello sacrificale, non solo in Italia, di una non decisione europea sul calmieramento del prezzo del gas, sarà il lavoro. Avremo – con quasi certezza e nonostante l’eventuale tenuta dell’economia tedesca – la recessione, un mare di disoccupati, solo in parte temporanei. Le tensioni sociali cresceranno, le solidarietà in Europa scemeranno, le solitudini e le paure toccheranno i singoli e i popoli.
Ad evitare questa prospettiva, non basta l’azione dei Governi. Anche Draghi, nonostante la sua autorevolezza, non riesce a convincere i suoi pari grado tedesco e olandese, con gaudio dei sovranisti. Urban ha già sottoscritto un nuovo accordo di fornitura con Gazprom. Se altri dovessero seguirlo (essendo nel pieno rispetto delle attuali regole europee, dato che l’energia resta tema nazionale) sarebbe uno smacco formidabile per l’Europa.
Ci vuole una risposta più corale, più compatta della società civile. E di questa il sindacato è magna pars. Il movimento sindacale europeo è rimasto finora in silenzio. Sarebbe il momento che – a partire dai due più rappresentativi, quello tedesco e quello italiano – venisse alzata la bandiera della tutela del lavoro e della tenuta del sistema produttivo in chiave europea.
Una presa di posizione energica – scelgano loro la forma migliore e più praticabile – nei confronti delle istituzioni europee potrebbe smuovere ciò che per ora sembra in uno stallo sempre più pericolante. L’europeismo non è un’opzione che può essere espressa a singhiozzo. Soprattutto nei momenti difficili, occorre dare prova di durezza dell’indiscutibilità della sua priorità. Se non ora, quando?