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Alla ricerca dell’equità perduta

Ci sono delle storture della nostra economia che si sono così consolidate da non fare più scalpore. Una di queste è la cosiddetta economia sommersa. Al netto dell’economia illegale, (contrabbando di droga, di sigarette, rapine, ecc.), la sua invisibilità non è tanto assoluta se l’ISTAT annualmente presenta una “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva”. La notizia dell’ultima, riferita al 2024, è apparsa su pochi giornali; non so se telegiornali e talk show ne hanno parlato (li vedo e ascolto molto poco e distrattamente). 

Eppure quella Relazione è una miniera di informazioni quantitative e qualitative sulla dinamica poliennale (riguarda il periodo 2019-2022), sulle aree di maggiore insistenza (l’82% del valore aggiunto riguarda i settori dell’agricoltura, delle costruzioni, del commercio e dei servizi alle persone) , sulle caratteristiche dell’occupazione occulta (prevalentemente non dipendente e meridionale). 

Ovviamente, l’ISTAT accompagna queste indicazioni con una lunga nota esplicativa delle modalità e delle caratteristiche delle rilevazioni, che risentono di una consolidata raffinazione delle tecniche investigative e del continuo confronto con la raccolta dei dati realizzata dagli altri Paesi dell’Unione Europea. L’unica vera certezza è che essi se peccano d’inesattezza, è per difetto e non per eccesso. 

Dunque nel 2022, ultimo anno preso in considerazione, la quota del PIL assegnata al sommerso è stata del 9,1%. In termini assoluti ammonta a 182,6 miliardi di euro. Ipotizzando prudentemente un prelievo fiscale medio di un misero 10% si disporrebbe dell’equivalente del valore complessivo della legge di Bilancio di quest’anno. Quindi, non una bazzecola alla quale, va aggiunta una beffa. Per accordo europeo, il calcolo per definire la quota di finanziamento per la gestione delle istituzioni unionali è fatto per tutti gli Stati includendo la partecipazione al PIL dell’economia irregolare. Per cui i contribuenti corretti debbono sapere che pagano il loro pezzettino di finanziamento delle istituzioni europee anche per conto di chi è ignoto all’Amministrazione fiscale.

Lo scetticismo che si accompagna alla lunga assuefazione di questo spaccato di economia farebbe dire che è un fardello che si deve sopportare con santa pazienza. D’altra parte nessun Paese ne è esente e l’Italia è tra i più “sofferenti”, anche se è il peggiore tra i Paesi con più di 50 milioni di abitanti. Non è neanche  l’unico problema di evasione fiscale di cui soffre il sistema di finanziamento dello Stato e a cascata delle altre strutture istituzionali. Di sicuro, però, è l’indice di un deficit di trasparenza e identità del sistema produttivo del Paese e di una persistenza di lavoro nero, offesa permanente della dignità delle persone.

Porvi mano è, come di consueto, una questione di volontà politica, innanzitutto. Ma anche di conoscenza approfondita del fenomeno che ha mille sfaccettature. E di capacità di organizzare sistemi di controllo e di repressione efficaci anche se possibili. Circa la volontà politica, è merce che scarseggia da tempo, ma specialmente ora che al Governo del Paese c’è chi ha sostenuto con convinzione che la “tassa è l’equivalente del pizzo”. Quanto alla conoscenza, molti passi in avanti sono stati fatti, però la gran massa di dati e analisi restano più un contributo culturale per pochi intimi che l’avamposto di decisioni operative, sostenute da un consenso sociale diffuso. Infatti, la strumentazione investigativa è largamente inadeguata e quella repressiva parecchio annacquata. Non a caso, fra quanto scoperto annualmente dalla Guardia di Finanza di azioni elusive ed evasive e quanto effettivamente riscosso dallo Stato, lo iato è ancora incomprensibilmente enorme.  

Comunque un elemento è certo.  Il grimaldello per prosciugare questa anomalia dell’economia sta in un efficace sistema fiscale. Quello attuale non consente di intervenire incisivamente. Esso non riesce a corrispondere ad un tessuto produttivo e di servizi troppo frantumato, le maglie per evadere sono ancora troppo lasche, le procedure accumulate nel tempo provocano ritardi e lentezze, la cultura del condono, che prima o poi arriva con incredibile puntualità, convince chi vuole e può che rimanere anonimi non è che un far da sé l’annullamento del dovuto.

Una nuova fiscalità che si ponesse veramente sulla scia del dettato costituzionale circa la progressività del prelievo e in una logica di “pagare meno, pagare tutti” dovrebbe poggiarsi di più su un articolato sistema di creazione del conflitto d’interesse tra chi ha bisogno di un prodotto o un servizio e chi lo può fornire. Questa situazione oggi non esiste. 

Se ho bisogno di fare la manutenzione del mio appartamento, della mia auto, della mia dentiera è troppo spesso probabile che la persona o l’azienda a cui mi rivolgo mi mette di fronte alla scelta, se mi va bene, di pagare in nero o con fattura. Ogni volta, la mia scelta sarà o di diventare correo o di fare il sostituto dello Stato, perché il vantaggio è soltanto per quest’ultimo. La gran massa di miliardi che identifica l’economia sommersa inizia da questo punto. Tutti correi e pochi cittadini che si mettono il cappello del finanziere?

Un po’ di copiatura del sistema fiscale statunitense non farebbe male all’aumento della trasparenza del sistema produttivo di beni e servizi. D’altra parte, far detrarre dalla dichiarazione del reddito tassabile, in tutto o in parte, almeno le spese ritenute essenziali per il benessere delle persone sarebbe uno scambio equo tra Stato e cittadino e renderebbe concretamente “amico” il fisco. Inoltre, solo in questo contesto può trovare consenso la ridefinizione della tassazione progressiva dei redditi e dei patrimoni, frenando la corsa ad assicurarsi flat tax da parte di corporazioni più o meno forti, a scapito del finanziamento del welfare universalistico.

Ma esiste una sede e una volontà civica e politica per discutere e realizzare una diversa visione del futuro della convivenza sociale, interrompendo la discesa verso il qualunquismo, spesso spacciato per riformismo? Se entrambe non si trovano, continueremo a constatare che le disuguaglianze in questo Paese continueranno a crescere e attraverseranno sempre di più tutti gli strati sociali da Nord a Sud. 

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