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Andrà tutto bene? Si, se c’è concertazione sociale

Ora inizia il difficile. Per carità, la fase 1 dell’emergenza covid 19 è stata ed è ancora un percorso quasi avventuroso. Tra incertezze iniziali, mancanza di esperienze a cui far riferimento (salvo quella cinese), cabine di regia che funzionavano ad intermittenza, indisponibilità di protocolli medici adeguati e collaudati, tutto sommato ce la siamo cavata. Anche se registriamo   qualche giorno di ritardo rispetto ad altri Paesi, per carenza di strutture cliniche, di medicina del territorio ed impostazione privatistica della sanità, su cui non potrà calare un velo pietoso.  

Il respiro di sollievo che si sta tirando in questi giorni e fa scalpitare tanti per un ritorno alla normalità, lo si deve prevalentemente al senso di responsabilità della stragrande maggioranza degli italiani che ha rispettato il confinamento e il distanziamento sociale alla lettera, per l’abnegazione di tutti i lavoratori dei servizi essenziali, e per la eccellente competenza e la immane fatica degli operatori nella sanità, dai medici agli infermieri, dagli addetti ai molteplici servizi accessori, compresi quelli delle pulizie. Senza il loro contributo, la lista dei morti da lunga, sarebbe lunghissima.

La fase dell’emergenza si presenta più corposa del previsto. Almeno fino a quando non sarà trovato un vaccino testato, capace di debellare ritorni di infezioni. Tempi lunghi, checché si dica. Ma la vita delle persone e delle attività lavorative non può essere ibernata senza provocare la pandemia della povertà e della distruzione dell’apparato produttivo. Per questo la fase 2 è più complicata della fase1. 

Se poi si aggiunge che drammaticamente l’Europa non fornisce certezza sulla sua possibilità di essere all’altezza del cambiamento imposto da questo evento epidemico e induce, fino alla farsa, polemiche tra le forze politiche italiane sia di maggioranza che di minoranza e tra Stato e Regioni, tali da far traballare il Governo, la fase 2 – quella che dovrebbe caratterizzare il dopo 4 maggio – si profila confusa, dannosa e pericolosa. 

Inoltre, la serietà non sembra prevalere. Abbiamo molte ragioni per chiedere all’Europa di diventare un volano di speranze, ma non diamo segni di voler fare fino in fondo la nostra parte. Dov’è finita la lotta all’evasione fiscale (pur essendo magna pars dell’ultima legge di stabilità) che farebbe capire a chi è onesto contribuente italiano e agli europei più sospettosi nei nostri confronti che non vogliamo vivere sempre a debito? Basterebbe un potenziamento degli addetti del fisco e dell’antimafia (chiedere a Gratteri cosa serve) per spiegare che facciamo sul serio.

La priorità, dunque, è gestire la convivenza tra prosecuzione delle cautele per tutelare la salute di tutti i cittadini e il riavvio graduale, ma tendente alla generalizzazione, delle attività produttive in tutti i settori. Una visione parziale di questa gestione sarebbe confusa e gli svantaggi sarebbero superiori ai vantaggi. Soltanto mantenendo assieme la complessità delle questioni in campo – dall’agricoltura, alle filiere industriali, alle mobilità delle persone e delle merci, alle attività burocratiche, ai contributi economici, ecc. – si da certezza ai cittadini di rendere la loro vita quotidiana meno ossessionata dal Coronavirus.

Per assicurare questa prospettiva, non si può aspettare che emerga una improbabile unità nazionale di Governo del Paese, né che spunti un indesiderabile “uomo solo al comando”. Ci vuole una concertazione tra Governo e parti sociali che produca un’intesa sui principali contenuti e un chiaro schema procedurale, condiviso poi dalle Regioni. Il precedente accordo tra Governo e CGIL, CISL e Uil sull’avvio delle aperture delle aziende già dal mese di aprile è un valido punto di riferimento anche se ha mostrato qualche falla nella gestione. In particolare le deroghe da parte delle Prefetture risultano concesse più per silenzio/assenso che per vaglio rigoroso delle condizioni di sicurezza e senza informativa ai sindacati. 

L’ intesa per la gestione della fase 2 deve dare schemi operativi non inventati a tavolino (con tutto il rispetto per il lavoro dei “tecnici” nominati dal Governo) ma discussi dalle parti interessate e soprattutto con l’occhio non solo alla ripresa delle attività ma anche al loro sviluppo successivo e con un’attenzione particolare per le medie e piccole imprese, che sono quelle più bisognose di un’assistenza istituzionale e delle rappresentanze delle  parti sociali. Parte rilevante dell’intesa dovrebbe essere il ruolo territoriale delle parti sociali, perché le grandi aziende avranno i loro accordi (Fca è stata capofila) ma specie quelle che lavorano in filiera con le medie e piccole aziende non possono disinteressarsi di come si lavora in sicurezza in quest’ultime. 

Questo approccio sarà fondamentale anche per un’analisi dei limiti e degli errori della prima fase, per evitare che si ripetano in futuro, soprattutto per quel che riguarda il rapporto Stato-Regioni, il superamento delle eccessive procedure burocratiche, sia nelle istituzioni che nel settore bancario, il ruolo degli organismi ad hoc rispetto al ruolo del Parlamento.

E’ ovvio che, di fronte alla prospettiva di una ipotesi di gestione concertativa, siano in molti a storcere la bocca. Non a caso, il capo della Lega, Salvini, non perde occasione per accusare il Presidente del Consiglio di fare gli interessi del sindacato, E’ scontato che molti imprenditori vorrebbero mano libera nel fare in più in fretta possibile riaperture, con controlli all’acqua di rosa. Forse anche nella burocrazia nazionale e locale ci sono molti Ponzio Pilato. Ma chi ha a cuore i due corni del problema (salute e lavoro) non può pensare ad un “fai da te” che equivale ad un “spera in Dio”. 

In particolare, il sindacato confederale non deve arretrare di un centimetro dall’assunzione di responsabilità nel saper tenere assieme le due priorità del momento e del futuro prossimo. Deve sporcarsi le mani. Deve dimostrare che quel “nessuno si salva da solo”, che tanto si sente evocare, deve avere una conduzione condivisa dai grandi soggetti istituzionali, economici e sociali. Se no, resta un’invocazione dagli effetti imprevedibili e sicuramente a macchia di leopardo. E a pagarne il conto saranno sempre e solo i più indifesi e i meno colpevoli. 

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NEWSLETTER NUOVI LAVORI – DIRETTORE RESPONSABILE: PierLuigi Mele – COMITATO DI REDAZIONE: Maurizio BENETTI, Cecilia BRIGHI, Giuseppantonio CELA, Mario CONCLAVE, Luigi DELLE CAVE, Andrea GANDINI, Erika HANKO, Marino LIZZA, Vittorio MARTONE, Pier Luigi MELE, Raffaele MORESE, Gabriele OLINI, Antonio TURSILLI – Lucia VALENTE – Manlio VENDITTELLI – EDITORE: Associazione Nuovi Lavori – PERIODICO QUINDICINALE, registrazione del Tribunale di Roma n.228 del 16.06.2008

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