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Appalti e idoneità tecnico professionale dell’appaltatore

Il fenomeno del decentramento produttivo, sempre piu’ diffuso, rende di grande attualità l’interpello del Ministero del Lavoro n. 3 del 2014, riferito alla verifica dell’idoneità tecnico professionale dell’appaltatore, sub appaltatore e del lavoratore autonomo, funzionale alla sicurezza del lavoro.

Premessa

La richiesta di chiarimenti all’apposita Commissione presso il Ministero del Lavoro nasce dall’esigenza della indeterminatezza della norma provvisoria ( art. 26 comma 1 del D.LGS. n. 81/2008), che fa riferimento, ai fini della verifica dell’idoneità tecnico professionale dell’appaltatore, sub appaltatore ovvero lavoratore autonomo, soltanto all’obbligo di acquisire, da parte del committente, il certificato di iscrizione alla CCIA e l’autodichiarazione di possesso dei requisiti, a cura dei predetti esecutori dell’ appalto. 

   Ciò, a fronte del sistema di responsabilità a vario titolo in capo a tutti i soggetti coinvolti nei lavori,  servizi e forniture, costretti in via cautelativa a porre in essere adempimenti diversificati, con appesantimento delle procedure. 

Risposta ad interpello n.3 del 2014

Il Ministero del lavoro, attenendosi strettamente al dettato dell’art. 26 prima citato, ha chiarito che l’adempimento del committente è da ritenere legittimamente soddisfatto, mediante l’acquisizione del certificato di iscrizione alla CCIA dell’appaltatore, subappaltatore ovvero lavoratore autonomo,  nonché della loro autodichiarazione circa l’idoneità tecnico professionale posseduta, rilasciata ai sensi dell’art. 47 del T.U. 2045/2000.

Non sussiste, pertanto, l’obbligo di ulteriori verifiche, attraverso altra documentazione, in particolare – precisa la Commissione – quella riferita al DUVRI. Tale documento concernente, infatti, i rischi da interferenza del contemporaneo esercizio dell’attività del committente e dell’appaltatore, subappaltatore ovvero lavoratore autonomo costituisce un obbligo a carico del primo soggetto, che potrebbe chiedere soltanto documenti o informazioni per l’elaborazione del DUVRI stesso.

 Quest’ultimo – è il caso di ricordarlo – va allegato al contratto di appalto e deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione dei costi, riferiti alle misure necessarie per eliminare o ridurre al minimo i rischi di interferenza delle lavorazioni.

Anche se la procedura, grazie all’interpretazione ministeriale, appare sostanzialmente  semplificata, occorre tener presente – pur in assenza di precisazioni nella risposta all’interpello –  che i contenuti della documentazione da acquisire devono essere esaustivi e comprensivi di dati e notizie, tali da qualificare effettivamente l’idoneità tecnica professionale dell’appaltatore subappaltatore ovvero lavoratore autonomo ( v. , ad esempio, il sistema di responsabilità amministrativa ex D.LGS n. 231/2001, in connessione alle disposizioni dell’art. 30 del D.LGS. n. 81/2008, ai fini dell’efficacia esimente dalle responsabilità stesse).

 Considerazione a parte merita, poi, la verifica dell’idoneità tecnica professionale, in presenza di determinate fattispecie di appalti, che attendibilmente non sono state ritenute oggetto di interpello ovvero date per presupposte nella risposta in commento.

Ci si riferisce ai lavori in ambienti confinati o sospetti di inquinamento, per i quali, in particolare, è prevista che la qualificazione debba essere legata all’impiego da parte dell’appaltatore di non meno del 30% del personale con esperienza triennale specifica e che, in caso di ricorso a rapporti diversi da quelli subordinati ovvero ad appalti, occorre la certificazione dei contratti.

Sono da citare anche, per il percorso particolare di accertamento dei requisiti dell’appaltatore, i lavori edili e quelli riferiti ai contratti pubblici ( art. 38 DLGS n. 163/2006)

    Al di là dell’informazione circa il contenuto dell’interpello, non deve sfuggire che il legislatore attribuisce enorme gravità alla mancata o incompleta verifica dell’idoneità tecnico professionale, come sopra richiamata; l’inadempimento comporta, infatti, l’arresto da 2 a 4 mesi o l’ammenda da 1096 a 5260.80 euro.

Sono ancora più gravi le sanzioni nell’ipotesi in cui dalle violazioni derivi un infortunio sul lavoro: trovano applicazioni, allora, le penalità previste dagli artt. 589, 590 c.p. e le sanzioni amministrative di cui al D.LGS 231/2001.

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