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Argentina, dopo le elezioni, domina l’ incertezza

Non sono ancora passati due mesi dalle elezioni presidenziali in Argentina. Appena insediato, il “leone” come i suoi sostenitori chiamano Javier Milei, con una mossa a sorpresa, ha varato 360 decreti, ovvero, d’un colpo, tutte le “riforme” che aveva preannunciato nella sua campagna elettorale, scioccando la popolazione e gli osservatori nazionali e internazionali. Grande scandalo per tutti. Da parte mia, e dal Brasile, cercherò di offrire qualche riflessione un po’ più ponderata per mettere in evidenza alcuni elementi di lettura indispensabili, a mio avviso, per tentare di capire cosa stia succedendo nel secondo gigante del Sudamerica.

I risultati delle Presidenziali del 19 novembre scorso stanno rivelando una realtà che, giorno dopo giorno, si presenta sempre più critica non solo per l’Argentina, ma anche per i riflessi globali che ne potranno derivare. Tanto per avere un’idea: con il nuovo governo argentino, il Brasile di Lula perde uno dei suoi alleati principali nel Cono Sud. Ne soffriranno, con ogni probabilità, sia il processo di integrazione regionale, che le relazioni Mercosur/Unione Europea. 

Con il nuovo governo ci saranno, prevedibilmente, contraccolpi anche nel gruppo dei BRICS: l’Argentina, che doveva essere la nuova tessera latinoamericana, ha già annunciato la sua desistenza. E così, anche in questo consesso, viene a mancare un punto di riferimento per una strategia di riequilibrio rispetto all’asse asiatico, con la conseguenza di affossare un possibile ruolo diverso di interlocuzione, per esempio, con molti paesi africani. 

Qualcuno sostiene che l’uscita dell’Argentina dai BRICS sarà di grave pregiudizio per la sua economia; è molto probabile, ma sembra che le mire e le ambizioni del nuovo corso argentino, mirino molto, molto più in alto. Vedremo. Più in generale, comunque, un’Argentina spostata a destra sarà un elemento di frustrazione delle aspettative dei progressisti del Sud del Mondo (e, nondimeno, anche di quelli del Nord). 

STRACCIARSI LE VESTI?

Molti commentatori politici hanno avuto reazioni di grande meraviglia/sconforto, rispetto al risultato delle elezioni argentine. Credo sia opportuno ricordare che la coalizione di centrosinistra stava governando il Paese dal 2003. In verità per “soli” sedici anni: dal 2007 al 2011 c’era stata l’interruzione, non irrilevante, della presidenza del neoliberale Macri, un imprenditore “prestato” alla politica, che poi, però, ci è rimasto, e oggi è il leader del fronte conservatore. 

Credo che un’analisi disincantata, anche se scomoda, ci dice almeno due cose: a) la gente ha individuato nella coalizione guidata dall’ex Presidente Alberto Fernandez la responsabilità della grave crisi economica vissuta in questi anni. Del resto, una coalizione che non ricandida il Presidente uscente, sembra riconoscere, per sua spontanea ammissione, di aver fallito; b) il candidato a Presidente, vincitore del primo turno, ma sconfitto al ballottaggio finale, è stato Sergio Massa, il Ministro dell’Economia del governo Fernandez. È vero che Massa aveva assunto l’incarico da poco più di un anno (la sua nomina è del luglio del 2022) ma è pure vero che sotto il suo comando, l’economia argentina non ha dato segni di ripresa. L’inflazione, al termine del mandato del governo uscente, aveva raggiunto il 160% annuo.

LA “SORPRESA” MILEI

Molti sono rimasti sorpresi da fatto che Javier Milei, un economista iperliberista, un politico semisconosciuto, fosse riuscito ad assumere un ruolo politico così rilevante, in così poco tempo. In Argentina, lo scenario politico, a suo modo usuale è, o meglio, era stato circoscritto a due posizioni tradizionali, una di centrodestra, diventata, con Macri, di esplicita ispirazione neoliberale e l’altra di centrosinistra. Quest’ultima ha le sue radici profondamente piantate nel peronismo. La candidatura e la vittoria di Milei, ha rotto questo schema sostanzialmente bloccato: prima come oppositore “antisistema” e poi, al secondo turno, come candidato delle destre, Milei, pur non condiviso da molti, ha agglutinato il malcontento e l’opposizione al peronismo.

SERGIO MASSA, IL CANDIDATO DEL PERONISMO

E Massa, era il candidato del peronismo. Agli occhi degli osservatori europei il fenomeno peronista è un equivoco mai spiegato. Ma devo dire che anche da vicino risulta un nodo gordiano. È un grande movimento popolare e populista, un contenitore che mantiene al suo interno posizioni di centro, di destra e di sinistra. Di fatto, sembra che in Argentina una forza politica progressista, non possa fare a meno di essere ancorata alla tradizione peronista: chi è di centrosinistra e perfino di sinistra, non riesce a vivere, politicamente, fuori dal peronismo. 

SI SONO CONFRONTATI DUE “NO” 

Il 19 novembre 2023, al secondo turno, si sono confrontati due candidati con storie molto diverse: l’unico punto in comune, probabilmente, è che ciascuno dei due ha raccolto un consenso in negativo. Entrambi hanno raccolto un voto che è stato il tentativo di negare l’altra posizione: votando per Milei si è espresso un NO che dice basta al peronismo, mentre votando per Massa molti elettori hanno detto NO alle follie e alle farse di Milei, (comportamenti comunque attentamente ispirati da Steve Bannon, secondo il parere di molti commentatori). 

Poi è chiaro che ci sono i fedelissimi dell’uno e dell’altro schieramento, ma nell’uno e nell’altro caso, il voto è sembrato un tentativo di catarsi e cioè in un caso è stata l’espressione della volontà di lavarsi di quello che non si voleva più essere, e nell’altro caso, la manifestazione della necessità di esorcizzare quello che non si vorrà mai essere… e neanche essere “mai più” (nunca mas!). Milei, in campagna elettorale, ha lanciato segnali espliciti di voler sdoganare e, anzi, rivalutare la memoria dei vertici militari responsabili di una delle più sanguinarie dittature che hanno infestato i paesi latinoamericani negli anni ‘70 e ’80. (In Argentina sono stati almeno trentamila i morti accertati e i desaparecidos).

I RISULTATI DI UN BALLOTTAGGIO ASIMMETRICO

In Europa, ma anche in America Latina e perfino in Argentina, ci si chiede come sia stato possibile che un paese, che ha una storia di lotte sociali, di organizzazioni e associazioni popolari, di dibattito e partecipazione politica diffusi, abbia potuto fare una scelta così “fuori dalle righe”, dando la maggioranza dei voti a un personaggio come Javier Milei. Segno dei tempi che viviamo? In parte sì, certo, ma non solo e non necessariamente. 

Ci sono peculiarità, nel caso argentino, che non vanno sottovalutate: l’affluenza al voto, per esempio, è stata molto elevata (76% degli aventi diritto). Nonostante la netta vittoria di Milei (quasi il 56%, rispetto a poco più del 44% di Massa) il voto per l’elezione dei parlamentari ha dato risultati importanti allo schieramento di centrosinistra che quindi ha la maggioranza, sia alla Camera che al Senato. L’altro elemento è che, conti alla mano, al secondo turno, Milei ha raccolto i voti della destra, (i suoi, più quelli della compagine di Macri) aggiungendo un magro 2%, mentre Massa, nel secondo turno, ha raccolto l’8% in più di consensi registrati nel primo turno.  Salvo eventuali defezioni, che però la polarizzazione delle posizioni rende difficili, il folle Milei potrà gestire una vittoria personale, ma dovrà imparare a negoziare. Cosa che, per il momento non sta dimostrando.

LE PREVISIONI, IL PRESENTE E LE MANOVRE PER IL FUTURO

Tra i commentatori argentini e anche tra quelli internazionali, dal giorno successivo ai risultati, è partita una corsa alle… previsioni. Milei non si era ancora insediato, che già in molti prevedevano il fallimento delle sue politiche. Di quelle anarcocapitaliste annunciate in campagna elettorale e anche di quelle più moderate che il nuovo presidente sembrava dover imboccare per tentare di costruire una maggioranza parlamentare. E invece il leone ha sorpreso tutti.

La sua intenzione sembra essere quella di governare per decreti che comunque lo blindano per pochi giorni. Ma sembra deciso ad andare allo scontro. Contro tutti? Beh non proprio. Il suo maggiore obiettivo è quello di togliere ogni protezione sociale, sì, ogni protezione sociale e di rendere il paese un bel supermercato dove i capitalisti internazionali (di ogni risma) possano “comprare” a buon mercato, interi pezzi di economia. “Questo non sarà indolore” dice lo stesso Milei, “ma alla fine dei prossimi tre anni avremo un paese totalmente rinnovato, dall’economia sana e che ritornerà agli antichi splendori!”

E così, diversi osservatori, a cominciare dai più “equilibrati” hanno cominciato a passare con una agilità invidiabile, dai pronostici di sicuro insuccesso ad una posizione di “ragionevole attenzione”. Ed è diventato sempre più comune ascoltare commenti del tipo: “Beh, se questo è l’unico cammino per combattere la crisi argentina… allora bisogna vedere se ilo Presidente Milei avrà la capacità di riuscirci e di portare a casa i risultati che ha promesso”… 

Interessante, no? Si sta facendo strada la modalità più antica di leggere la situazione economica e sociale di un paese, incolpando, come sempre, le classi subalterne e i lavoratori con loro diritti, e si tenta di vendere come innovative le ricette neoliberali. Questa volta, comunque, come cure esemplari per curare tutte le situazioni di crisi nel mondo intero… “Saranno, necessariamente un po’ cruente e antisociali, ma ci porteranno al benessere futuro!” In sostanza i fallimenti del neoliberalismo avranno come cura l’esasperazione dei criteri che li hanno generati.

DUE MODELLI A CONFRONTO

Quindi è legittimo, per noi vicini (e per voi del piano di sopra), restare con il fiato sospeso.

Qui in Brasile, pur se in mezzo ad una certa indifferenza generale verso los hermanos, le figure più accorte, avvertono che la sfida si sta avvicinando. Sì, è una sfida che coinvolgerà direttamente anche il Brasile. Senza essere degli indovini è facilmente prevedibile che, se Milei continuerà con le sue mirabolanti strategie, presto verranno messi su uno stesso piano di comparazione due modelli concorrenti, ovvero due modalità diverse di affrontare le crisi nei Paese del Sud del Mondo, due linee alternative di impostare una strategia di sviluppo e due modelli economici di creazione e di redistribuzione del reddito. 

Sarà un confronto truccato, però: indipendentemente dagli insuccessi del presidente argentino, al quale si concederanno tutte le attenuanti, vista l’opposizione dei Sindacati e delle fasce più emarginate della società, al governo Lula non si permetterà nessun passo falso. (Chi gli ha fatto sognare di andare controcorrente?)

Si potrebbe sperare in una sorta di conflitto intercapitalista, tra nazionali e globali, ma questo, oramai è un terreno dai confini sempre più labili.

Quindi già oggi, e ancor di più nell’immediato futuro, si avranno valutazioni di parte, confronti tra due modalità di valutare i risultati, di concepire il ruolo dello stato e la partecipazione dei cittadini.

È già possibile leggere i primi segnali. Non solo nei commenti di certi economisti onniscienti, ma anche in certe impennate di arroganza di alcuni settori imprenditoriali, ai quali danno immediato sostegno istituzionale diversi e sempre solleciti, parlamentari.

IL SINDACATO RISPONDE CON UN “PARO GENERAL”

Il futuro dell’Argentina, oggi è ancora tutto da costruire. Ce n’è per tutti, anche e soprattutto per le forze progressiste che devono fare i conti con la propria storia e con le proprie “tradizioni”.

In questa fase, comunque, temporaneamente accantonate le analisi autocritiche, si vedono almeno tre protagonisti fronteggiarsi, impegnati per decidere il futuro dell’Argentina: il Governo coi suoi decreti, l’opposizione sociale che si è prontamente mobilitata spontaneamente, pur correndo rischi elevati di repressione e il Potere Giudiziario che sta passando al setaccio della costituzionalità, articolo per articolo, i 360 decreti di Milei. 

Ma c’è un appuntamento importantissimo in programma: il prossimo 24 gennaio, le tre centrali sindacali hanno indetto un paro general, con manifestazioni nelle capitali di tutto il Paese.

Sarà la prima vera mobilitazione generale e, a tutti gli effetti, il primo vero confronto tra il movimento sindacale e il governo di Milei. CGT, CTAA e CTAT, stanno organizzando la giornata per manifestare il loro esplicito e totale dissenso rispetto alle scelte del governo. Lo faranno unite e col proposito di aggregare e organizzare la protesta popolare. 

Un passo di responsabilità in un clima di grave scontro.

*da  Vitoria, 14 gennaio 2024

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