“Dove eravamo rimasti?” disse Enzo Tortora tornando a Portobello dopo le ingiuste e infami accuse subite. Eravamo rimasti a un giugno euforico sulle vendite delle auto elettriche ma nutrito da un fuoco di paglia. Ora il segno è permanentemente negativo e di ciò ne risponde la pochezza della politica governativa che ha bloccato, facendo attendere quasi sei mesi gli incentivi, il mercato nostrano. Dell’incertezza industriale dell’auto in Italia ne risponde Stellantis ma ben sostenuta dalla rissosità del ministro Adolfo Urso che non ha ancora capito che il suo ruolo è risolvere problemi e non crearli. Usare la minaccia del secondo produttore, cinese, mentre Stellantis stringe alleanze, cinesi, che però produrrà in Polonia dovrebbe fare riflettere il ministro anziché caricare a testa bassa Tavares.
La segretaria del PD Elly Schlein ha scoperto oggi che l’energia in Italia costa molto di più della media europea ed è uno dei tanti motivi per cui Stellantis le Leapmotor le produrrà altrove. Ma che l’energia costasse di più lo si sapeva già e pure i governi di centrosinistra hanno fatto poco o nulla. Poi vorrei sapere quali proposte ha il Pd per abbattere i costi dell’energia in Italia. Troppo facile limitarsi ad attaccare il governo.
Dunque il primo dato è che l’esecutivo agisce in modo inversamente proporzionale ai suoi obiettivi; il secondo è che gli incentivi o sono massicci, costanti sia alle imprese sia verso i compratori di auto, oppure non servono a nulla. Non si compete su questo con la Cina e nemmeno i dazi fermeranno l’avanzata dell’auto cinese. Poi, mediamente, ci guardiamo l’ombelico e così il dibattito si è concentrato sui dieci carrellisti per la Polonia e a Stellantis è toccato spiegare numeri e azioni per evidenziare la tempesta nel bicchiere d’acqua.
Forse servirebbe la mongolfiera di Verne o un più attuale drone per vedere il mondo e ragionare. Il globo terrestre dell’automotive si sta fermando pesantemente in Europa. Renault vuole ridurre di 15mila unità la sua forza lavoro, Ford registra una perdita di 5,5 miliardi di dollari a causa della divisione elettrica e ha deciso di licenziare 3.800 dipendenti in Europa (più precisamente in Germania, Spagna e Regno Unito). Di Stellantis sappiano bene i piani e i tagli del personale non sono avvenuti solo in Italia. In Usa la GM parla di mille licenziamenti di cui almeno 600 a Warren, nel Michigan, perché vuole “semplificare per ottenere velocità ed eccellenza”. E Volkswagen? Il Gruppo ha 680mila dipendenti circa, dislocati in 114 stabilimenti in tutto il mondo con ricavi per oltre 330 miliardi di euro. L’azienda ha intenzione di attuare un programma di risparmi per 10 miliardi di euro. Ossia tagliare i costi del personale amministrativo fino al 20%. Nel 2023 il Gruppo non ha rinnovato 269 contratti a termine nello stabilimento di Zwickau, il più importante in Europa, proprio per la diminuzione della domanda di auto elettriche. Significativo è il caso della Volkswagen perché mai l’azienda ha posto in maniera così forte la necessità di ristrutturarsi e riconoscendo che anche nel campo della produzione gli stabilimenti stanno diventando obsoleti e non più competitivi. In Germania, che ha già i suoi problemi di rappresentanza politica, si rischia di innescare una crisi senza precedenti nell’automotive con impatti fortissimi, oltre a quelli già esistenti, sull’indotto italiano. Per finire anche Tesla non gode di ottima salute e il trumpiano Musk vuole tagliare del 10% la forza lavoro. Non si parla di tagli in Giappone, in Corea e men che meno in Cina come anche Stellantis va bene in Sudamerica.
C’è un problema politico mondiale ma sopratutto europeo dove le scelte della UE, non condivise con le imprese, sul tutto elettrico in tempi troppo brevi, ha provocato disorientamento e mancanza di strategia delle case costruttrici. Le aziende hanno speso molto verso l’elettrico ma manca una strategia globale della UE anche perché l’Unione Europea oggi è solo sulla carta ed è debolissima.
Il governo italiano anziché trovare un accordo con l’unico produttore italiano non contribuisce a fare chiarezza e chi ne soffre è il mondo del lavoro. Tavares ha le sue responsabilità perché nel quadro di incertezze internazionali e nazionali ha distrutto quella coesione interna, costruita da Marchionne insieme ai sindacati, che si era creata negli stabilimenti italiani. Le regole contrattuali e un modello di organizzazione del lavoro chiari, applicati con serietà non avulsi da problematiche sindacali difficili da gestire ma era chiaro a tutti un metodo, le scelte, gli investimenti sugli stabilimenti. Non c’è più nulla di tutto ciò. Questo è un elemento destabilizzante tanto quanto le incertezze economiche e di politiche industriali delle imprese e dei governi.
Il caso Volkswagen che avremo di fronte sarà proprio su questo terreno: innovare il processo e innovare costantemente il prodotto. La differenza tra i costruttori europei e USA e i Cinesi è, come lo definiscono gli esperti, il business as usual , per cui o gli occidentali cambiano rapidamente strada o non c’è dazio che tenga. I cinesi hanno un’industria automobilistica giovane, che sta maturando e evolvendo con massicci investimenti del governo; in Europa stiamo declinando e non è la transizione green che ci salverà ma la rapidità di evoluzione tecnologica che metteremo in campo in un continuo aggiornamento del prodotto e quindi del processo produttivo.
Certo la Cina ha le materie prime per le batterie, ha oltre dieci anni di sostegno governativo creando prezzi competitivi in concessionaria. Ha, insomma, un “clima favorevole”. Oggi all’Europa più che la transizione ecologica occorre una strategia di partnership anziché di dazi.
Sun Tzu nell’arte della guerra suggeriva che se il nemico non lo puoi annientare è meglio farselo alleato e poi renderlo inoffensivo e d’altra parte i cinesi sono già ben presenti nelle nostre aziende.
I costruttori cinesi, poi, aggiornano i loro prodotti in maniera incredibilmente veloce, parliamo di 20 mesi contro la media occidentali di 40, cioè 1,6 anni contro 3,3. Anche gli aggiornamenti over-the-air ai software sono molto più frequenti. Il vero lavoro va fatto sulla tecnologia, sul prodotto finale, sui processi, sull’organizzazione del lavoro stringendo alleanze con il Sindacato da un lato su obiettivi chiari, come ho detto e con i governi per sostenere i percorsi per giungere a questi obiettivi. Invece mi sembra che si agisca come se fossimo alle cure palliative che sappiamo dove portano…