Il 2024 sarà ricordato come un anno molto negativo per l’industria automobilistica italiana, anzi, un anno di record negativi. Stellantis, unico produttore presente nel nostro paese, chiuderà l’anno con una produzione di veicoli inferiore intorno alle 500.000 unità, di cui meno di 300.000 di sole automobili. Il dato rappresenta il calo di circa un terzo rispetto al 2023, il quale si è tradotto in un importante crollo delle ore lavorate; tutti gli stabilimenti di assemblaggio e di motori, infatti, hanno dovuto utilizzare un numero elevato di ore di ammortizzatori sociali.
La situazione ha determinato una forte riduzione del reddito per gli occupati del settore e una possibilità molto ridotta di proseguire per un lungo periodo nell’utilizzo di Cassa Integrazione e Contratti di Solidarietà a causa dei limiti quantitativi di utilizzo degli stessi previsti dalla Legge. Tutto questo si è consumato mentre l’azienda stava discutendo al tavolo del Mimit il proprio impegno ad arrivare al 2030 con una produzione di un milione di veicoli. Dunque, cos’è successo?
Innanzitutto la crisi del 2024 ha interessato buona parte del continente ed è stata caratterizza dalla particolare intensità con la quale ha colpito la Germania. Se Stellantis è l’unico produttore in Italia e la forte riduzione delle produzioni colpisce tutta la filiera della componentistica ad essa legata, un’area importante del paese è parte della filiera tedesca;
Le produzioni del Nord-Est, della Lombardia e, in parte l’Emilia Romagna sono legate alla Germania. In conseguenza di ciò, tutto il settore automotive si è infilato in un tunnel da cui non si intravede l’uscita in tempi brevi. Le previsioni del 2025 sono infatti in linea con l’andamento del 2024.
La politica di Tavares
La politica dell’era Tavares è stata quella di spingere sulle produzioni elettriche ma il mercato non ha risposto: le auto elettriche non si vendono. Le cause sono molto semplici e vanno dai prezzi troppo alti, alla mancanza dell’infrastruttura di ricarica, fino ai limiti legati alla durata della carica di un veicolo elettrico.
A fronte di ciò, a partire dal piano Dare Forward, Stellantis ha sempre dichiarato di voler fermare la produzione di veicoli con motore endotermico nel 2030, investendo molto sull’elettrico. Nella parte finale del 2020, nello stabilimento di Mirafiori, è entrata in produzione la 500 elettrica. La difficoltà incontrata sul mercato da questo modello, dopo soli tre anni dal lancio produttivo, rappresenta certamente un punto d’arresto significativo della politica adottata da Stellantis in questa fase. La 500 doveva infatti essere un modello con volumi significativi, erano previste 100.000 unità nel 2023, ma con il crollo delle ore lavorate a Torino e della produzione nel corso del 2024, quest’anno non si raggiungono le 24.000 unità e ha evidenziato la necessità di un cambio di rotta. Non è andata meglio sul fronte del lusso, le nuove versioni full-electric di Maserati Grecale e GT non hanno avuto le risposte che si attendevano dal mercato.
A fronte delle difficoltà incontrate sui veicoli Full-Electric, Stellantis sta provando a difendersi sul mercato investendo su alcuni modelli ibridi di nuova concezione, una tecnologia di transizione dal momento che ha sempre confermato che dal 2030 le produzioni saranno solo elettriche. A fronte di ciò, si sono sviluppate sui modelli le produzioni ibride a partire dalla Pandina ibrida, garantendo a Pomigliano un utilizzo molto contenuto di Cassa Integrazione rispetto agli altri Plant e, a fine 2025, dopo le pressioni messe in atto dalle manifestazioni sindacali, partirà a Mirafiori la produzione della 500 ibrida.
Il 2025 sarà l’anno di entrata in produzione di alcuni modelli elettrici sulle nuove piattaforme Large e Medium a Cassino e Melfi. Il gradimento del mercato rispetto ai primi modelli elettrici che usciranno dalle nuove piattaforme, la Stelvio a Cassino, la DS e la nuova Jeep a Melfi, saranno un importante indicatore per capire quanto lontana potrà essere ancora l’uscita dal tunnel della crisi.
Stellantis: il dopo Tavares.
L’arrivo Di Jean Philippe Imparato, responsabile di Stellantis Europa, ha intanto già segnato un importante cambio di strategia: ora Stellantis sosterrà la necessità di anticipare al 2025 la verifica sulla transizione in corso e una revisione delle sanzioni sulla percentuale di emissioni che precedentemente era sostenuta da tutti i produttori europei, ma non da Stellantis. Il primo atto concreto del dopo Tavares, infatti, è stato quello di rientrare all’interno dell’Associazione Europea dei Produttori (ACEA). L’obiettivo della revisione delle sanzioni è quello di consentire una transizione più morbida all’elettrico, senza contraccolpi pesanti sul fronte dei costi e soprattutto impedire che si riducano le produzioni con motori tradizionali per evitare le multe. Questo, sul piano sociale e del lavoro, significa il tentativo di un percorso verso l’elettrificazione meglio governabile dal punto di vista della salvaguardia occupazionale e del rispetto dei tempi di riconversione delle professionalità e delle competenze dei lavoratori. Ad ogni modo, la questione principale resta la capacità di vendere i nuovi modelli elettrici sul mercato.
Decisioni sbagliate della politica
La decisione dell’Unione Europea di vietare la vendita di motori endotermici dal 2035, per poter circolare sul continente solo con veicoli a propulsione elettrica sta generando una fortissima pressione sul lavoro, che rischia di diventare a breve una decisiva “Compressione” del lavoro.
Se la necessità di ridurre le emissioni di CO2 al fine di provare a salvare l’equilibrio ecologico del pianeta è ampiamente condivisa e se tutti sono d’accordo con l’idea di poter vivere in un mondo con l’aria pulita, gli effetti di questa transizione stanno producendo un violentissimo impatto sui lavoratori e più in generale sulla società.
La posizione del Sindacato europeo, nel sostenere il Green Deal, il Fit for 55 e tutte le misure utili a fermare il surriscaldamento globale e i conseguenti effetti nefasti sul clima, era ed è sintetizzabile nello slogan della “Just Transition”.
La transizione “Giusta” significa che gli obiettivi della decarbonificazione dovevano essere raggiunti senza danneggiare il “lavoro”. In altri termini, riconosciuta la necessità di una rapida riduzione delle emissioni, fino all’obiettivo della neutralità nel 2050, fin da subito i Sindacati avevano chiesto all’Unione Europea e ai Governi nazionali l’adozione di tutte le misure indispensabili per evitare la perdita occupazionale e il rischio di una deregolamentazione del lavoro conseguente alla destrutturazione dei settori industriali tradizionali.
Potremmo semplificare queste misure nella necessità di grandi investimenti che, oltre a dover essere orientati allo sviluppo delle nuove tecnologie, avrebbero dovuto sostenere l’impatto sociale della transizione in corso.
Inoltre, ai fini di un passaggio meno dirompente di tutto il complesso impianto che va dalla distribuzione degli impianti industriali sul territorio, allo specifico sistema delle competenze e professionalità legate alle produzioni tradizionali, alle necessità formative e organizzative delle competenze richieste dalle nuove tecnologie, al sistema scolastico e universitario, per finire alle questioni che riguardano le normative contrattuali e le tutele sociali, il Sindacato chiedeva che la normativa europea tenesse conto del principio della Neutralità Tecnologica. In sostanza ritenevamo che la politica debba decidere gli obiettivi ma, altresì, la società deve essere lasciata libera di adottare i mezzi che ritiene più adeguati al raggiungimento degli obiettivi definiti dalla politica. In altri termini, per noi, la politica avrebbe dovuto sì decidere i livelli di emissione ma la scelta di quali tecnologie adottare doveva rimanere una facoltà del sistema produttivo. Oggi la situazione è molto complessa, gli imponenti capitali investiti sull’elettrico dalle case automobilistiche rendono necessario una loro ottimizzazione e un loro ripensamento avrebbe ulteriori costi economici e sociali.
A che punto siamo
Oggi appare evidente che qualcosa è andato storto. La politica infatti ha iniziato a parlare di Neutralità Tecnologica e appare unanime la richiesta di rivedere le sanzioni per i produttori durante la fase di transizione in corso.
Rimane il grande problema dell’assenza di un piano di incentivi e investimenti a livello europeo. L’Unione ha puntato moltissimo sull’industria militare, prevedendo un notevole sforzo economico nei prossimi anni ma nessun incentivo “all’industria delle industrie” del settore civile. Il Governo italiano, d’altra parte, pur avendo come noi sostenuto la necessità della neutralità tecnologica non mette in discussione il 2035, non solo non ha stanziato ulteriori finanziamenti necessari a sostegno del settore, ma ha pure destinato ad altro scopo quanto era già stato previsto negli anni precedenti.
Stellantis, da parte sua, pur essendosi resa conto di aver sbagliato alcune importanti scelte, sta decidendo se portare in Italia la piattaforma Small, quella dove presumibilmente si dovrebbero realizzare i modelli mass market del futuro. Oltre a questo non ha ancora deciso se riattivare il progetto della Giga Factory a Termoli, il quale vale il destino di duemila lavoratori oltre alla possibilità di portare nel nostro paese le produzioni veramente strategiche dell’auto elettrica, ovvero la costruzione di batterie.
Inoltre, il tavolo presso il Mimit dove per più di un anno tutti gli stakeholders hanno discusso un piano coerente di accompagnamento e di sostegno alla transizione, non ha ancora prodotto un accordo di programma tra le parti.
Ci sembra evidente che, data la complessità del tema, delle sue variabili e delle sue incognite, un approdo positivo all’elettrificazione può essere raggiunto solo con un grande impegno collettivo di tutti i soggetti coinvolti. La strada per l’elettrificazione appare ancora in salita e non diamo per scontato un approdo positivo per l’industria italiana.
Di certo, come fatto finora, il sindacato proseguirà nel suo impegno. Auspichiamo che anche la politica e Stellantis, a partire dagli errori fatti fin qui, riescano ad adottare tutte le misure necessarie al raggiungimento di un esito positivo transizione.
*Segretario generale Fim-Cisl
**Coordinatore nazionale Fim-Cisl settore auto