In queste ultime settimane, si è molto discusso e prodotto, in termini legislativi, sul lavoro. Forse non tutti se ne sono accorti, dato il prevalere della dialettica mediatica incentrata sia sul fallimento del tentativo di avere una legge elettorale che sull’avvio dell’ultimo miglio relativo alla legge per lo “ius soli”.
Ma il lavoro è stato al centro di molti interessi. Hanno tenuto banco la questione degli sgravi fiscali per l’assunzione dei giovani, la nuova definizione normativa per i lavori occasionali in sostituzione dei voucher, il completamento dell’iter parlamentare del cosidetto “jobs act degli autonomi e del lavoro agile”.
Circa la prima questione, si è soltanto all’avvio della discussione sulla futura legge di stabilità, per cui si avrà modo di dedicarci nei giorni e mesi che verranno. Sui nuovi voucher (anche se hanno assunto la forma di un vero e proprio contratto) c’è da aggiungere, a quanto già sottolineato nella news letter 193, il rammarico per la reiterazione dell’invasività della legge a scapito della contrattazione, specie per quanto riguarda l’area delle imprese. Se il legislatore avesse limitato l’intervento soltanto per le famiglie e il terzo settore, rinviando alle eventuali intese tra le parti sociali la regolazione per le imprese, forse si sarebbe risparmiato la manifestazione, decisamente sproporzionata, della CGIL.
Normare i “lavoretti”, per non abbandonarli al “nero”, è procedimento che quasi tutti i Paesi europei hanno già praticato da tempo. E diventa tassello non insignificante – anche se non rilevante per incidenza sulla struttura del mercato del lavoro – di una legislazione sempre meno fordista in materia lavoristica. Inoltre, la coincidenza temporale con l’approvazione delle nuove norme sul lavoro dei professionisti non imprenditori e del lavoro agile, segnala una tendenza non di breve periodo del mutamento dello stesso diritto del lavoro.
Questa legislatura, che volge al termine, pezzo dopo pezzo, disegna un’idea del lavoro che deve uscire dalle secche della frantumazione e della sua svalutazione. E che può riuscirci soltanto se ricompone tutte le sue sfaccettature in una visione universalistica dei diritti e delle tutele e nello stesso tempo, in una strategia di flessibilità nel riconoscimento delle professionalità e delle remunerazioni. Questo disegno non è compiuto appieno, ma è decisamente il più realistico. Non abbiamo ancora il sostituto dello Statuto dei lavoratori, di marca strettamente industriale e operaistica. Ma abbiamo a disposizione le basi per dare al lavoro 4.0 un impianto altrettanto robusto, al quale tutti i protagonisti sociali e politici devono partecipare.
Un esempio per tutti: l’importanza crescente che assume la formazione continua. Il jobs act del lavoro dipendente flessibilizza l’articolo 18 e rafforza le politiche attive del lavoro, ma induce anche la contrattazione collettiva ad accentuare le possibilità di studio, finanche individuali, come è avvenuto nei recenti rinnovi contrattuali. Il jobs act degli autonomi – a cui dedicano approfondimenti interessanti i partecipanti a questa newsletter – privilegia sgravi fiscali per chi si aggiorna, si riqualifica, si attrezza culturalmente nell’arco della propria vita professionale. E questa tendenza non potrà che rafforzarsi.
Il lavoro dipendente continuerà ad avere un peso preponderante rispetto alle diverse forme di lavoro legali. Ma l’uno e le altre si assomiglieranno sempre di più sotto il profilo dei diritti e delle tutele. Continueranno a differenziarsi soltanto a riguardo del profilo e delle dinamiche della professionalità e del reddito, per il mutevole cambiamento delle strutture organizzative private e pubbliche e dei cicli produttivi. E tutto ciò, accentuerà l’esigenza di mantenere equa la partecipazione all’accumulazione delle risorse per finanziare la progressiva parità dei diritti e delle tutele. L’attuale differenziazione tra dipendenti, con il prelievo fiscale alla fonte e indipendenti di ogni tipo, con tassazione a consuntivo dovrà necessariamente essere messa in discussione.
Siamo quindi sulla buona strada, ma già si intravede che, per governare il futuro, occorreranno altri sforzi, altre scelte.