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Solo la coerenza tra parole e azioni ci renderà credibili

Buon pomeriggio. I lavori di questa giornata sono stati davvero proficui. Grazie a Onofrio Rota, a Francesco Lauria e a Francesco Scrima, perché credo di avere qui accanto a me anche alcuni maestri che mi hanno accompagnato in un percorso complesso: io sono l’unica donna seduta a questo tavolo e ciò ha un ruolo e un valore anche simbolici. Ringrazio gli intervenuti, in particolare il professor Rocco Pezzimenti e Agostino Burberi.

Siamo qui per rilanciare un filo che si riannoda e prosegue in un percorso di senso verso orizzonti di crescita collettiva. Aver messo insieme il pensiero di tre sindacalisti che ragionano, ognuno nello specifico della propria azione sindacale, nella propria comunità, insieme alle dirigenze della FIM, della FAI, e della CISL Scuola, è una scelta di grande significato. Siete tutti testimoni del fatto che oggi c’è una bellissima combinazione di valori e sensibilità al cospetto di una figura “profetica” come Don Milani che, dice bene Scrima, non è replicabile: è unica. 

Noi dobbiamo andare in una direzione di umiltà che ci è stata indicata da Don Milani: da ragazzo privilegiato lascia, come San Francesco, una sua condizione di agio per intraprende un percorso nel quale si mette a disposizione degli altri, soprattutto degli ultimi. Cosa possiamo imparare da Don Milani, anche nel nostro lavoro sindacale? Sicuramente che occorre “prendersi carico” delle persone che rappresentiamo come sindacati. 

C’è uno stretto legame, pensando a don Milani, tra il senso del fare e stare a scuola e il senso del fare e stare nel sindacato. È nel prendersi il carico delle persone che hai davanti: di studenti, lavoratori, disoccupati, bambini, ragazzi, più o meno emarginati. Prendersi carico è una missione che sindacalista e maestro sono chiamati a compiere. 

Mi piace ricordare qui l’importanza della dimensione affettiva e relazionale spesso sottolineata da Papa Ratzinger. Papa Ratzinger parlando della pastorale usava spesso questa espressione: “Dovete sentire l’odore delle pecore”. I pastori, coloro che sono a contatto con i discepoli, credenti e non credenti, devono sentire, apprezzare l’odore delle pecore. Allo stesso modo anche noi, da insegnanti, dobbiamo amare i nostri studenti, riversando il nostro affetto verso di loro e le loro storie. La storia di Francesco, di Giovanni di Lucia. Ognuno ha la propria storia, gli insegnanti devono farsi carico delle singole storie, interessarsene. 

Lo stesso vale per chi fa sindacato. Che deve accogliere e raccogliere le istanze di ciascun lavoratore. Noi che siamo CISL Scuola e che tendiamo a farci carico in modo molto individuale delle vicende di ciascuno, sappiamo cosa voglia dire “farsene carico”. Anche emotivamente. Se non sei un po’ inquieto, non puoi fare questo mestiere, non riesci a creare le condizioni che fanno passare dall’indignazione all’azione. L’indignazione è la prima reazione emotiva, ma non è sufficiente. Deve proseguire con l’azione, ci deve essere un movimento verso la soluzione dei problemi, che muove dall’ascolto, dalla relazione. 

E dove si coltivano, le relazioni? Si coltivano negli ambienti, negli spazi fisici collettivi che noi creiamo, e che rimangono gli unici spazi collettivi di partecipazione sociale. Dico gli unici perché i luoghi della politica sono spariti, non ci sono più luoghi della relazione. Al tempo di don Milani c’erano le Camere del Lavoro, c’erano le parrocchie: oggi invece c’è una desertificazione degli spazi di relazione. Ma il sindacato e la scuola ancora ce l’hanno, quello spazio. 

Con il Covid e la dismissione (obbligatoria) degli spazi di relazione, la scuola ha subìto un impatto pesantissimo. Il danno subito dai ragazzi è stato enorme: la chiusura delle scuole ha reso molto difficile per loro intrattenere e coltivare relazioni. Un danno che si è tradotto talvolta in emarginazione, in disagio, in crisi identitarie. Non è un caso che, come ci dicono rilevazioni recenti (Antonio D’Avino, Federazione Italiani Medici Pediatri, ottobre 2022) il rischio del suicidio tra gli adolescenti sia aumentato di oltre il 75%. Tutto ciò rivela come covasse sottotraccia un malessere che nasceva in una fase storica in cui la scuola è stata data per scontata. Si è pensato che, poiché era lì, come istituzione avrebbe continuato a esserci “a prescindere”, e a funzionare, al di là dei risultati. 

Anche i sindacati sono stati dati per scontati. Sindacati che talvolta corrono il rischio di macchiarsi delle stesse colpe della politica. Ecco perché noi dobbiamo preoccuparci di mantenere sempre il contatto con la realtà, di aderire alla realtà. È questo lo sforzo che ci porta a essere fermamente pragmatici. Pur avendo le nostre radici nei valori e negli ideali, che nel caso di don Milani diventano radicali. 

La radicalità di Don Milani è una radicalità dura, che ti pone di fronte alle contraddizioni lasciandoti a volte quasi disarmato. Il contatto con la realtà, però, ti ricolloca in una dimensione per cui sei costretto a occuparti, a prendere in carico le persone, in una dimensione collettiva. 

La Lettera a una professoressa esordisce così: “Questo libro non è scritto per gli insegnanti, ma per i genitori. È un invito a organizzarsi”. È un invito potente. Ma un invito a organizzarsi, per chi? Per la società civile, il territorio. L’invito di Don Milani è ad associarsi nella società civile. 

Un altro elemento che ritengo cruciale nell’operato di don Milani è la parola. Chi meglio dei sindacalisti conosce il valore delle parole? Spesso siamo bravi a usare le parole, ma meno efficaci dal punto di vista delle azioni. Per questo dobbiamo tornare a una combinazione forte tra parola e azione. Le parole che spendiamo devono essere sempre coerenti con le nostre azioni. Solo tornando alla coerenza tra parole e azioni, saremo credibili. 

Uno dei più grandi linguisti del Novecento, Tullio De Mauro, nel 1976 sosteneva che i ragazzi, perché le parole fossero per loro strumenti di sopravvivenza, ne dovevano conoscere almeno 2000. Da una ricerca, sempre del 1976, era emerso che i ginnasiali ne conoscevano all’incirca 1200, ed erano quindi un po’ sotto la “soglia di sopravvivenza”. Nel 1996, 20 anni dopo, gli studenti ne conoscevano 8-900 circa. Tullio De Mauro oggi non c’è più, e anche la parola ha assunto altri connotati. Oggi la parola, specie nell’uso che se ne fa sui social, equivale spesso a semplicismo, a banalizzazione, a strumentalizzazione. Ne dobbiamo dedurre che questo può essere dichiarato il male assoluto? No, è l’evoluzione dei tempi. Però il possesso della parola e degli strumenti di emancipazione civile e sociale rimane uno dei cardini intorno a cui il sindacato e la scuola devono centrare la loro azione. 

Altri due elementi: l’inventiva e l’innovazione. Don Milani è stato un pedagogista innovativo. La Lettera a una professoressa non è stata scritta da lui. È un esempio di cooperative learning, uno strumento di innovazione didattica che è stato adottato nel 1967. Don Milani ha adottato una logica collettiva secondo cui tante teste funzionano bene insieme e sono capaci di inventare strumenti nuovi e approcci nuovi. 

E due elementi ancora: “riconoscimento” e “valorizzazione”. Sono altri due cardini centrali per il sindacato e per chi si occupa di istruzione e formazione. Ovvero l’essere capaci di riconoscere le abilità di tutti e di ciascuno. Noi abbiamo un Ministero che ha aggiunto nella sua denominazione la parola “merito” e su questo potremmo spendere il tempo di un altro convegno: noi peraltro l’abbiamo già fatto, come CISL Scuola. Ora dobbiamo decidere se dare spazio al merito significa scrivere alla lavagna i nomi dei buoni e dei cattivi, dei capaci e degli incapaci, oppure se scrivere alla lavagna i nomi di ciascuno e scrivere accanto ciò che ciascuno sa fare bene. Questo per noi è il merito. In una declinazione sindacale, è innanzitutto la capacità di saper riconoscere il merito del lavoro all’interno del contratto. Ed è un punto veramente importante. Implica riuscire a identificare e valutare le caratteristiche di tutti e di ciascuno. Nella contrattazione, specie in quella di secondo livello, siamo vicini alle persone. Partiamo dalle richieste di ciascuno e di tutti, ne traiamo una sintesi e ci sforziamo di farle riconoscere in termini di valorizzazione. 

La scuola, così come il sindacato, devono tendere a far sì che a ciascuno sia sempre data una seconda opportunità. Se fallisci la prima non sei un disperato, condannato all’emarginazione. Se fallisci la prima non sei uno che non ha più chances. Ecco perché l’istruzione deve prendersi cura e “salvare” anche coloro che a scuola non vogliono starci, cercare di trattenerli, per dare loro un riparo. Forse se qualcuno è andato via è perché non siamo stati sufficientemente accoglienti. La stessa cosa vale per il sindacato. Per chi perde il lavoro noi dobbiamo essere in grado di dare una seconda possibilità. E quindi creare le condizioni per stabilizzare i precari, e di dare maggiore dignità professionale a chi un lavoro stabile ce l’ha già. 

Altro elemento importante: lo studio e lavoro come strumenti di realizzazione della persona. Attualmente questi sono due elementi che non stanno andando di pari passo. Perché lo studio oggi non garantisce una realizzazione completa, che in questa fase storica significa retribuzione alta. E invece oggi chi studia tanto non guadagna tanto. Anche chi studia e lavora oggi è spesso annoverabile tra i “nuovi poveri”, perché le sue condizioni retributive sono totalmente inadeguate. Quindi in molti casi impegnare la propria vita e il proprio tempo nello studio e poi nel lavoro diventa non vantaggioso. E ci sono molti casi di giovani uomini e donne che scelgono di lasciare il proprio lavoro, spesso troppo impegnativo e poco remunerativo. 

Tutto questo cosa rivela? Che dal 1967 ad oggi si è creata una situazione di inadeguatezza della politica, di fragilità del sindacato, di impoverimento della scuola. Abbiamo delle chances? Per farlo dobbiamo tornare a ragionare di equità, che non significa dare a tutti la stessa cosa. Significa non fare parti uguali tra diseguali, significa creare una condizione per cui nel momento in cui c’è ricchezza si deve redistribuire in maniera più equa. Non è più tollerabile che l’1% dei cittadini del mondo sia più ricco del 99%. 

Occorre quindi un’equa distribuzione, giustizia sociale, occorre impegno personale per l’interesse collettivo, e pari opportunità in contesti diversi. Perché le pari opportunità da sole non significano nulla. Quando parliamo di pari opportunità intendiamo dire che occorre creare un gradino di lancio per coloro che sono nati nel posto “sbagliato” della terra. Ecco perché, e mi rivolgo in primis a Giorgio Graziani, CISL e CISL Scuola si devono intestare una battaglia contro la regionalizzazione del sistema di istruzione. Perché questa rappresenterebbe l’inizio della fine di un Paese realmente democratico. E aggiungo che questa è una battaglia facile, è una battaglia che capiscono tutti. Dà senso al ruolo del sindacato non solo oggi, a cento anni dalla nascita di don Milani, ma ogni giorno, esaltando in ciascuno il ruolo di colui o colei che si prende cura.

Don Milani nelle “Esperienze pastorali” dice una cosa, una di quelle a causa delle quali è stato emarginato nella Chiesa: “Non abbiamo odiato i poveri, abbiamo solo dormito. Quando ci siamo svegliati era già troppo tardi: i poveri erano partiti senza di noi”. Rappresenta secondo me esattamente la situazione che noi tutti oggi siamo in grado di osservare. Ebbene, ora è arrivato il tempo di svegliarci. Perché i poveri partono. O meglio: i poveri arrivano, e saranno milioni a partire dalle terre dove ci sono la siccità, la carestia e governi instabili. E non ci saranno muri che riusciranno a fermarli. Saranno tanti e avranno tutti i diritti di conquistare la propria legittima capacità, il proprio sacrosanto diritto di stare al mondo.

* Segretario generale Cisl Scuola, Intervento al convegno “Il sindacato dopo lettera a una professoressa” Centro Studi CISL Firenze 26/05/2023

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