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Barca: “Sul Reddito di emergenza non ci siamo”

Fabrizio Barca, già dirigente della Banca d’Italia, ministro della Coesione sociale nel governo Monti, oggi coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, un impegno nella “cittadinanza attiva” con idee di sinistra, chiede una scossa al governo. In particolare sul Reddito di emergenza. Ha dichiarato: siamo rattristati”. Perché?

Sono 30 giorni che presentiamo proposte e il provvedimento resta inadeguato, imprigionato da vincoli di bilancio. In questa fase non ci può essere vincolo di bilancio, specie per i più vulnerabili.  Dobbiamo renderli liberi dall’angoscia e in grado di riprogrammare la loro vita.

Quali punti non vanno?

Si chiede il ricorso all Isee del 2018 che scoraggia chi lo deve richiedere e non serve di fatto a selezionare i beneficiari. E poi l’importo previsto è insufficiente, forse solo due mesi. È decisamente ingiusto.

Qual è la sua proposta?

Come Fdd e AsviS abbiamo innanzitutto presentato il metodo dell’art.118 della Costituzione sulla sussidiarietà e l’autonomia attiva dei cittadini: se non va la nostra proposta spiegateci il perché!

Chi è che non ascolta?

Vedo un apparato pubblico afflitto da due malattie: l’assenza di un dialogo con la società e una struttura amministrativa indebolita da trent’anni di disinvestimenti. Per ascoltare e raccogliere, poi, serve coraggio, anche politico.

Che proposta fate sul reddito?

Come nella prassi internazionale per le emergenze: usare e semplificare al massimo i dispositivi esistenti, da noi l’infrastruttura del Reddito di cittadinanza. Senza chiedere l’Isee: basta il reddito corrente e il patrimonio degli ultimi due mesi, evitare rinvii ad altre norme e applicare le verifiche dell’Inps sulle autocertificazioni. La durata deve essere quella della crisi, fino alla fine dell’estate. Il provvedimento non va inteso come specifico per gli’ irregolari’. In realtà, è fatto anche per i precari creati dalle leggi degÎi ultimi anni. Non servono moralismi.

Dove si trovano le risorse che questa fase richiede

I fondi che servono ora ‘per passare la nottata’ devono a- vere come riferimento l’unico grande centro federale dell’UE, la BCE. Ovviamente un’Unione non si regge solo sulla Banca centrale e senza una corrispondente autorità federale con poteri fiscali. L’Italia sta trattando bene in Europa, ma ora occorre l’avvio di un fondo che avrebbe bisogno di un “ministro” europeo e di un ruolo politico del Parlamento europeo. Il Recovery fund potrebbe essere un passo in quella direzione, certamente il Mes non lo è.

Confindustria mette già le mani avanti sulle risorse.

Ci siamo ritrovati con un welfare pieno di buchi e la caduta di Pil dev’essere redistribuita. Non sono esperto di fisco, ma sono certo che il metodo di Confindustria, ridurre indiscriminatamente le tasse, è quello dei colpi di piccone. Della peggiore vecchia Italia. Occorre, invece, un disegno organico che riveda fisco e welfare, ad esempio intervenendo sui circa бÕ miliardi di iniquità fiscale orizzontali fatte di deduzioni ad hoc per le singole categorie e sulle elevatissime evasioni,

Il Forum che lei coordina in un documento descrive “tre opzioni” che la crisi avrebbe aperto. Può descriverle? 

Siamo in una fase di biforcazioni con tendenze opposte. La prima opzione che vedo in campo è il ritorno alla ‘normalità e progresso’. Tornare a come eravamo prima con tutti i meccanismi perversi. Ad esempio, il ricorso a termini come ‘semplificazione” che rischiano di consegnare un assegno in bianco a chi scrive regole e procedure rigide ignare dei contesti e delle norme, Oppure “Stato passivo”, cioè mero finanziatore ma incapace di un agire strategico. 

Le altre opzioni?

La ripresa di una dinamica autoritaria: basta decentramento, uno Stato forte che dia degli ordini, tiri su dei muri, che garantisca la purezza e il rilancio dello statalismo dirigista e sanzioni i devianti. Non è detto che sia solo di destra perché la tendenza ha già colpito anche la sinistra e può trovare alleati in forze insospettabili.

La terza strada, per una “giustizia sociale e ambientale”, riconosce che la democrazia è sovranità popolare ed equità. Raccogliere conoscenza diffusa, prendere la parte migliore della democrazia liberale, il confronto acceso e aperto, immaginare anche alleanze tra settori di imprenditoria socialmente orientata, un pezzo significativo del mondo del lavoro, la società civile che non vuole essere ancella dello Stato, un pezzo della ricerca italiana, le ancora importanti imprese pubbliche. In assenza di un soggetto politico che li rap- presenti bisogna far parlare tra loro questi soggetti.

 

*da Il Fatto Quotidiano, 10/05/2020

 

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