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Il dissesto idrogeologico, atteso ma non imprevedibile

Lo stato del dissesto in Italia. L’Italia è uno dei Paesi europei più esposti al rischio frane. Secondo un recente studio del Joint Research Center della Commissione Europea (Van Den Eeckhaut and Hervas, 2012) i database nazionali e regionali di 22 Stati membri contengono informazioni su oltre 630.000 fenomeni franosi. Di questi, il 75% si trova in Italia. Per gli addetti al settore questa non è una sorpresa. L’Italia è stato uno dei primi Paesi a realizzare un cen- simento capillare delle frane e delle alluvioni a scala nazionale. Nel 1989 il Dipartimento di Protezione Civile commissionò al Consiglio Nazionale delle Ricerche il primo censimento delle aree del Paese colpite da frane e alluvioni nell’ultimo secolo (Progetto avi; cnr-gndci, 1994). La carta finale riporta la lo- calizzazione di oltre 9.000 località colpite da frane catastrofiche nel periodo 1918-1994. Il 30% di queste località risultano colpite da frane in modo ricorsivo, ovvero più di una volta.

Più recentemente l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ispra) ha portato a termine un ambizioso Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (Progetto iffi; ispra, 2007) svolto in collaborazione con le Regioni e le Province Auto- nome. Il quadro che emerge èpreoccupante. L’inventario ha censito circa 500.000 frane che coprono un’area complessiva di oltre 21.000 km2, pari al 9% circa del territorio nazionale montano e collinare. Si tratta di un’area più grande dell’interaregione Lazio(1).

Tutte le regioni sono interessate dal problema, anche se in misura differente in ragione delle differenti condizioni ge- ologiche, morfologiche e climatiche. La Tabella 1 e la Figura 1 mostrano l’indice di franosità medio delle varie regioni, cal- colato come rapporto percentuale tra l’area in frana e l’area montana-collinare. Le regioni con l’indice di franosità più alto sono la Lombardia, l’Emilia Romagna e le Marche. Quelle con l’indice più basso sono la Puglia, la Sardegna e la Sicilia. Il rapporto ispra sottolinea comunque come i dati di Basilicata, Calabria e Sicilia sono sottostimati rispetto alla reale situazione di dissesto perché il censimento delle frane ha interessato le sole aree antropizzate (centri abitati e infrastrutture).

Il termine «frana» include però fenomeni di dissesto estre- mamente differenti: possiamo avere frane grandi, profonde e relativamente lente, caratterizzate da velocità dell’ordine dei metri/giorno e da movimenti in blocco che coinvolgo- no un intero versante; frane piccole ma molto rapide, che scendono all’interno di un canale a elevata velocità (metri/ secondo); crolli isolati di blocchi rocciosi che si arrestano al piede di una scarpata; valanghe di roccia in grado di percor- rere chilometri prima di arrestarsi. In termini di pericolosità il fattore più importante è la velocità di movimento, poiché da essa dipende la possibilità di mettersi in salvo. Spesso le frane più grandi e apparentemente più pericolose sono in realtà annunciate da chiari segni premonitori (fratture nel terreno, rigonfiamenti della sede stradale, lesioni a edifici) e durante la fase di parossismo la velocità di movimento è tale da consentire la messa in sicurezza delle persone. Al contrario, piccoli crolli di roccia o frane rapide superficiali avvengono spesso senza alcun avvertimento (o perlomeno i segni premonitori sono più difficili da vedere) e si propaga- no a velocità molto elevata, risultando così potenzialmente letali.

Per queste ragioni, il rischio sociale legato alle frane ha una distribuzione territoriale diversa dall’indice di franosità riportato in Tabella 1. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Salvati et al., 2010) stima che negli ultimi 70 anni ci siano stati almeno 789 eventi di frana che hanno prodotto oltre 5.000 vittime in 522 comuni. Il rischio più elevato compete al Trentino Alto-Adige e alla Campania, colpite rispettiva- mente da 198 e 231 eventi calamitosi nel periodo 1950-2008. Il rischio più basso compete all’Emilia-Romagna (5 eventi), che è invece ai primi posti come indice di franosità. L’Emilia- Romagna, infatti, è caratterizzata da frane lente e profonde che causano enormi danni economici ma che difficilmente mettono a rischio la vita delle persone.

Tabella 1 – Rapporto percentuale tra l’area in frana e l’area montano-collinare per le Regioni italiane, da nord a sud (dati ispra, 2007).

 

Come possiamo migliorare questa situazione? Come possiamo diminuire l’impatto del dissesto idrogeologico e aumentare la nostra capacità di difesa? Ci sono diverse possibilità: più prevenzione, una maggiore consapevolezza dei rischi naturali da parte della popolazione, un atteggiamento meno connivente degli enti pubblici con gli interessi privati, il rispetto della pianificazione territoriale. Personalmente vedo però la strada maestra nell’aumento della conoscenza, nel miglioramento degli strumenti tecnici e nell’avanzamento della ricerca. Quando la malattia è seria servono buoni medici e buoni strumenti per avere buone diagnosi e cure.

Figura 5 – Il costante aumento del numero di pubblicazioni scientifiche sul tema frane in tre prestigiose riviste di settore testimonia lo sforzo della ricerca negli ultimi 20 anni.

 

Negli ultimi venti anni la ricerca scientifica internazionale ha prodotto un grande sforzo sul tema frane (Figura 5) e l’ Italia è in prima linea. Un recente studio bibliometrico pubblicato su una prestigiosa rivista di settore («Landsli- des»; Wu et al., 2015) pone l’ Italia al secondo posto tra le nazioni più produttive al mondo nell’ambito della ricerca sulle frane, subito dietro gli usa. Un grande risultato se consideriamo gli esigui finanziamenti pubblici alla ricerca scientifica.

Chiaramente, molte ricerche non hanno ricadute dirette sulla mitigazione del rischio essendo rivolte alla comprensione fisica dei processi o all’analisi di aspetti puntuali. Grazie però alle recenti innovazioni in ambito tecnologico dispo- niamo ora di strumenti nuovi che stanno già cambiando il nostro modo di gestire il rischio da frana. Tra le tecniche più promettenti spicca l’interferometria satellitare e il radar interferometrico terreste.

L’interferometria satellitare è una delle tecniche in più rapido sviluppo di monitoraggio remoto. Le immagini radar prese da satellite sono utilizzate per derivare modelli digitali del terreno e individuare, tramite il confronto fra le immagini successive, lo spostamento di alcuni punti a elevata visibilità (edifici, piloni della luce, affioramenti di roccia…). A ogni rivoluzione del satellite si ha una misura e in questo modo si ottiene una serie temporale di spo- stamento per ogni punto rilevato. I primi satelliti (ers ed envisat) avevano un tempo di rivoluzione di circa un me- se ed erano quindi in grado di fornire dei valori medi di velocità di spostamento sul lungo periodo. I nuovi satelliti (es. cosmo-SkyMed) arrivano a un tempo di rivoluzione di pochi giorni e permettono quindi di seguire con buon dettaglio l’evoluzione di un fenomeno franoso. Con questa tecnica è possibile misurare velocità di spostamento com- prese tra pochi mm a qualche cm/anno.

Il Ministero dell’Ambiente ha finanziato nel 2002 un importante progetto di telerilevamento a scala nazionale (Piano Straordinario di Telerilevamento Ambientale) utilizzando questa tecnica. I dati raccolti (liberamente disponibili nel Geoportale Nazionale) consistono di oltre 10 milioni di punti di misura per cui è stata calcolata la velocità media di spostamento negli intervalli temporali 1992-2000 (ers) e 2003-2008 (envisat). L’integrazione tra questi dati e la cartografia del dissesto è in fase di elaborazione in molte Regioni. L’idea è quella di aggiornare lo stato di attività delle frane censite e identificare eventuali dissesti non rilevati. Si tratta però di elaborazioni delicate che richiedono attente verifiche di campo. È probabile che serva ancora qualche anno per vedere i frutti di questo investimento.

Nell’Appennino vi sono molti abitati costruiti su frane in lento movimento che causano lesioni agli edifici e problemi alle infrastrutture. Si tratta di convivenze difficili, ma la vera preoccupazione è che una precipitazione intensa possa causare un’accelerazione di tali frane con gravi conseguenze. In quest’ottica è fondamentale l’azione di monitoraggio, in quanto l’innesco di frane di questo tipo non è improvviso ma preceduto da una lunga fase di accelerazione (fase pre-rottura) che può essere colta con strumentazione idonea. Il radar interferometrico satellitare, combinato con strumenti a terra quali inclinometri (misuratori di spostamenti profondi del versante) o stazioni gps, consente di tenere il fenomeno sotto controllo e di allertare per tempo la popolazione. In molti casi è possibile mitigare il rischio da frana (diminuire cioè la probabilità che una frana crei danni alle persone) utilizzando il moni- toraggio al posto di costosi interventi di consolidamento, che nel caso di grandi frane possono essere tra l’altro molto costosi o di dubbia efficacia.

Il radar interferometrico terrestre utilizza una tecnica analoga a quello satellitare, ma le misure sono eseguite da terra. Essendo più vicino all’oggetto da rilevare si arriva a misure molto precise, dell’ordine di qualche mm di spostamento di un punto posto entro 3 km di distanza dal punto di presa. Il radar terrestre è utilizzato in fase di emergenza per ottenere in modo rapido una mappa di deformazione del versante e individuare così le zone critiche. Nessun altro strumento è in grado di fornire mappe di spostamento con una tale densità di punti (dell’ordine di 1 punto ogni 2mquadri a 1 km di distanza). Si tratta però di una tecnica piuttosto costosa, il cui uso è al momento limitato a poche frane di particolare interesse. Sono in genere fenomeni di grandi dimensioni e rischio elevato, che non possono essere con- solidati o messi in sicurezza con le tecniche tradizionali. In quest’ambito il dato di monitoraggio è essenziale per seguire l’evoluzione del fenomeno e mitigare il rischio ad esso connesso.

Le Figure 6a e 6b mostrano un esempio di monitorag- gio interferometrico terrestre per il controllo della rupe di San Leo (provincia di Rimini) dopo il grande crollo avvenuto il 27/02/2014. Il crollo è stato improvviso e ha causato un arretramento della scarpata di circa 50 m, avvicinando- la pericolosamente a una serie di abitazioni, alla caserma dei Carabinieri e alla scuola elementare. Gli edifici sono stati prontamente evacuati, ma subito dopo l’evento c’era la preoccupazione che la frana avesse in qualche modo peggiorato le condizioni di stabilità della scarpata adiacente. In cima a questa scarpata corre infatti la strada di accesso per la Rocca di San Leo, una delle fortezze medioevali più belle d’ Italia. Anche in questo caso il monitoraggio è stato essenziale per gestire l’emergenza. Il problema specifico è che le frane di crollo in roccia possono avere un’evoluzione anche molto rapida e (a differenza del caso precedente) le deformazioni pre-rottura possono essere minime. È quindi necessario un monitoraggio continuo, di precisione millimetrica e in grado di coprire una grande area. Il radar interferometrico terrestre ha queste caratteristiche e ha permesso di verificare che la scarpata era sostanzialmente ferma consentendo così, dopo un congruo tempo di verifica, il rientro delle persone nelle abitazioni e la riapertura della scuola.

Figura 6 a – Rupe di San Leo (Provincia di Rimini): foto panoramica del crollo avvenuto il 27 luglio 2014.

 

Figura 6 b – Mappa di spostamento ottenuto da interferometria radar terrestre eseguita dal Centro di Competenza del Servizio Nazionale di Protezione Civile dell’Università di Firenze. Le aree evidenziate indicano zone di attenzione carat- terizzate da particolare attività di movimento.

Per concludere: consapevolezza, attenzione e conoscenza

In definitiva, penso che non ci sia una ricetta semplice per ridurre il drammatico impatto del dissesto idrogeologico nel nostro Paese. L’ Italia ha una naturale predisposizione allo sviluppo di fenomeni franosi. Vivere in un tale ambiente ri- chiede particolare consapevolezza, attenzione e conoscenza. Non possiamo liquidare come «eccezionale» un fenomeno franoso che in realtà si è attivato più volte in passato (magari addirittura in epoca storica) e non è stato considerato per ignoranza o negligenza. Così come non dobbiamo stupirci se una colata rapida di detrito colpisce un edificio costruito su un’area di conoide formata (nel tempo geologico) proprio da depositi multipli di colate di detrito. La conoscenza geo- logica del territorio è consapevolezza delle trasformazioni di lungo termine e dei processi, anche catastrofici, che possono interagire con la nostra vita.

Le soluzioni globali, definitive e certe non esistono di fronte a fenomeni così complessi. Servono piuttosto cono- scenza, ricerca e persone qualificate nei posti giusti; canali di finanziamento capillari e certi, che sostengano il miglio- ramento del sapere e rendano più efficace l’azione di inter- vento. Un celebre aforisma di Bertrand Russell recita: «Ciò che gli uomini vogliono realmente non è la conoscenza, ma la certezza». Una tendenza pericolosa quando parliamo di frane.

 

note

1. Dati di sintesi sono stati pubblicati nel 2014 da M. Amanti e da C. Margottini, si veda qui in bibliografia.

Bibliografia

– amanti m. (2014), Frane. La fragilità del territorio italiano fra eventi estremi, caratteri geologici e aggressioni antropiche, in e. guidoboni, g. valensise (a cura di), L’Italia dei disastri. Dati e riflessioni sull’impatto degli eventi naturali 1861-2013, Bononia University Press, Bologna, pp. 159-190.

– margottini c. (2014), La difesa del suolo in Italia. Impatti e costi, in L’Italia dei disastri, cit. pp. 191-206.

– consiglio nazionale delle ricerche-gruppo per la difesa dalle cata- strofi idrogeologiche (1994), Progetto avi, Aree vulnerate e piani di protezione civile.

– frumento s. (2014), Il rischio idrogeologico in Italia. Wolters Kluwer Italia, 160 pp. guidoboni e., g. valensise (a cura di) (2014), L’Italia dei disastri. Dati e riflessioni sull’impatto degli eventi naturali 1861-2013. Bononia University Press, Bologna, 430 pp.

– international consortium on landslide (2008), The First World Landslide Forum, Proceedings, Tokyo, Japan.

– istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (2007), Rapporto sulle frane in Italia.

– istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (2011), Annuario dei dati ambientali.

– istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (2012), Rapporto di sintesi sul dissesto idrogeologico in Italia 2014.

– salvati p., bianchi c., rossi m., guzzetti f. (2010), Societal landslide and flood risk in Italy, «Natural Hazards Earth System Science«, 10, pp. 465-483.

– van den eeckhaut m., hervas d.f. (2012), State of the art of national landslide databases in Europe and their potential for assessing landslide susceptibility, hazard and risk, «Geomorphology», 139, pp. 545-558.

– wu x., chen x., zhan f.b. (2015), Global research trends in landslides during 1991- 2014: a bibliometric analysis, «Landslides», doi 10.1007/s10346-015-0624-z.

 

 

 

*Università di Bologna

 

 

 

 

 

 

 

 

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