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Blowin’ in the wind

Non rimane che affidarsi al vento, come cantava Bob Dylan qualche decennio fa! Nel quadro sostanzialmente statico delle perfomance ambientali delle città capoluogo misurato da Ecosistema Urbano di Legambiente, sembra che miglioramenti e peggioramenti siano determinati in larghissima parte alle condizioni meteorologiche favorevoli.  Nel 2014, infatti, il calo delle concentrazioni di NO2, PM10, ozono, e quindi il miglioramento dei livelli di inquinamento atmosferico è stato determinato da condizioni favorevoli: la dispersione degli inquinanti in inverno e le piogge estive. L’anno scorso, al contrario, un inverno particolarmente asciutto ha fatto esplodere una lunghissima emergenza smog che ha soffocato per giorni decine di città italiane. E dopo tutta questa mal’aria non c’è stata, a livello nazionale, una risposta capace di impedire il ripetersi di altri allarmi polveri sottili in futuro.

Tutto qui? Per fortuna no. Miglioramenti nell’insieme delle città capoluogo ci sono, in particolare sul fronte delle energie rinnovabili e della raccolta dei rifiuti, a dimostrazione che l’economia circolare ha nelle città un suo punto di forza e di reale insediamento nel sistema Italia. 

Il bubbone nero rimane la mobilità. Qui nulla si muove (tranne isolate eccezioni, prima fra tutte Bolzano, che comunque dimostrano che qualcosa si potrebbe fare!) sia nel trasporto pubblico che nel modal share, con alcune gravi conseguenze: il tasso medio di motorizzazione dei comuni capoluogo italiani continua a crescere, anche se di poco (erano 64,8 auto ogni 100 abitanti lo scorso anno, nel 2014 siamo a 64,9, con livelli praticamente doppi di città come Parigi o Berlino);  l’innovazione in questo settore, che pure all’economia circolare potrebbe dare un grande contributo, rimane bloccata e insignificante; l’inquinamento atmosferico continua ad essere un nodo inestricabile e irrisolvibile, che provoca effetti devastanti che si scaricano sul sistema sanitario e sul benessere delle persone. Ma ciò che più lascia interdetti è che oggi, in questo settore, le tecnologie e le trasformazioni organizzative, esattamente come nel settore dei rifiuti, ci sono ma non vengono applicate se non in modo sporadico, timido, incoerente.

Questa la fotografia, in estrema sintesi, prodotta da Ecosistema Urbano. Ma dopo anni di statistiche ambientali non ha più molto senso fermarsi solo alla constatazione dei dati e dei fatti (dei non-fatti verrebbe da dire). Non basta a smuovere le politiche. Occorre capire qual è il contesto in cui ci muoviamo e quali sono i fattori di cambiamento che possono funzionare da volano per migliorare le nostre città.

Partiamo dal fatto che ci muoviamo in un contesto diverso da qualche anno fa.

Nella crisi economica che ci attanaglia dal 2008, nella sconsiderata insistenza delle politiche europee sull’austerity, nella timidezza con cui l’Europa, e conseguentemente i suoi stati membri, si pongono di fronte alle grandi emergenze, che siano esse i cambiamenti climatici piuttosto che il flusso di migranti (fenomeni che, per molti aspetti, rappresentano due facce della stessa medaglia), si sta affermando una dimensione importante: gli stili di vita fanno economia. 

Provo a spiegarmi. Di fronte alle ricorrenti emergenze ambientali, che siano la mal’aria piuttosto che frane e alluvioni, il traffico caotico piuttosto che la pessima qualità delle nostre abitazioni (per chi ce l’ha!), si è sviluppata una domanda di nuovi stili di vita nei consumi energetici, nella mobilità ciclabile, nel car sharing, nei consumi alimentari, nella raccolta dei rifiuti…. Tutti fenomeni che partono dal bisogno della gente di vivere meglio consumando meno, che creano mercato perché chiedono nuovi prodotti, che producono domande alle politiche locali di modificare regole e sostenere il cambiamento, che chiedono alla politica nazionale tempi e regole certe (senza contrordini e marce indietro, come avviene ormai puntualmente da anni nel settore delle rinnovabili) e soprattutto individuazione di priorità che rispondano ai bisogni dei cittadini, che avanzano domande anche al sistema creditizio perché inventi nuove modalità di finanziamento per interventi nei condomini, nei quartieri, negli edifici pubblici. C’è un mondo che chiede cambiamento, che là dove può se lo inventa, che quando c’è l’offerta da parte delle istituzioni lo abbraccia con entusiasmo e che così facendo crea lavoro e sostiene l’innovazione. C’è un mondo in movimento che crea economia e non passa attraverso il Ponte sullo Stretto e men che meno attraverso le trivellazioni petrolifere.

Ci sono, in questa prospettiva, anche grandi questioni di innovazione della governance nei territori, ma al momento di questo non si discute e le città metropolitane appaiono più come una grande occasione persa, che come laboratorio di innovazione.

Ecco allora che per non affidarsi più al vento per sperare che le nostre città migliorino, c’è una sola strada. Fare la scelta strategica, con i ministeri interessati coordinati da una vera cabina di regia, di fare dell’innovazione urbana e del miglioramento della vita in città la vera grande opera pubblica. La trasformazione delle città è una grande sfida che intreccia nuovi bisogni con cambiamenti istituzionali e organizzativi con sviluppo di nuove filiere industriali e passa dalla messa in sicurezza dalle catastrofi naturali, dal rilancio della vita sociale nei quartieri, dalla valorizzazione della cultura, dalla riqualificazione energetica, dall’arresto del consumo di suolo, dagli investimenti nel sistema del trasporto periurbano, dal sostegno alla mobilità nuova. Una scelta politica che andrebbe nella direzione dell’interesse generale: si crea lavoro migliorando il benessere e mettendo al sicuro le nostre città.

 

 (*) Segretario Nazionale di Legambiente

 

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