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Buttiamo a mare l’autonomia e puntiamo sul federalismo

Il dibattito sulla Autonomia Differenziata, che per tutto il periodo dei governi della precedente legislatura era rimasto sottotono, ha ripreso vigore da quando il Ministro Calderoli si è intestato la proposta un progetto di riforma che, alla fin fine, sta provocando più contrarietà che consensi. 

Innanzi tutto perché nella stessa maggioranza esistono dubbi e perplessità sul contenuto della proposta e sulla opportunità politica di lanciarla in questo frangente. Nelle intenzioni del proponente, che è persona dotata di notevole abilità e spregiudicatezza tattica (che sta alla base di molte sue uscite inappropriate e non giustificabili), c’è, sicuramente, la intenzione di forzare, proprio all’inizio della Legislatura di destra, su un tema che lui stesso sa essere controverso, puntando sul fatto che l’alleanza non si può sfaldare; evitando, quindi, il logoramento del tema al quale si è assistito in questi anni.

Ma, come si sta già vedendo, la situazione è più complessa e il blitz non è ancora riuscito. Le ragioni sono molto serie. Fratelli d’Italia ha una visione nazionale, quindi è poco propensa alle articolazioni eccessive dei poteri centrali; in più a Giorgia Meloni interessa prioritariamente il Presidenzialismo e la proposta Calderoli rappresenta, se non un ostacolo, sicuramente un diversivo rispetto a quell’obiettivo. Anche Forza Italia non ha mai dimostrato entusiasmo per proposte che dividano il paese. La stessa Lega, che pure sostiene Calderoli, ha, al suo interno, molte anime e – con buona pace di Zaia, che insiste da molti anni sulla Autonomia, ma senza successo (e, senza mai dar conto ai veneti dell’insuccesso) – la necessità di Salvini di garantire una dimensione nazionale del suo partito, depotenzia di fatto la linea Calderoli che appare fondamentalmente come una rivendicazione nordista. Il sostegno alla Autonomia differenziata alla Calderoli è, perciò, da parte della maggioranza, più di facciata che di sostanza.

Nelle opposizioni, il PD ha avuto, in questi anni, una posizione prevalentemente contraria, anche se articolata. Bonaccini, che è quello che più ha aperto a forme di autonomia, non può, però, prescindere dalla posizione della nuova Segretaria, che appoggia esplicitamente le posizioni contrarie. Pur con i distinguo che ci sono tra le forze politiche di opposizione, il no al disegno Calderoli, è presente anche nel resto dei partiti di minoranza. Anzi, proprio il no a Calderoli può rappresentare un terreno di ricerca di una posizione comune che su altri temi appare difficile (anche se è un buon segnale, al di la del merito, la intesa sul salario minimo).

A conferma di quanto la proposta Calderoli rischi di navigare verso un porto delle nebbie, c’è l’improvviso, diffuso consenso che sta trovando il rilancio delle Province, arrivando ad ipotizzarne nuovamente la elezione diretta.

 Il punto è che la proposta Calderoli, esplosa per la ragione tattica sopra descritta, è stata calata in un contesto privo degli elementi di base per reggerne la struttura. Basta riflettere su alcuni aspetti di merito.

Il primo è la struttura della spesa decentrata. Da anni si discute della necessità di passare dalla spesa storica ai fabbisogni. Ma è un processo che non è decollato appieno; sicché un decentramento così rilevante, come quello previsto dall’autonomia differenziata, se resta affidato alla spesa storica non garantisce lo sviluppo dei territori, soprattutto quelli con maggiori esigenze di servizi.

Il secondo è la mancata realizzazione dei Lep. I livelli essenziali delle prestazioni sono il presupposto della uguaglianza dei cittadini di fronte allo Stato, garantita dalla Costituzione. Realizzare i Lep è un percorso tecnico molto delicato e se manca la comune volontà politica, perché proprio l’Autonomia differenziata teorizza le differenze come base di partenza, la disuguaglianza territoriale è assicurata.

Il problema è talmente evidente che lo stesso governo ha sentito la necessità di istituire una Commissione, che ha il compito di predisporre i Lep in funzione della riforma. Ma, visto la complessità dell’argomento ed il numero esorbitante di Commissari, i tempi di conclusione dei lavori della Commissione sembrano incompatibili con quelli di Calderoli.  Con la sua abituale ed efficace ironia politica, il governatore della Campania, De Luca, ha definito la Commissione un “Sinedrio” (alla cui infelice memoria è associato il più clamoroso caso di volontario “errore giudiziario” della storia).

Il terzo argomento di merito versus la riforma Calderoli, ma in generale verso forme autonomistiche, riguarda le materie. E’ fin troppo evidente che in una società interconnessa e globale ci sono argomenti che travalicano competenze settoriale o locali. Pensiamo alla energia e alle vicende che l’hanno resa protagonista in conseguenza della guerra russo ucraina. La dipendenza energetica non è certo un problema regionale e la soluzione non è nemmeno solo nazionale, ma almeno europea. Pensiamo anche alla educazione e alla scuola. La valorizzazione delle specificità territoriali (dialetti, tradizioni, culture) è molto importante e va tutelata e promossa; ma non certo in alternativa alla necessaria costante costruzione e aggiornamento della identità nazionale (e, anche in questo caso, europea!). Per non parlare dell’accoglienza o delle emergenze ambientali o sanitarie. Abbiamo appena alle spalle il Covid e proviamo solo ad immaginare cosa poteva succedere se la gestione fosse stata esclusivamente in mano alle Regioni. 

L’elenco delle materie non delegabili è lungo; più lungo delle materie delegabili. Se poi parliamo di fisco, che è il cuore della rivendicazione, come sarebbe gestita l’autonomia impositiva totale, in assenza di un equilibratore centrale che garantisca condizioni minime di equità fiscale tra i cittadini dello stesso Paese, che sono tutti uguali davanti alla legge? O anche il diritto va… differenziato?.

Il punto politico, però, che ci ha portato a questa deriva istituzionale viene da lontano e sta in un grave errore, in una occasione persa da parte della classe politica negli ultimi vent’anni, almeno. Non aver costruito un vero Federalismo. Che lo Stato moderno, complesso nel suo articolato sviluppo, e, riconosciamolo, anche nelle differenze, avesse bisogno di una moderna ed efficace articolazione, è evidente.

Già negli anni ’90 la Fondazione Agnelli e il padre nobile della Lega, Gianfranco Miglio, agitarono il dibattito formulando delle ipotesi di riforma dello Stato che, pur diverse, si muovevano in una ottica federalista, più che autonomista. La fondazione Agnelli ridisegnava addirittura le Regioni e qualche scivolone indipendentista di Miglio era dettato dalla ingenua volontà di garantire un riscatto territoriale dalle condizioni di disagio, non dalla idea di conflitto concorrenziale, che poi prese il sopravvento nel suo partito, trasformando la idea originaria in battaglie secessioniste. L’occhiolino che la “Liga” veneta fece ai movimenti secessionisti e anti meridionalisti, in fin dei conti razzisti, ha segnato il corso della vicenda.

Ci fu, però, un periodo nel quale la scelta federalista sembrò prendere corpo. Gli atti parlamentari della Commissione bicamerale per il Federalismo, presieduta dall’On. Giancarlo Giorgietti (a dimostrazione della pluralità di impostazione interna alla Lega, alla quale ho fatto accenno all’inizio) ci offrono un interessante spaccato del dibattito che, per un periodo non breve, ha tentato di rispondere in positivo al problema. Ma, l’accelerazione veneto lombarda, con tanto di Referendum vinto, ha avuto il sopravvento e il Federalismo è stato travolto. Il tentativo modesto di deviare il corso delle cose attraverso la non riuscita riforma delle province non ha sortito l’effetto sperato. Il tentativo successivo di insabbiare l’argomento ha finito per lasciare aperto il varco nel quale Calderoli si è infilato.

Oggi, dunque, abbiamo davanti a noi una risposta sbagliata: l’autonomia differenziata; ad un problema reale: la articolazione dei poteri.

In questo scenario, personalmente penso, che gli oppositori della Autonomia differenziata di Calderoli, non possano limitarsi ad una pur necessaria battaglia contro; ma devono costruire una alternativa di livello strategico, che risponda al problema istituzionale. Questa alternativa, però, non sta all’interno della riforma Calderoli, attenuandone gli effetti o correggendone gli eccessi. No. Sta, invece, nel coraggio di non negare il problema storico del decentramento e rilanciare la soluzione federale. La differenza è senza possibilità di equivoci: Il Federalismo è una unità tra diversi; l’autonomia, figlia del secessionismo, è una separazione di destini.    

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