Il Presidente della Repubblica non perde occasione per ricordare all’uomo della strada, ma anche ai potenti del Paese che ci vuole coesione sociale, senso di responsabilità, visione lunga per l’immediato ma anche per il futuro dell’Italia. Ricorda a tutti che “il nemico è il virus”. Temo che sia preso sul serio più dall’ultimo degli italiani, che dai molti che hanno ruoli decisionali e di visibilità importati. Non si incontrano più persone, sia giovani che anziani, senza mascherina per strada, nei negozi, sui mezzi pubblici. Si assiste, invece, con sempre più insistenza, a scontri verbali e spesso inconcludenti tra chi rappresenta istituzioni pubbliche e la politica e sono influenti sull’opinione pubblica.
Lo sconcerto lievita tra la gente; l’autorevolezza del ruolo dei decisori si frantuma sotto il peso dei battibecchi che questi si scambiano; finanche chi da l’anima negli ospedali, per far fronte ai contagi da curare, non riscuote più illimitata fiducia. Tutto diventa opinabile: la conta di chi è in pericolo, i colori delle “zone”, i limiti di sopportabilità del sistema sanitario, la frequenza delle scuole, i ristori distribuiti per le saracinesche abbassate, per le attività fermate, per gli stadi vuoti.
Ovviamente, non è un problema di galateo se, ai vertici delle rappresentanze politiche e istituzionali, non ci sono assonanze. E’ che ci sono troppi centri decisionali che, se vengono presi di sorpresa come a marzo, si danno da fare in modo coeso. Di fronte alla ripresa dei contagi e in parte anche dei risultati delle elezioni regionali e della mancata approvazione dell’utilizzo del MES, non c’è stato più quel sentimento di compattezza e hanno prevalso i distinguo.
Di questo passo, gli appelli di Mattarella non saranno più sufficienti ad assicurare la coesione sociale. C’è da sperare che prevalga il buon senso, ma la questione resta. Troppi centri decisionali, specie nell’area della sanità. Tra Stato e Regioni si sta logorando il sistema di codecisione. Oltre lo stadio del rimpallo delle responsabilità, c’è solo il conflitto istituzionale.
Allora, sorge l’esigenza di porre all’ordine del giorno la questione della revisione dei ruoli di potere previsti dalla Costituzione. Prima che il treno deragli. Prima che i guidatori (ormai i Presidenti di Regione si fanno chiamare Governatori) si facciano prendere dal delirio di onnipotenza.
La sanità, con le sue caratteristiche di universalità, sarà sempre più decisiva per il benessere degli italiani e assorbirà sempre più risorse pubbliche. Inoltre, il singolo cittadino ha diritto di essere assistito e curato alla stessa maniera, ovunque si trovi. Ora, tra la sanità del Veneto e quella della Calabria c’è un abisso di tutela organizzata. E non è un problema Nord/ Sud, perché quella lombarda è più vicina a quella siciliana, come quella emiliana rispetto a quella ligure. Né è un problema di schieramenti politici al comando, come si può facilmente intuire.
Il fatto è che nel tempo, l’articolo V della Costituzione è stato interpretato dalle varie Assemblee Regionali in assoluta libertà e autonomia, disegnando due tipi di sanità. Fondamentalmente: una attenta al territorio, con presidi diffusi e ben calibrati con i centri ospedalieri pubblici e un’altra che ha risparmiato sulla medicina di territorio e tenendo a stecchetto le strutture ospedaliere, ma incrementando le convenzioni con le strutture della sanità privata. In mezzo a questi poli, c’è stata una varietà di soluzioni che ha portato ad un arcobaleno di sanità in questo Paese.
Personalmente ritengo che, come mi disse una volta, in una riunione istituzionale, Formigoni, “la Regione è una grande ASL”. Basta vedere le voci di bilancio, per dargli ragione. Lui è stato trovato con le mani nella marmellata, ne sta pagando il prezzo, ma il peggio del suo lungo mandato è ancora lì: ha favorito il primo modello di sanità. Purtroppo, però, la lista degli scandali e delle malefatte è lunga quanto è lungo lo Stivale. Ora la pandemia ha fatto emergere crepe gestionali enormi e di necessità ha dilatato di fatto il ruolo dello Stato. Fa scalpore che si chieda alla protezione Civile e ad Emergency di fornire ospedali da campo in Calabria, dopo che dal 2010 ne sono stati chiusi 18.
Forse è il caso di chiedersi se la Regione sia istituzione così rilevante da considerarla sacra. C’è da chiedersi se non sia il caso di ritornare ad avere due capisaldi decisionali: in basso i comuni, in alto lo Stato. Il Presidente dell’Anci nella recente Assemblea annuale ha chiesto più spazio ai Comuni nella gestione della Sanità. Meglio porre la questione in termini radicali: serve veramente la Regione, in uno scacchiere istituzionale dove cresce il ruolo dell’Europa? Ha prodotto, facendo un bilancio di costi/benefici, più valore aggiunto economico, sociale e morale al Paese? Ci ha offerto una classe dirigente politica e amministrativa più efficiente e competente di quella locale e centrale?
Ha scritto di recente Edgar Morin: “l’avvenire imprevedibile è oggi in gestazione. Auspichiamo che sia per una rigenerazione della politica, per una protezione del pianeta e per una umanizzazione della società: è tempo di cambiare strada” (Cambiamo strada, Raffaello Cortina Editore, 2020). Non spaventiamoci ad osare di pensare ed agire diversamente e se possibile, in modo nuovo.