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Cercare l’anima della Legge di Stabilita’

La legge di stabilità è in dirittura d’arrivo. Cambieranno specifiche questioni che per i destinatari saranno certamente importanti. Sia che vengano introdotte che cancellate. Ma la sua fisionomia, ormai è delineata. Anzi, è esattamente quella che aveva all’inizio, salvo l’incalzare del chiacchiericcio che l’ha circondata e la annebbierà fino all’ultimo voto. Anche questo non è una novità. Le migliaia di emendamenti ci sono sempre stati. Gli annunci di novità e le smentite anche. Di eccedente c’è che le esigenze di identità alimentate dalle forze della maggioranza – l’una contro l’altra – consentono all’opposizione di campare tranquillamente sulla bugia di una legge fatta di “tasse e manette”. 

Passando dalle modalità – che hanno fatto la parte del leone nella comunicazione – ai contenuti, sarebbe una esagerazione dire che il fumo prevale sull’arrosto. Ci sono misure sulla lotta all’evasione, sulla riduzione del prelievo fiscale per i lavoratori, sul welfare (eliminazione del super ticket sanitario, più asili nido, tutele fasce deboli), sull’occupazione (rilancio pacchetto industria 4.0, appalti pubblici, sostegno ad economia circolare) che almeno non fanno litigare con l’Europa.

Ma non hanno avuto la forza, complessivamente, di esprimere un’anima realmente innovativa. Per quella quota modesta di risorse disponibili dopo la scelta di non aumentare l’IVA, c’è stata la riconferma che tra quelle destinate agli investimenti e all’occupazione e quelle destinate alla redistribuzione reddituale (quasi tutta a debito), la seconda ha avuto la meglio. Con l’aggravante che i destinatari di quest’ultima, data la dispersione delle voci di bilancio su cui essa si è spalmata, difficilmente si diranno soddisfatti. 

E’ un andazzo che viene da lontano, complicato e quindi enfatizzato dall’accumulo delle contraddizioni che si sono accatastate nel tempo. Prima fra tutte l’enormità delle risorse assorbite dal mantenimento delle attuali aliquote IVA. Certo, il minimalismo ha rappresentato man mano l’anestetico per far approvare le leggi di stabilità di questo inizio secolo. La logica del “meglio poco che niente”, però, non distingue con nettezza le differenze tra gli schieramenti. E l’opinione pubblica lo recepisce. Ma con sempre minore tolleranza. Il fenomeno delle sardine, se esplicitamente rivolto a stoppare l’invadenza sovranista della democrazia illiberale, è anche un monito per le forze riformiste di non esagerare con il minimalismo sia economico che ideale.

Il Governo promette di fare il tagliando a sé stesso a inizio d’anno. Sarebbe interessante se ponesse al primo posto la necessità di non rifare il rito della prossima legge di stabilità sulla falsariga di quella che si va concludendo. Gli si potrebbe suggerire di mettere in primo piano la questione di come reperire le risorse, utilizzando come canovaccio strategico il discorso fatto dal Presidente della Repubblica Mattarella ai giovani in visita al Quirinale il 9 dicembre scorso. Ad esso andrebbe aggiunta, come piattaforma operativa, l’esternazione fatta nello stesso giorno dal Procuratore nazionale antimafia e anti terrorismo Cafiero De Raho. Il primo ha parlato di “evasione indecente…e chi non paga non capisce che si vive insieme”; il secondo ha chiesto che nei pagamenti si elimini il contante e che si possano dedurre tutte le spese fatte nell’anno dal contribuente, tassando in modo non proporzionale soltanto il residuo del reddito prodotto e dichiarato. Entrambi, autorevolmente, chiedono una rivoluzione dei costumi degli italiani e un diverso modo di agire dello Stato verso i cittadini.

Da parte nostra aggiungiamo di introdurre uno sdoppiamento della legge di stabilità. Prima va approvata quella relativa agli investimenti e all’occupazione. Poi quella relativa alla redistribuzione del reddito e la tutela del welfare. Entrambe da contenere nei parametri concordati in sede europea. Il senso è evidente: decidere come far crescere la torta per stabilire come meglio dimensionare le fette da spartire. Ridurre la confusione è rendere più trasparente la discussione istituzionale e politica nei confronti dei cittadini. Così, migliorerebbe la fiducia, che sta diventando merce sempre più rara. Vedremo se il domani produce più speranze che l’oggi.

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