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Cerchiamo di non finire in un mare di guai

Se 5 miliardi di euro vi sembran pochi….. E’ questa la cifra pari ai maggiori interessi che il Bilancio dello Stato deve mettere nel conto di pagare, se lo spread con la Germania non ritorna nell’alveo della normalità, intorno ai 100/130 punti. E siccome l’economia continua a tirare, sia pure con tutte le prudenze del caso, i consumi non stanno arretrando e l’occupazione segna ancora incrementi positivi, anche se qualitativamente non soddisfacenti (ci sono in giro troppi contratti a tempo determinato), la questione è – come spesso si dice – tutta politica. Sebbene il Governo sia stato insediato, con un voto da maggioranza blindata, l’incertezza – che è componente non secondaria quando si tratta di finanza – continua ad aleggiare sulle quotazioni di borsa e sugli scambi dei titoli di Stato.

L’incertezza è l’altra faccia dell’inaffidabilità. Vari ed autorevoli membri del Governo si stanno sbracciando nel rassicurare tutti che l’Italia non vuole uscire dall’euro, che è fedele ai Trattati europei, che intende restare nei parametri comunemente definiti, anche se intende trattare con maggiore durezza dei precedenti Governi. Ma nello stesso tempo, in modo alquanto sgangherato, stanno lanciando messaggi di spesa, a dir poco, “larghi di manica”. E le due cose non stanno insieme. Anzi, fanno alzare il livello di attenzione sulle nostre vicende e per non rimanere sorpresi, i mercati internazionali, la finanza per bene e quella speculatrice, i consulenti economici e i possessori dei nostri titoli di credito pubblici tengono sotto pressione la nostra “montagna incartata”, il debito pubblico.

Non c’è nessun complotto in atto. E anche quando si disse insistentemente che si stava tramando contro il Governo in carica, quello di Berlusconi, nel novembre del 2011, la realtà era più semplice: quel Governo non prese coscienza, in tempo giusto, della situazione e l’aveva fatta deteriorare al punto che il successore, quello Monti, ha dovuto prendere decisioni di lacrime (della Fornero) e sangue (degli esodati). L’attuale Governo farebbe bene a non ripetersi. Se vuole fare errori, che almeno siano nuovi. Ovviamente, sarebbe bene che non ne facesse affatto e fosse conseguente alle affermazioni di solidarietà europea che continua a ripetere.

Prenda sul serio la questione del debito pubblico. Non insegua scorciatoie che, di tanto in tanto, qualche economista in cerca di notorietà ci propina. Tipo mutualizzazione o ripudio di tutto o in parte il debito, ciascuna corredata da congegni tecnici sofisticati. Tenga presente la composizione dei creditori ed agisca di conseguenza. Oggi, il 6% del debito è nelle mani delle famiglie, delle imprese e dei piccoli investitori; il 16% è detenuto dalla Banca d’Italia; il 32% dagli stranieri; il 46% dalle banche, fondi, assicurazioni italiani. Perdere la fiducia di una sola di queste categorie di risparmiatori, è fare male alla maggior parte degli italiani. Forse si danneggerebbe qualcuno di questi possessori di titoli, dato che molti svenderebbero o non, ma sicuramente non favoriamo né gli investimenti in Italia, né l’occupazione. Si interromperebbe il ciclo virtuoso, sia pure tenue che si è avviato, e ripiomberemmo in un mare di guai.

Uno che ne capisce, come Carlo Cottarelli, non ha dubbi: “la strada maestra consiste nel combinare una moderata austerità fiscale con riforme che innalzino il tasso di crescita del nostro PIL” (in Il macigno, Feltrinelli, 2018 pg. 162). Il debito ha una dimensione così vasta – 2.286.450 miliardi di euro – che non c’è misura miracolistica che possa ridimensionarlo senza fare danneggiamenti pesanti sui bilanci familiari e delle imprese. Può essere sgonfiato con un programma di lunga lena 3/5 anni che operi sui due corni della questione che ha indicato Cottarelli.

La prima è quella della fiscalità. Invece di dare fuoco alle polveri della flat tax, sarebbe bene non solo essere sicuri che ci sono i soldi per la copertura finanziaria per evitare l’aumento dell’IVA, ma anche un piano di attacco dell’evasione di questa tassa. Essendo la voce più consistente del mancato introito da parte dello Stato, l’aggressione di questo bubbone vale molto più che l’una tantum di quella “pace fiscale” (alias condono) di cui si parla in questi giorni. Estirpare la mala pianta dell’evasione dell’Iva è un “una semper” più vantaggiosa. Non si tratta di partire da zero, ma di proseguire sulla strada tracciata da Padoan e semmai di inasprire i controlli e le pene.

Inoltre, è tempo di proporre all’Unione Europea di eliminare i “paradisi fiscali” che esistono al suo interno. E’ insensato che persistano condizioni di tassazione di base differenziate tra gli Stati membri. Sarebbe un segnale importante sotto molti aspetti. A scala mondiale, perché accelererebbe l’impegno a smantellare gli offshore e a controllare maggiormente la circolazione dei capitali. A scala europea, perché rafforzerebbe la normativa bancaria e ridurrebbe le possibilità e gli spazi di speculazioni. La seconda questione, attiene alla necessità di aumentare la produttività del sistema Paese. Il Governo Renzi ha avviato un ammodernamento della Pubblica Amministrazione, una risistemazione della macchina giudiziaria specie civile, una riqualificazione della sanità, un potenziamento delle reti materiali ed immateriali. Si tratta soltanto di proseguire nell’azione di attuazione dei nuovi processi che devono essere implementati. Se si andasse a rilento, se addirittura si tornasse indietro sarebbe immediatamente percepito come una volontà non riformatrice, con effetti immediati sui comportamenti dei creditori.

Il debito pubblico accumulato negli ultimi 30 anni ha avuto una funzione essenziale per rendere l’Italia uno tra i Paesi più moderni, con alcune punte di eccellenza, come la longevità dei propri cittadini. Non è stato soltanto spreco, ruberie, alimentazione di rendite di ogni tipo. Ma se tutto questo scomparisse, lasciando sul campo soltanto soluzioni, strutture, idee efficienti ed essenziali avremmo la felice opportunità di vivere meglio e vedere scemare le apprensioni sulla precarietà della “montagna incartata”.

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