Nella propria strategia di tutela dei lavoratori, nel momento in cui si capì che la pandemia richiedeva soluzioni drastiche come la chiusura delle fabbriche, degli uffici, delle attività del terziario privato e pubblico – salvo quelle di prima necessità – tre sono state le principali decisioni prese dal sindacato: favorire il ricorso allo smart working, costituire i comitati per la sicurezza nei luoghi di lavoro, bloccare i licenziamenti. Tutte hanno avuto successo e hanno compartecipato ad assicurare una gestione dell’emergenza sanitaria senza drammatici momenti di panico e scontento.
Delle tre, quella che è più fragile è la terza. Le altre due godono di una prospettiva solida e proiettata nel futuro e su cui si può discutere sul come e su quanto possono crescere di consistenza e utilità. Ciascuna di esse meriterebbe attenzione superiore a quella che si intravede sia da parte degli attori principali, sia da chi studia l’evoluzione del lavoro e dei diritti e doveri a esso connessi. Non hanno le caratteristiche di provvisorietà proprie della misura sui licenziamenti, anzi si configurano come modalità e strumento di lungo corso.
La fragilità del blocco dei licenziamenti è nelle cose. Riguarda soltanto i lavoratori a tempo indeterminato; infatti, il calo occupazionale da marzo ad oggi è formato in stragrande maggioranza dagli assunti a tempo determinato, soprattutto giovani. Per molte aziende aderire alla richiesta non è costato nulla, dato l’intervento generalizzato di tutela deciso dello Stato. Anche quelle che hanno posto in cassa integrazione il 100% dei dipendenti e sono certe che non riapriranno, non si sono sottratte a questo prolungamento di esistenza. Ai lavoratori coinvolti non è andata via la paura di un domani incerto. In ogni caso, i sindacati sanno benissimo che, anche se fosse possibile un proseguimento sine die del provvedimento, non si farebbe un buon servizio a chi è incappato in questo guaio. E’ come dire: “arrangiatevi come potete” e com’è noto l’approdo più vicino resta sempre il lavoro nero.
Probabilmente, il blocco travalicherà, sia pure di poco, finanche questo infausto 2020. Ma senza soverchie illusioni. Occorre guardare in faccia la realtà e trovare i rimedi migliori. La realtà è chiara a tutti. Si profila un cambiamento di qualità delle produzioni e dei consumi, all’insegna della sostenibilità ambientale in quanto urgenza acclarata, della digitalizzazione spinta in ogni campo di attività, della ricerca e dell’educazione in tutte le loro sfaccettature. L’Europa ci sosterrà negli investimenti soltanto se ci muoveremo in questa direzione. Il più rapidamente possibile. Questo significa che non tutto quello che si produceva prima sopravviverà, ma molto di ciò che si costruirà avrà bisogno di produttori nuovi, di lavoratori qualificati e carichi di esperienza, di servizi alle persone e alle aziende di inedite proporzioni.
L’attendismo non giova ai giovani che hanno già perso il lavoro e a quelli che potranno perderlo quando lo scudo del blocco dei licenziamenti verrà meno. Occorre subito definire una strategia di vera tutela degli uni e degli altri. Essa deve fare perno su due scelte:
- Per le attività che hanno prospettive produttive ma devono fare investimenti innovativi, la tutela dell’occupazione passa per i contratti di solidarietà passivi ma anche attivi, per consentire l’assunzione di persone qualificate e corrispondenti alle competenze necessarie e non recuperabili all’interno. Questo implica qualche modifica della legislazione esistente al riguardo e soprattutto che rientri nel finanziamento europeo.
- Per facilitare la riassunzione dei lavoratori non riconfermati dopo la fase di blocco dei licenziamenti e comunque per tutti gli adulti da ricollocare ci vuole un soggetto nazionale che si specializzi nella formazione continua, che si faccia carico della riqualificazione, eroghi la copertura salariale per tutto il periodo di formazione e di ricerca del nuovo posto di lavoro.
- Per meglio gestire questo percorso non semplice sarebbe importante che si costituiscano comitati tra aziende e sindacati di valutazione delle esigenze occupazionali, specie nelle realtà che presentano progetti di finanziamento europeo, sulla falsariga dei comitati della sicurezza.
Data l’urgenza, per non sprecare tempo prezioso, l’adozione di queste scelte appare come l’unica strada per accrescere fiducia, in un mare di incertezze dovute prevalentemente dalla resilienza del Covid 19. Non ci vuole coraggio, ci vuole lungimiranza. Soltanto così, la classe dirigente italiana – istituzioni, partiti, corpi intermedi, mondo dei media – riuscirà a corrispondere a ciò che ha saputo fare nella fase dell’emergenza.