Oggi è la festa della Repubblica. I nostri occhi saranno attirati dal Tricolore che sventola e ci ricorderemo quanto sia bello essere e sentirci italiani. E quanto dobbiamo ai Costituenti e agli uomini e alle donne del dopoguerra, che scelsero la Repubblica come destino e fatica di tutti: il piacere e la fatica di contribuire allo sviluppo economico e sociale della nazione. Il piacere e la fatica dei diritti e dei doveri inderogabili di solidarietà sociale in una comunità che chiamiamo Patria.
Oggi canteranno l’inno e sventoleranno il Tricolore anche tanti ragazzi che sono italiani di fatto e non di diritto. Sono minorenni che conoscono il dialetto bresciano e napoletano, che non ricordano e non conoscono la città lontana in cui sono nati i loro genitori. Sono bambine che prendono 10 in grammatica italiana avendo i genitori albanesi. Che non si sentono e non sono stranieri. A loro, oggi, ancora una volta, chiederemo di stare con noi a sorridere alla democrazia e ai diritti e a non cedere alla rabbia e alla frustrazione.
Il Parlamento ce la farà. Avremo una nuova legge sulla cittadinanza. Finiremo il cammino che abbiamo iniziato nel 2012 con la raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare fatta con tantissime associazioni e un comitato nazionale che da sindaco di Reggio Emilia mi hanno onorato di presiedere, “L’Italia sono anch’io”. Siamo fiduciosi che, come si è trovato un accordo su altro di cui tanto si è parlato in questi giorni, si troverà il tempo per festeggiare la Repubblica dando una nuova legge di cittadinanza più giusta e che ha già visto una mediazione politica e l’approvazione alla Camera.
Oggi ricorderemo che per la prima volta si votò per la Repubblica e che avvenne con il suffragio universale. Si, perché fino a pochi mesi prima c’era tanta gente che aveva paura di allargare i diritti. Dare il voto alle donne sembrava un rischio grande. Pensiamo a cosa sarebbe l’Italia senza il contributo democratico delle donne. Se vinti dalla paura i politici avessero pensato ad una forma di Patria scelta ed amata da pochi. Ogni volta che si è stati capaci di allargare la sfera dei diritti e di far sentire ognuno parte di una comunità, abbiamo migliorato noi stessi ed il nostro Paese. Che male ci può venire se un ragazzo nato in Italia in una famiglia stabile da tempo diventa italiano o se lo diventa dopo che ha completato un ciclo di studi invece che attendere fino alla maggiore età? Guardiamolo bene: è lo stesso che gioca in cortile con nostro figlio, che appoggia male la bici davanti al cancello della scuola. Guardiamoli bene. Loro guardano noi e ci dicono: “Non fateci vivere situazioni che ci fanno sentire quelli che non siamo. Lasciateci studiare e costruire il nostro futuro con serenità, e ricordatevi che italiani ci sentiamo dentro per davvero”.
Sono stranieri coloro che praticano il male. Così disponeva Alessandro Magno. E alle origini del mito fondativo di Roma si narra che ognuno pose una manciata della propria terra nel perimetro tracciato per far nascere la nuova città. Diamo dunque a questi giovani la possibilità di vivere da uomini liberi, come parte di una comunità, nei diritti e nei doveri, prendendo parola nelle decisioni per il bene comune e contribuendo a realizzarle.
*Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti in la Repubblica del 2 giugno 2017