Nella costruzione di un nuovo modello di sviluppo è stato fatto sicuramente un passo avanti quando è stato approvato nelle sedi istituzionali il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con il suo corredo di disponibilità economiche capaci di garantirne la fattibilità.
Nel sentire comune, sembra siano sempre più chiari i valori dello sviluppo sostenibile (anche nelle sue potenzialità di produrre occupazione giovanile e di genere) e i disvalori di ciò che è insostenibile per il benessere ambientale e umano.
Come sempre il passaggio dalle dichiarazioni verbali (le buone intenzioni) alle buone pratiche è lento e incerto perché, come in tutti i cambiamenti, non sono chiare le complessità imprenditoriali e gestionali che dovranno individuare e formare i soggetti costruttori, attuatori e produttori del cambiamento. I grandi passaggi innovativi, come la sostenibilità dello sviluppo, hanno bisogno di cultura, formazione e professionalizzazione su cui disegnare e assegnare ruoli e competenze.
Per il passaggio alle buone pratiche, l’attenzione e l’azione devono concentrarsi su chi saranno i soggetti del cambiamento e come le buone pratiche saranno realizzate, ma è con l’aiuto dell’esercizio culturale che si dovranno individuare e costruire i soggetti promotori e attuatori, il mercato del lavoro, e le modalità in cui si riarticolerà il sistema di governo e dei servizi. Per ripetere l’adagio, dobbiamo definire con quale cultura e formazione sociale e imprenditoriale, e con quali strumenti di mobilità fisica e di rete saranno realizzate.
La prima azione da realizzare è l’avvio di un vasto processo culturale e formativo che destini le risorse alla ricerca, alla conoscenza, e alla formazione (istituzionale, imprenditoriale e del mercato del lavoro), riassegnando un ruolo importante alle Università e agli Istituti di Ricerca che devono ritrovare tutta la ricchezza della loro storia. Devono riacquistare il loro ruolo imprescindibile nella ricerca di base (che è la madre di tutte le ricerche applicate e che solo lo Stato può finanziare) e la loro vocazione territoriale in un rapporto virtuoso con i tessuti sociali, produttivi e istituzionali a garanzia e qualità della ricerca applicata.
Per partecipare alla realizzazione delle modificazioni strutturali dello sviluppo, l’Università deve praticare una doppia strada: quella storica, che la vede impegnata nella formazione di base (formazione delle arti liberali), e quella che per similitudine con la ricerca, può essere chiamata formazione applicata. Con la prima, vengono formati i soggetti, oltre che sulle conoscenze consolidate anche su quelle che derivano dalle nuove ricerche; con la seconda l’Università partecipa, collabora, coordina e offre strumenti, metodologie, spazi fisici e culturali, alla qualificazione e riqualificazione del mercato del lavoro.
Queste qualificazioni/riqualificazioni sono fondamentali, e ci rendono consapevoli che ogni spesa in cultura e formazione diventa investimento sociale e professionale, e quindi permette di costruire attività e ricchezze. Sono queste che, nascendo da un nuovo modello di sviluppo, hanno bisogno di nuovi paradigmi, nuovi soggetti e nuove tendenze.
Nella territorializzazione dell’insegnamento e della ricerca possiamo e dobbiamo trovare le garanzie perché il nuovo sviluppo si poggi su paradigmi ben piantati nella cultura. Università e Istituti di Ricerca, forti delle conoscenze proprie delle ricerche di base, devono collaborare con i loro saperi e le loro prassi alla formazione e alla riformazione del mercato del lavoro e dei soggetti istituzionali.
L’analisi della realtà attuale non è confortante, e non solo perché i finanziamenti per ricerca e formazione sono stati ridotti al lumicino, ma anche perché la realtà fino ad oggi è stata troppo legata al pragmatismo e troppo poco alla teoria, troppo alla ricerca di ricchezze immediate invece che alla ricerca del sapere su cui costruire sostenibilità e armonia, equità e solidarietà. Una simile realtà ci obbliga a una legittima incertezza e alimenta il dubbio sulla possibilità di un passaggio immediato tra passato e futuro, dove il passato si è costruito sull’economia di settore e non di sistema, sull’uso indiscriminato delle risorse ambientali e disinteressato alla salute degli ecosistemi.
Però sappiamo che, volenti o nolenti, dobbiamo cambiare e dobbiamo individuare, costruire, formare i soggetti del cambiamento e le forme su cui realizzarlo. Per questo il processo d’individuazione, costruzione e formazione dei soggetti del cambiamento dovrà avere la sua matrice nella cultura e nella formazione, mentre le forme di gestione del cambiamento avranno il fulcro realizzativo nell’uso del digitale. È con il digitale che possiamo costruire un rapporto importante tra i luoghi fisici (di esercizio) e i non luoghi (della rete) e sarà il digitale che dovrà dare al non luogo la funzione di rendere semplice e rapido il governo del cambiamento verso il reale sviluppo sostenibile.
Questo processo di formazione e ri-formazione deve essere guidato e alimentato dalla cultura, dalla scuola e dalla ricerca.
È questo processo di progettazione-formazione che dovrebbe essere prioritario rispetto alle realizzazioni. Ma i tempi come sempre sono stretti e le risorse del PRNN devono essere spese in breve tempo; auspichiamo che ci sia almeno la contemporaneità.
In tutti i casi sappiamo che sarà solo questo processo di consolidamento e promozione diffusa di nuova cultura, che garantirà il futuro e il passaggio da una cultura dell’uso (o, come direbbe Eric Fromm, dell’avere) a una cultura dell’essere (sempre citando Fromm).
Dobbiamo ritornare ai concetti di Sapere e Conoscenza e far sì che invadano i territori per una grande campagna formativa e culturale che utilizzi studenti, giovani ricercatori, professori, luoghi del sapere.
L’attuazione del PNRR deve prevedere le risorse per questa costruzione culturale della sostenibilità. C’è bisogno di una fase di territorializzazione dei saperi che insieme alle buone pratiche esistenti, alle start up e agli spin off sia capace di entrare in dialogo operativo in e con le comunità locali per distribuire e moltiplicare nuova cultura e nuovi saperi.
Superiamo il passato e la congiuntura
Se analizziamo i comportamenti della e nella società (manifestazioni, richieste di singoli e di associazioni, dichiarazioni di partiti e di politici/amministratori) che si sono registrati negli stessi giorni in cui si approvava il PNRR, vediamo come le richieste siano incentrate sui ristori e sulle riaperture; non solo il ripristino del passato prevale su qualsiasi ipotesi di ricollocare aziende e attività in un panorama futuro, ma è evidente il dubbio imprenditoriale che emerge in molte interviste nelle quali si è provato a ragionare sulle convenienze realizzabili con il nuovo modello di sviluppo. Il risultato, purtroppo evidente, è che molte diseconomie del passato continuano a rimanere al centro delle richieste e a essere dichiarate indispensabili. La domanda sociale e imprenditoriale è rivolta prevalentemente a ri–garantire persone e società con lo stesso criterio con cui si riapre la casa dopo una vacanza.
Questa condizione è un problema che ha bisogno di tempi lunghi per essere superato ma per fortuna sociale e culturale ci sono già alcune alternative rappresentate (come accennato) da start up e pin off che si muovono nel rinnovamento dell’età, della mentalità, della cultura, della digitalizzazione.
Eppure, nel periodo della pandemia sono state operate scelte riorganizzative che hanno risposto e supplito alle carenze dei servizi del welfare che sono stati tagliati negli ultimi decenni.
Su queste considerazioni diventano legittime alcune domande:
- Perché, anche in presenza di deficit palesi, non abbiamo colto l’occasione per sperimentare nuovi assetti, formazione del sapere, riorganizzazione della produzione e dei servizi?
- Perché i lunghi periodi di cassa integrazione non si sono tramutati in periodi di formazione e riqualificazione?
- Perché, stando ancora nel guado, non ci affrettiamo a pensare e sperimentare, invece che chiedere il ripristino sic et simpliciter del conosciuto?
Certe volte viene da chiedersi da dove nasca questa grande miopia in un Paese che esporta cervelli (forse la risposta è proprio in questa esportazione).
In tutti i casi la risposta si tramuta in altre domande:
- Chi sono e dove sono i soggetti sociali ed economici preposti a pensare, produrre e governare il cambiamento?
- Come e dove è la cultura sociale, imprenditoriale e istituzionale per riorganizzare istituzioni, associazioni e mondo del lavoro?
Formare, ri-formare, specializzare il mercato del lavoro
È evidente che un nuovo modello di sviluppo passa per nuovi lavori, nuove imprese, nuovi investimenti.
Tutto questo nuovo dovrà essere costruito con interventi strutturati e progettati sia sui princìpi generali della qualità e dell’equilibrio sia sulla specificità e struttura dei luoghi.
Per attuare il passaggio alla sostenibilità dei processi, delle produzioni, della formazione di ricchezza (equa e solidale), abbiamo bisogno di soggetti che prendano il timone ora che nel porto brulicano barche piene di risorse economiche e innovative.
Ragazzi miei, studenti, giovani ricercatori, non andate all’estero: rimanete nel vostro e nostro Paese, studiatevi bene le infinite occasioni riposte nei finanziamenti e proponetevi come timonieri di un nuovo equilibrio costruito sullo sviluppo sostenibile, equo e solidale.
Chi e come: ripartiamo dallo sviluppo locale e dal progetto di comunità
Non avremo nessun nuovo sviluppo e nessun rinnovamento se non sarà costruito in un grande cantiere culturale.
È in questo cantiere che dobbiamo porre l’invariante dello sviluppo verde e sostenibile, realizzato nel rispetto degli ecosistemi ambientali e di quelli umani, sull’equa distribuzione della ricchezza, sulla piena occupazione, sulla parità di genere e di generazione, sulla riorganizzazione delle comunità in agglomerati insediativi (urbani e diffusi) figli del futuro.
Su “Chi” la risposta è semplice: i figli della cultura, del sapere, della formazione.
Su “Come” partiamo da una considerazione funzionale: il nuovo sviluppo deve essere tecnologicamente sorretto da piattaforme digitali capaci di coordinare i processi, garantire formazione e assistenza progettuale e di mercato, superare le strettoie della burocrazia, offrendo cultura promozionale, servizi, semplificazioni.
Tre sono i verbi che dovranno essere presenti e praticati da coloro che si proporranno al timone per definire il “Come”: progettare, formare, gestire.
Non esiste sviluppo sistemico, ecologicamente e socialmente sostenibile, se Istituzioni ed Enti Locali non ne diventano co-soggetti insieme agli attuatori e alle organizzazioni territoriali del lavoro e della produzione. Questo insieme sociale deve favorire, promuovere e monitorare i processi tesi alla valorizzazione delle risorse locali, partecipare alla formazione e alla professionalizzazione dei timonieri, dell’imprenditoria (collettiva e individuale), del mercato del lavoro.
Oggi serve un grande sforzo rigenerativo perché molti si sono adagiati su un’economia che per alcuni è scivolata liscia, anche se trasportati dalla corrente di un fiume ormai in secca; ma la crisi del 2008, la pandemia, i cambiamenti climatici, i dissesti idrogeologici, l’iniqua distribuzione delle ricchezze, le difficoltà sociali e individuali, hanno drammatizzato i processi rendendo sistemica la crisi.
Il risultato è che non abbiamo più e solo le crisi di settore ma una crisi dell’intero sistema ambientale, sociale ed economico Non potendo finanziare le perdite, e non potendo più aumentare le spese per un deficit già siderale, dobbiamo usare tutte le risorse economiche per finanziare gli investimenti; sono proprio gli investimenti su attività sane e proiettate nel futuro sostenibile che creeranno ricchezza e qualità sociale e ambientale.
Le condizioni
Sono queste le condizioniper cambiare i paradigmi dello sviluppo e gestire le modificazioni dell’organizzazione, dell’impiego delle risorse umane e materiali, dei criteri, dei metodi e delle tecnologie di gestione? Se sì, è in questo processo che dovremo cambiare anche termini consolidati: territorio in ecosistema, economia di settore in economia circolare, economia circolare in economia sistemica, sviluppo in sviluppo sistemico sostenibile.
Questi cambiamenti hanno bisogno di strumenti culturali e formativi capaci di mettere in relazione il globale con il locale, i luoghi fisici della realizzazione materiale delle merci e dei servizi, con i luoghi tecnologici, informatici e digitali preposti alla gestione delle conoscenze e delle informazioni, della formazione del capitale umano, dei processi.
I cambiamenti hanno anche bisogno di un apparato istituzionale preparato e documentato, capace di promuovere le opportunità e di sorreggere innovazione e innovatori. Bisogna costruire un processo di nuova partecipazione istituzionale-imprenditoriale-sindacale che garantisca la cooperazione e i valori aggiunti che solo le attività sinergiche e complementari possono offrire.
Se è questo il sistema che vogliamo realizzare, sappiamo che si costruisce scegliendo in un insieme e che è figlio di teorie e razionalità; per questo gli deve corrispondere un adeguato sistema amministrativo, sindacale e imprenditoriale.
L’esempio più semplice da fare per l’Italia dei mille paesaggi urbani e agrari, montani e marini riguarda i prodotti di qualità artigianali, gastronomici, della piccola e media impresa, di tutti quelli che nel secolo scorso hanno creato il made in Italy. Sarà il valore aggiunto che ogni produzione e ogni settore potrà dare all’altro che coadiuverà e amplierà l’afflusso circolare dei mercati e della ricchezza, della produzione e del sapere.
Chiediamoci quanto turismo ha goduto del valore aggiunto rappresentato dalla presenza del grande artigianato italiano del made in Italy.
Oggi, ma ancor più domani, questa sinergia e complementarietà dovrà essere gestita da piattaforme digitali per il facile accesso ai non luoghi dell’informatica e perché i luoghi di realizzazione dell’economia devono essere costantemente legati alle conoscenze, alla formazione e ai mercati, ovunque si trovino.
Per questo un aspetto da realizzare e gestire in un progetto sistemico sarà la costruzione della piattaforma per la gestione della complementarietà degli investimenti, dell’uso dell’uno per potenziare, con usi derivati, tutti gli altri.
Proporre lo sviluppo con l’economia sistemica significa entrare nella filosofia del mondo sistemico con le sue regole e le sue convenienze che giudicano, valutando, il valore dei processi insediativi e produttivi con teorie, metodi e verifiche olistiche.
Lo sviluppo sostenibile e l’economia sistemica si basano sulla complementarietà funzionale delle azioni, sul rispetto degli equilibri, sul valore ecosistemico delle azioni.
Il mondo scientifico, programmatico e progettuale è capace di organizzare i processi circolari con denominatore unitario ed ha, come necessità scientifica, quella di conoscere, sempre in modo unitario, sia il sistema territoriale su cui graveranno le azioni, sia la sua nuova configurazione prodotta dalle trasformazioni.
Formazione e digitalizzazione sono fondamentali sia perché le mutabilità tecnologiche comportano adattamenti rapidi e progressivi del mondo del lavoro, sia per l’utilità che hanno le piattaforme di dialogo nella formazione e gestione dei processi, nel controllo e promozione del mercato, nel rapido adattamento delle produzioni locali alle tendenze generali, sociali e di mercato, al fine di imporre i prodotti locali su luoghi che prescindono dalle contiguità geografiche.
Il valore nella comunità
È inutile sminuire il valore che avranno le piattaforme digitali nella promozione e gestione del mercato e dei progetti, nella formazione professionale, nella gestione dell’informazione e dei servizi alle imprese, alle professioni e alle persone. Con la digitalizzazione si potranno raggiungere tre plus fondamentali:
- Usufruire delle condizioni culturali, formative, progettuali presenti all’esterno della propria enclave;
- Partecipare con facilità al dialogo sia con i non luoghi informatici sia con i luoghi fisici nei quali confluiscono gli interessi scientifici o si attuano le buone pratiche;
- Ampliare la sfera di azione al mercato e ai processi necessari al rinnovamento.
Questi plus diventano fondamentali dovendo ridefinire i paradigmi dello sviluppo e abbandonando i disvalori delle produzioni e dei consumi costruiti su modi e prodotti insostenibili.
L’obiettivo funzionale e organizzativo è quello di costruire una rete di luoghi fisici e strutturati che, utilizzando il non luogo informatico, costruiscano dialoghi di progettazione, attuazione e gestione, modificando anche la cultura dei consumi.
Mettendo a disposizione della società cultura, conoscenza, formazione e gestione, possiamo costruire una nuova relazione spazio-temporale nella quale entrano in dialogo diretto il luogo di intervento, l’insieme di conoscenze (teoriche e buone pratiche), i servizi e gli utilizzatori dei servizi. In questa nuova relazione l’insieme delle conoscenze è utile a formare i progetti locali e nel contempo ad accogliere, come verifica e buone pratiche, ciò che è stato realizzato globalmente.