Nella “Vita di Pirro”, Plutarco racconta un dialogo avvenuto fra Pirro e il filosofo Cinea sul tema del potere.
Pirro, nobile epirota, fin da giovanissimo smaniava per costituirsi un regno importante per entrare nel ristretto numero di coloro che contavano, ponendosi alla pari del Re di Macedonia, del Re d’Egitto e di quello della vasta Mesopotamia. Il sangue reale che scorreva in lui, gli avrebbe procurato, al massimo, e se tutto fosse andato bene, il trono del piccolo regno dell’Epiro che, col matrimonio della parente Olimpiade con l’Argeade Filippo II, era diventato un satellite della Macedonia. Pirro sognava in grande, studiò e si preparò militarmente per fare grandi conquiste. Ma, nato nel 319/318, era giunto alla soglia dei quarant’anni e non aveva ancora saldamente conquistato neppure il trono dell’Epiro, che gli era insidiato dai più forti vicini. Fallito il tentativo di espandere il suo regno verso est, dove Lisimaco difese la sua Tracia, Pirro cominciò a guardare ad ovest, oltre l’Adriatico. Ricordava che un suo antenato, Alessandro il Molosso nel 331 circa era partito alla conquista dell’Italia meridionale, invitato dai tarantini oramai vittime predestinate dell’espansione di Roma. Alessandro voleva conquistare prima Taranto e di lì muovere contro Roma.
Pirro era inquieto: l’invito dei tarantini nel 281 era l’opportunità che aspettava. La Magna Grecia era grande molte volte l’Epiro, era fertile, era ricca; i suoi abitanti parlavano greco, la loro cultura era greca, gli Dei erano gli stessi della Grecia; le loro città erano state fondate secoli prima delle più grandi città greche; i Tarantini, poi, erano spartani. La Sicilia aveva combattuto la grande guerra del Peloponneso a fianco degli Spartani. Agatocle, tiranno di Siracusa si era nominato Re, proprio come avevano fatto i discendenti di Alessandro il Grande alla fine del secolo precedente. Pirro doveva decidersi a cogliere ciò che il Destino gli stava offrendo per entrare nel numero dei grandi Re.
Era ospite alla sua corte Cinea, un filosofo greco; era contemporaneo di Epicuroed aveva frequentato in Atene la sua scuola, certamente ascoltò le lezioni del maestro, ma si appassionò alla politica più che alla scienza e divenne amico di Demostene. Pirro aveva bisogno di lui per muoversi sugli scenari internazionali, percapire le strategie geopolitiche dei grandi Regni che circondavano da est il Mediterraneo:aveva già sbagliato un paio di mosse ed era finito ostaggio del Re d’Egitto, non poteva sbagliare ancora. Cinea era l’uomo giusto; aveva svolto alcune missioni diplomatiche di pacificazione, era un ottimo retore. Pirro lo mise a parte del suo progetto di sbarcare in Italia.Plutarco racconta il dialogo (qui liberamente tradotto)
- “Pirro” -disse Cinea- “si sa che i Romani sono ottimi soldati e hanno sottomesso molti popoli bellicosi e molte città. Se anche, con l’aiuto di Dio,riuscissi a sconfiggerli, come potrebbe la vittoria essere a te utile?”
- “Cinea” -rispose Pirro- “la tua domanda mi sorprende; la risposta è ovvia: con la sconfitta dei Romani, chi potrà più resistermi? Sconfitti i Romani non ci saranno popoli o città in grado di opporsi alla nostra conquista e in breve tempo riuscirei a possedere tutta l’Italia, e tu sai quanto grande e ricca sia l’Italia, e quanta potenza potrei ricavare”.
- “Certo, certo “- disse Cinea, che tacque un po’ e poi disse “Dimmi Pirro: quando avrai conquistato l’Italia che cosa te ne farai?
- La Sicilia è vicina – precisò Pirro, che non riusciva più a seguire le obiezioni di Cinea – la Sicilia, mio caro Cinea, è vicina, ci chiama, e tu sai quanto sia ricca, molto più dell’Italia, ricca di uomini, di città, di terre fertili. E poi ora che è morto Agatocle non c’è un potere forte, le città sono in preda all’anarchia, a lotte fra fazioni ed in mano a demagoghi incapaci: per me sarà molto facile conquistarla”.
- “O Re, ciò che dici forse è vero – rispose Cinea – ma quando avrai conquistato la Sicilia, la tua guerra finirà lì?”
Gli occhi di Pirro erano scintillanti e lo sguardo era rivolto all’infinito. Disse:
- “Se il Dio mi concederà la vittoria ed il successo, io me ne servirò per compiere altre grandi imprese; questo è solo un punto di partenza. Potrò conquistarela Libia e Cartagine, chi me ne terrà lontano quando saranno a portata di mano? Non ricordi che Agatocle, stava quasi per conquistare queste terre, eppure aveva una flotta di poche navi? E quando avrò conquistato queste terre nessuno dei nostri nemici oserà opporreresistenza, nessuno mi guarderà dall’alto in basso. Di questo, Cinea, non puoi dubitare: nessuno mi tratterà con disprezzo”.
Il Re sospirò, il petto gli si gonfiò al pensiero che sarebbe stato invitato a banchetto dai Re della Grecia, dell’Egitto e dell’Oriente e lo sguardo volò lontano: vide dall’alto tutto il mondo che conosceva racchiuso in un quadro.
Cinea era disperato; avrebbe dovuto parlare chiaro, ma Pirro era sempre un Rementre lui non era nessuno; ci voleva cautela. Disse:
- Anch’io penso che, raggiunto un simile potere, nessuno si opporrà a te, e che sarai in grado di conquistare anche la Macedonia, di mettere tutte le città della Grecia sotto il tuo potere e teneresaldamente questo potere.”Il vecchio filosofo si fermò, rifletté un attimo, trasse un profondo respiro e, temendo il peggio, tutto d’un fiato disse: “Ma quando avrai conquistato tutto ciò che un uomo può conquistare, o Re, cosa te ne farai?”
Si zittì e rimase trepidante in attesa. Sapeva che non portava bene contrariare i tiranni. Passarono interminabili secondi. Gli sembrò di vedere delle rughe sul volto di Pirro; si era corrucciato? cosa avrebbe risposto il re?
Finalmente il volto di Pirro si distese e un sorriso gli aprì le labbra, gli occhi tornarono a guardare il vecchio filosofo innanzi a lui.
Disse:
- “Ma come, cosa me ne farò? Starò bene, anzi staremo bene insieme, amico mio. Berremo vino tutto il giorno e trascorreremo le giornate in piacevoli conversazioni”
Cinea tirò un sospiro di sollievo e pensò che poteva completare la lezione. Disse:
- Bene o Re, e allora dimmi: cosa ci impedisce,da oggi in poi, di bere vino e di avere delle piacevoli conversazioni, tutte le volte che lo vogliamo? Di sicuro già ora abbiamo tutto quello che ci serve, non ci manca nulla, possiamo già approfittare di questa opportunità che la Fortuna ci ha dato senza prenderci altri disturbi. Perché dobbiamo realizzare questo tuo desiderio dopo aver corso rischi, pericoli e causato spargimento di sangue? perché si deve infliggere a noi stessi e agli altri sofferenze e danni quando già possiamo fare ciò che hai detto?”
Avvenimenti di pressante attualità hanno richiamato alla mia memoria il dialogo riportato da Plutarco nella biografia di Pirro; la rilettura di esso fa giungere da un lontano passato un appropriato commento alle vicende che quotidianamente leggiamo ed ascoltiamo sui media e, purtroppo, ingenera pessimismo sulla capacità e sulla volontà dell’uomo di cambiare se stesso.
Pirro non si convinse di avere già quanto gli bastava e fece la spedizione in Italia, che finì come gli storici ci hanno raccontato. Anzi, neanche da questa esperienza imparò la lezione: si avventurò in altre guerre di conquista, tutte finite male; lui stesso trovò la morte per mano di una donna del popolo che ad Argo, da lui assalita, da un tetto gli scagliò una tegola sulla testa.
Altri come lui non sanno di avere già quanto basta “per bere vino tutto il giorno e fare piacevoli conversazioni”. Quanti altri tiranni, Re e condottieri nei duemila anni (abbondanti) trascorsi da Pirro ad oggi, hanno cercato di conquistare terre, città, di sottomettere popoli ed interi Paesi, causando dolori, devastazioni, sofferenze per risultati che sono stati e saranno sempre di breve momento. La storia è una continua successione di avvenimenti che modificano o cancellano quelli precedenti, ed anche tutti i più nuovi cambiamenti sono destinati a breve vita, sostituiti da altri.
Cinea lo sapeva e cercò di farlo capire a Pirro; questi ebbe l’occasione di ascoltare la voce della saggezza, ma la ignorò.
C’è stato chi – Platone – ha invocato il governo dei filosofi. Oggi ci piacerebbe che, quanto meno, al fianco ad ogni tiranno, re, uomo di potere anche finanziario ed industriale, ci fosse un filosofo, un saggio che indirizzi la sua condotta, moderandola. Siamo sicuri che se ciascuno avesse il suo Cinea lo ascolterebbe?
Il potere, ogni potere, è sordo alla saggezza.