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Conte non è De Gasperi, ma potrebbe dargli un ‘occhiata

A chi ci governa, in questo momento, non mancano dei meriti; il principale è quello di tenerci convintamente ancorati all’Europa, sia per quanto riguarda la crisi economica e sociale, sia per la gestione della crisi sanitaria. Questa doppia crisi prefigura forti cambiamenti nella società e tra le istituzioni. Non c’è chi lo nega, a parole. Ma il cambiamento può essere in peggio o in meglio. Dipende dalle scelte che si faranno, sia che riguardi le singole persone, sia che interessi le comunità.

E su quale strada prendere, le forze che ci governano (di quelle di opposizione meglio stendere un velo pietoso) denunciano tuttora un forte deficit propositivo. Nell’incertezza, si piazzano a metà del guado. Alimentano l’illusione di ritornare a come si era prima. Ciascuno al proprio posto di lavoro, di studio, di professione, di status. Ed intanto, le file per un pasto o un pacco alimentare nelle varie Caritas si allungano; le insolvenze bancarie delle imprese si accumulano pericolosamente. La politica dei bonus, dei ristori e della CIG trimestrale è una bomboletta d’ossigeno troppo modesta per tranquillizzare quote crescenti di persone e aziende in difficoltà.

Se si ha coscienza del cambiamento, coniugarlo al meglio significa prendere atto che una fase storica è finita e va costruita un’altra, con chiarezza di visione. Non è fatica ardua. L’Europa al riguardo ci ha preso per mano, finanzia soltanto un preciso tipo di sviluppo, basta crederci (e non lo dico a vanvera, se è vero che il progetto New Generation EU (NGEU) del Governo, che sta per andare in Parlamento, sia cresciuto da 209 miliardi di euro a 220, ma i finanziamenti per la digitalizzazione sono diminuiti da 48,7 miliardi a 45,8 e per la transizione sostenibile da 74,6 a 68,9). 

Invece, la fatica diventa ardua quando si apre il capitolo della gestione. Lo si è visto con la crisi politica innestata da Renzi e che ha avuto come obiettivo il Presidente del Consiglio. Conte ha dovuto ritirare la proposta di far amministrare la dotazione NGEU a un pugno di managers scelto da lui. Una ipotesi pomposa ma di basso profilo circa la qualità di sviluppo da innestare nei tempi più rapidi possibili. Per di più con una coalizione di Governo non troppo solida e coesa.

Se Conte avesse avuto un’infarinatura – non dico una conoscenza approfondita – di storia patria contemporanea, avrebbe dovuto fare come De Gasperi. Questo statista si trovò a gestire la ricostruzione dell’Italia che, dal punto di vista economico, significò delineare una transizione dall’economia agricola a quella industriale. Non dimenticò i contadini e i braccianti; anzi, non si limitò alle tutele economiche – stabilendo integrazioni ai prezzi dei principali prodotti agricoli e finanche ricorrendo all’imponibile di manodopera – ma affrontò l’ammodernamento del vivere rurale, come l’elettrificazione delle campagne.

Nello stesso tempo, mise le basi del trasferimento di quote consistenti degli addetti all’agricoltura verso l’industria. Per realizzare questa mastodontica conversione si avvalse di strutture parallele allo Stato: la Cassa del Mezzogiorno, l’IRI, l’ENI (allora AGIP). Lo Stato dotò abbondantemente questi bracci armati del suo disegno dell’Italia post bellica, assicurando – attraverso personalità di alto profilo per competenza e per moralità – che quel disegno si concretizzasse in tempi ragionevoli.   A sua volta, l’imprenditoria privata si avvalse molto di questo supporto pubblico, capace di agire per il bene comune, ma senza le rigide procedure pubbliche. 

Conte non è De Gasperi, d’accordo. Ma prendere spunto da quello che si è fatto di buono in passato non sarebbe stato male. Ovviamente, le condizioni sono diverse, ma la questione è sostanzialmente la stessa. La transizione all’economia digitale e circolare ha la stessa valenza di quella verso l’industrializzazione; la riqualificazione di tanti candidati alla mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro implica una gestione da “chirurgia d’urgenza” del mercato del lavoro; riformare gli iter burocratici – come tra l’altro sollecita la Commissione europea – è impegno di lunga lena; la fragilità della coesione della maggioranza di Governo spinge verso la rissosità immobilizzante. 

Non sappiamo ancora chi gestirà e come i fondi NGEU. Forse è un bene, perché può consentire una più approfondita valutazione sulla governance più efficace. Riguarda sia i soggetti che devono essere coinvolti per una lettura del nuovo, a partire dal mondo delle startup. Sia le strutture più adatte, perchè i progetti approvati dall’Europa non rimangano libri dei sogni.

Trattandosi di cosa non marginale, al fine di un buon esito dell’utilizzo di questo fiume di danaro che le future generazioni dovranno in parte consistente rimborsare, sarebbe utile far ricorso anche alla storia e con essa far funzionare anche la migliore ed attuale “buona creatività”. L’importante che non si venda ottone per oro, perché gli acquirenti siamo sempre noi o i nostri figli. 

 

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