Intervenire sul testo della Legge di stabilità 2014, tuttora in fase di approvazione alla Camera, può sembrare per lo meno prematuro, come ha dimostrato il macchinoso iter della prima lettura al Senato.Tuttavia, riemerge un affanno metodologico che continua a tormentare il Governo, soprattutto in materia di sistema pensionistico.
Se non si è mal compreso dai resoconti di stampa sul maxiemendamento governativo approvato al Senato, i due provvedimenti più importanti sono rappresentati dal (sostanziale) mantenimento del blocco delle indicizzazioni (fatte salve le pensioni appena superiori al minimo) e dalla reintroduzione di un contributo di solidarietà progressivo per le pensioni più elevate con esplicita destinazione del gettito al finanziamento del c.d. salario minimo.
Nel frattempo si registra un’evoluzione nel pensiero degli economisti in ordine alla tematica delle c.d. pensioni d’oro (o d’argento) che cerca di fare chiarezza su un fenomeno e che si pone il problema del “che fare oggi” al di là degli slogan.
Il legislatore non può fare a meno di tener conto delle sentenze della Corte Costituzionale che hanno sancito l’illegittimità costituzionale del contributo di solidarietà introdotto dal Governo Monti sostanzialmente perché assimilabile a un tributo e, come tale,illegittimamente richiesto a una sola categoria di contribuenti, cioè i pensionati.
Nella legge di stabilità il nuovo contributo di solidarietà dovrebbe essere destinato a finanziare l’erogazione dell’istituendo reddito di cittadinanza e, quindi, si ritiene che lo stesso prelievo rimane nell’ambito del welfare.
Non so se la soluzione del problema sia così semplice. Perché è troppo facile l’obiezione che siamo pur sempre nell’ambito della solidarietà generale.
Ma in ogni caso e ragionando in positivo, quali dovrebbero essere le caratteristiche di tale contributo che si vuole richiedere ai pensionati in modo da proteggerlo dall’illegittimità costituzionale?
Sarebbe facile attribuirlo alla fiscalità generale. Ma realisticamente sappiamo che la puntuale quantificazione del gettito impone – allo stato – di rivolgersi al sistema della trattenuta prima dell’erogazione.
E allora non si comprende perché aggredire solo i redditi da pensione. Se si vogliono colpire i contribuenti d’oro, allora il contributo va richiesto non solo ai pensionati, ma a tutti i redditi da lavoro dipendente superiori a un certo livello.
Inutile dire che reddito da lavoro dipendente è espressione tecnica e quindi deve comprendere tutti gli emolumenti erogati in occasione del rapporto di lavoro comunque denominati (fringe benefits, stock options ecc.). Così come i redditi da pensione devono comprendere anche i vitalizi et similia.
In questi giorni il Tribunale di Roma ha sollevato la questione di costituzionalità della normativa che impone il blocco della contrattazione e degli adeguamenti retributivi di tutti i dipendenti pubblici, proprio perché ritiene che una norma derogatoria così grave non può riguardare solo lo Stato-datore di lavoro.
Ed infine occorre decidersi se nell’attuale situazione sia più conveniente mandare i lavoratori dipendenti in pensione o trattenerli in servizio, ma in ogni caso salvaguardando la libera scelta del singolo per lo meno fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia, dal momento che si è sostenuto fino alla noia essere la pensione di anzianità un’anomalia italiana.
Una volta deciso però, la regola deve valere per tutti, anche per quanto concerne la determinazione dell’età pensionabile, senza invocare la salvaguardia di particolari esperienze professionali (vedi ad esempio i professori universitari e la polemica con il Ministro dell’Istruzione).