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Dalle Big Tech giganti ai Cento Fiori?

L’IA generativa

Il semaforo, il forno a microonde, il pilota automatico che guida l’allunaggio non scelgono il da farsi, ma lo eseguono e nessuno mai li ritenne intelligenti in senso umano.

Una presenza “intelligente” balenò, semmai, nel 1996 quando un supercomputer IBM sconfisse il campione Kasparov al gioco degli scacchi. Ma poi ci spiegarono che l’intelligenza non c’entrava perché, mentre Kasparov le mosse le inventava, la macchina le aveva pronte in canna, frutto di miliardi di partite condotte ottusamente, ma destinando alla memoria le sequenze che, a partire da qualsiasi disposizione di scacchiera, concludevano in vittoria.

L’intelligenza della macchina è tornata a farsi sotto nell’autunno 2022 con le IAG, Intelligenze Artificiali Generative, che analizzano testi e ne traggono repertori di frasi sterminati che scattano in risposta, congrua e faconda, alle interlocuzioni dell’utente. Da lì all’attesa del Superuomo o Messia artificiale il passo è stato breve per la fortuna dei talk show pomeridiani che hanno infoltito le scalette di nuove speranze e paure attorno a cui cianciare.

Ma neanche stavolta emerge dalla materia inerte una “persona” singolare, intelligente e capace di “sentire” (senza i cinque sensi a contatto col reale l’intelligenza non si plasma). Tant’è che GPT e compagnia “parlano” di tutto, ma di nulla hanno l’esperienza e, binariamente, dicono o tacciono se trovano le frasi che s’acconciano, ma non è cosa loro gestire quell’indicibile che del comunicare e dei rovelli umani è la parte che rileva.

Colossi fragili

Tuttavia, lasciando stare il mito dell’intelletto automatizzato, è evidente che i sistemi di IAG, in quanto capaci di “argomentare” allargano la collaborazione fra uomo e macchina alla esplorazione dei meandri del linguaggio e quindi delle stesse, umane, mappe esistenziali (concetti, grammatiche, sintassi) che ogni lingua esprime. Anche se ora è bene non fidarsi perché le IAG (due americane e la cinese), pur nate da enormi potenze di calcolo e da decine di miliardi, sovente dicono sciocchezze, sebbene in modo tanto inappuntabile che vorremmo lasciarci affascinare. 

L’origine delle sciocchezze talvolta è accidentale (errori – date, nomi, misure, etc – infilati nelle memorie della macchina), ma più spesso di “allucinazioni” (cose o situazioni evidenti per la macchina, ma per noi prive d’ogni senso) frutto non di errori, ma delle  “reti neurali” (ispirate all’umana organizzazione del cervello) quando, attraverso labirinti di software detti “apprendimento profondo” (Deep Learning), ingoiano i testi da cui “imparano” a parlare. È in quella circostanza che la memorizzazione di una qualsiasi espressione (frasi, forme, melodie) emerge da strati intricati di variabili reciprocamente soppesate e in combinazioni talmente numerose che gli stessi creatori del sistema rinunciano a comprendere e tantomeno a prevedere e guidare i “ragionamenti” svolti dal software in quegli abissi.

Il punto essenziale è che la macchina (Melanie Mitchell, L’Intelligenza Artificiale, pag.100) “impara ciò che osserva lei nei dati più che quello che osservate voi, esseri umani”. E così il primo piano bene a fuoco di un animale sullo sfondo sfocato del panorama che l’accoglie persuade il software che non-sfocato equivale ad animale siano, monti, matri o vali, anche se agli occhi nostri di esseri viventi non c’è traccia.

Sapendo che le IAG stravedono per metodo, come possiamo utilizzarle, oltre a dare la caccia alle scempiaggini? Di sicuro come partner di brain storming (contributi stimolanti di parole e idee anche sconnessi) restando a noi il lavoro duro di attestare fatti e analizzarli). Ma non è per questi impieghi, assai minoritari, che Google e Microsoft hanno speso un capitale. È possibile (ne è convinto Ben Thompson, principi degli analisti tecno-finanziari) che di queste Intelligenze gli basti la facondia, per dare compagnia a chi per sua sventura vive solo e che la pubblicità vuole tenere sotto tiro più o meno come fa la tv del pomeriggio.

Basta questo a giustificare l’impresa di GPT e Gemini agli occhi di Microsoft e Google che ci hanno messo tanti soldi? Forse no e alcuni sostengono che l’obiettivo di fondo sia di fornirci compagnia. Può darsi che in tal modo l’IA serva a chi vuole approfondire il dominio di mercato di cui gode. Ma se tutto si riducesse a questo smetteremmo all’istante di dedicare attenzione al fenomeno della IA Generativa.

I Cento Fiori

Mentre, a ben guardare, già in quello che finora se n’è visto, e proprio a partire dall’evidenza delle sue allucinazioni strutturali, balugina l’indizio di un diverso divenire: tutte le IAG funzionano a puntino e senza ombra di allucinazioni quando sono chiamate a redigere software e, dunque, ad applicare le regole chiare e mai ambigue fissate per i linguaggi di programmazione fatti per guidare, vai di qua o vai di la, le mosse di un computer. La gente del mestiere se n’è subito accorta e usa le IAG per farsi aiutare a programmare senza doverne diffidare. Similmente, un amico cercato per telefono ci ha risposto con affanno nello sforzo di uscire dalla tranche di una conversazione di matematica con GPT-4.

Il che rivela che minori sono le varianze e le sfumature di un linguaggio, più la Macchina lo elabora utilmente a fini umani. Da cui la domanda: come ridurre il tasso di ambiguità e complicazione dei linguaggi naturali, inglese, tedesco, francese, italiano, etc a beneficio di progetti di Intelligenze Artificiali Generative dense, conseguenti, mirate, ed affidabili? La risposta potrebbe consistere nel passare dalle AI giganti ai Cento Fiori.

Le IA come GPT e affini apprendono in inglese globale e quando si volgono ad altre lingue lo fanno grazie a traduttori. Lungo questa catena, chiunque abbia usato Google traduttore, capita di tutto per non dire della limitazione di sistemi che apprendono la varietà del mondo esclusivamente attraverso le strutture, cioè le mappe concettuali, di una e una sola lingua.

Per contro l’approfondimento delle mappe espressive lingua per lingua riduce le vaghezze e conduce, ad esempio, a prodotti come DPL, il traduttore di marca tedesca che spicca perché connette le lingue dopo averle “studiate” per bene una ad una.

Ecco dunque che il mercato si attrezza scindendo i mestieri. Alcune imprese si specializzano nella costruzione di Modelli Fondamentali di AIG, li noleggiano “open source”, cioè manipolabili, ad altri che li addestrano volta a volta ai propri fini.

Un Modello Fondamentale calibrato su obiettivi di tal genere pare costi attorno a un paio di centinaia di milioni e richiede tra 7 e 8 miliardi di parametri, dove GPT-4 ne mette insieme 30 volte tanto. Lavorare di precisione, evidentemente, costa meno che puntare al tutto fare e apre la via a un intero mondo di IAG strutturalmente diverse e capaci di erodere le decennali posizioni di dominio a partire dalla dalle enormi capacità di calcolo che, centralizzate in un pugno di imprese americane, ne enfatizzano il ruolo e la potenza anche a livello geopolitico.

Questa pare la prospettiva della stessa Meta, reduce dalle allucinazioni del Metaverso, ed è certamente quella di Mistral, giovane (sette mesi) società francese, finanziata da Andreessen-Horowitz, venture capital della Silicon Valley che di business in internet certamente se ne intende (Andreessen inventò il primo browser, poi Netscape ed è parte attiva di altri miracoli della Valley).

Così l’Europa, perfino con la spinta di capitali d’oltre Atlantico, e per definire nel mondo dell’industria informatica il posto che le spetta, pare avviata verso l’IAG dei Cento Fiori. Può darsi che la mancanza di Big Tech continentali si riveli alla fin fine un punto di vantaggio.

*da Domani, 11/02/2024

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