Caro Renzi,
Con queste politiche del lavoro non crei neanche un posto di lavoro.
Creare posti di lavoro in tempi di crescita bassa o nulla non è impossibile, a patto di fare politiche specifiche per periodi di bassa crescita, come dimostrano molti paesi industriali, che pur avendo avuto nel decennio 2003-2013 crescita del Pil inferiore al 2% annuo, hanno ridotto la disoccupazione ed aumentata l’occupazione.
La Germania guida questi paesi virtuosi, seguita da Olanda, Austria, Danimarca, Finlandia, Gran Bretagna e Norvegia. Tutti paesi che, pur con crescita media vicina all’1% nel decennio, hanno aumentato i loro tassi di occupazione, la Germania addirittura di nove punti, l’Austria di quattro e l’Olanda di due. Riducendo la disoccupazione intorno a livelli fisiologici, il 5%.
Come è stato possibile? Compensando la deindustrializzazione con un forte sviluppo dei servizi e ripartendo il monte ore, che si è ridotto, riducendo i tempi lavoro individuali. Gli stessi mini-jobs tedeschi, di cui tanto si parla, appartengono a questa categoria per due caratteristiche, le ore di lavoro non superano le venti ed i 450 euro di salario sono integrati sino a 1000 euro dallo Stato.
Nello stesso periodo, l’ occupazione in Italia, con un tasso di crescita del Pil simile, intorno all1% annuo, si è ridotta di più di un milione e la disoccupazione è balzata a livelli record, perché non c’è stata una politica per lo sviluppo dei servizi, turismo, cultura, istruzione e ricerca, servizi per le imprese e la famiglia, etc., a compensare la deindustrializzazione, fenomeno comune a tutti i paesi industriali e perché, al contrario di altri paesi, si sono incentivati gli straordinari e gli orari lunghi anziché gli orari corti ed i contratti di solidarietà.
L’Italia ha fatto politiche sbagliate anti-labor puntando sulle quantità e non sulla qualità, facendo pagare gli straordinari meno, finanziando col contagocce i contratti di solidarietà, aumentando l’età pensionabile a 67-70 anni, rifiutando la pensione progressiva (chi può e vuole si pensiona prima con pensione ridotta), etc. E l’Italia ha una durata annua del lavoro di 1800 ore contro le 1500 dei paesi citati (dati Ocse), che significa il 20% di orario in più, che significa 4 milioni di potenziali occupati in meno.
Caro Renzi, la crescita va ricercata con tutti i mezzi possibili ma non ti illudere che, senza specifiche politiche pro labor, idonee a periodi di bassa crescita, la ripresa possibile dello zero virgola, possa produrre gli effetti occupazionali che servono all’Italia per tornare in Europa, da cui ci dividono 10 punti percentuali del tasso di occupazione, cioè 4 milioni di posti lavoro.
C’è da aggiungere un’altra considerazione, gli effetti della bassa natalità italiana e conseguente invecchiamento sono elementi nettamente contrari alla crescita. Domanda ed investimenti languono sempre in paesi vecchi. Non è un caso che nel decennio 2003-2013 Italia e Giappone, i paesi a più bassa natalità e quindi più vecchi del mondo – 45 anni di età media contro i 35 del mondo ed i 25 dei paesi emergenti – siano stati anche quelli col più basso tasso medio di crescita del Pil, 0,8% e col record negativo degli Ide-in, investimenti diretti esteri, intorno allo 0% del Pil.
Tra i problemi che il paese ha di fronte – la riforma istituzionale e della P.A., la ristrutturazione dell’industria, un forte rilancio dei servizi, turismo e cultura in testa – la denatalità resta il problema numero 1 anche per l’economia. Per rilanciare la natalità dall’attuale 1,3 figli per donna almeno all’1,8 francese, olandese e svedese, occorrono provvedimenti contro il lavoro precario, che impedisce ogni progetto di futuro, detrazioni per i figli più consistenti delle attuali, etc.. Tertium non datur se si vuole che l’Italia non muoia di vecchiaia.
(*) Presidente della società di business intelligence Onesis di Roma