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Delega Fiscale: tra maggioranza ed opposizione prevale la fumosità

Il 12 luglio la Camera ha approvato il disegno di legge delega per la riforma fiscale passato ora al Senato. Hanno votato a favore i partiti della maggioranza e Azione e IV, contro gli altri partiti di opposizione, PD, 5stelle, AVS.

Il PD, con la segretaria Schlein, ha tenuto una conferenza stampa per spiegare il suo voto contrario e per illustrare le sue controproposte. L. Marattin ha giustificato il voto a favore di I.V. dicendo che la delega approvata dalla Camera è simile a quella presentata da Draghi e che non si spiega il voto contrario del PD che nella scorsa legislatura votò a favore del provvedimento di Draghi. In realtà quello che fu votato allora dal parlamento (solo da un ramo, la delega poi decadde) fu una versione molto diversa da quella presentata dal ministro Franco. Nella versione approvata il sistema duale presente nel testo iniziale, era del tutto scomparso sotto la pressione della destra. L’attuale delega richiama su questo punto il testo approvato dal parlamento non quello presentato dal duo Draghi-Franco che uscì sconfitto dal voto parlamentare. Semmai è vero che anche il PD votò a favore del testo parlamentare, su questo punto simile alla delega attuale.

Perché è importante questo punto? Sia la delega Draghi che la delega Meloni, così come le proposta del PD presentate dalla Schlein, rinunciano in partenza a proporre un sistema di comprehensive income tax, un sistema cioè in cui tutti i redditi personali siano soggetti ad un unico sistema di tassazione. La proposta del PD odierna, come la delega Draghi, prospetta un sistema duale in cui ai redditi da lavoro e da pensione é applicata l’Irpef e agli altri redditi (“e cioè quelli derivanti dall’impiego di capitale” è specificato nel documento PD) è applicata una sola aliquota.

Nella delega Draghi l’aliquota unica era applicata anche ai redditi immobiliari, da qui il no della destra, nel documento del PD non è specificato, ma dovrebbero essere compresi nei redditi da capitali. 

Spicca in queste proposte il diverso trattamento fiscale riservato ai redditi da lavoro (e da pensione) rispetto ai redditi da capitale, alle rendite. I primi soggetti a un’imposta progressiva (Irpef), i secondi a un’imposta proporzionale. E questo soprattutto non in un sistema astratto, teorico, ma in una situazione concreta, caratterizzata da un alto tasso di evasione/elusione che ad opera essenzialmente dei redditi da capitale mobiliare e immobiliare e di parte dei redditi di lavoro rispetto ai redditi da lavoro dipendente e da pensione soggetti a sostituto d’imposta, quindi impossibilitati a evadere.

Certo il peso complessivo del carico fiscale dipenderà alla fine da un lato dalle aliquote Irpef applicate e dall’altro dall’aliquota individuata per la tassazione dei redditi da capitale e dalla somma dell’imposizione dovuta alle patrimoniali esistenti (Imu, depositi bancari), ma la sensazione di una discriminazione, a sfavore del lavoro dipendente nel modello “reale” Italia, appare evidente.

Colpisce nelle proposte presentate dal PD l’indicazione di adottare per l’Irpef il sistema progressivo

“ad aliquota continua” (modello tedesco). 

Alcune analisi di economisti di area PD uscite negli ultimi mesi hanno messo in dubbio il dogma della progressività dell’Irpef applicata al solo lavoro dipendente alla luce dei cambiamenti nella composizione del reddito nazionale, con l’aumento del peso delle rendite e la diminuzione del peso dei redditi da lavoro. C’è un taglio drastico degli aumenti contrattuali operato dalle aliquote marginali Irpef denunciato dai sindacati. C’è un sistema Irpef che discrimina i pensionati. C’è un sistema in cui il 42,6% dei cittadini con un reddito fino a 15.000 euro paga solo l’1,73% dell’Irpef complessiva (dichiarazioni 2022).

Possibile che l’unica proposta sull’Irpef del PD sia il metodo tedesco di progressività continua che per la stragrande maggioranza delle persone non significa nulla?

Il timore è che alcune proposte contenute nella delega governativa siano più attrattive ad esempio per lavoratori dipendenti che hanno retribuzioni attorno ai 35.000 euro lordi o per i pensionati, al netto dell’intervento sulla perequazione.

Mi riferisco alla tassazione agevolata dei premi, delle tredicesime e dello straordinario e “alla progressiva applicazione della medesima area di esenzione fiscale e del medesimo carico impositivo nell’ambito dell’IRPEF, indipendentemente dalla natura del reddito prodotto, con priorità per l’equi-parazione tra i redditi di lavoro dipendente e i redditi di pensione”.

Possiamo certo dire che queste sono “marchette” nell’ambito di una delega che mantiene l’attuale sistema fatto di tanti regimi speciali e sostitutivi non toccando gli elettori di riferimento del centrodestra, certo nell’immediato risultano più intellegibili del sistema a progressività continua.

Nel contesto proposto la delega del governo non può non intervenire a mitigare la progressività dell’Irpef. Di quanto e come dipenderà dalle risorse finanziarie. E’ quindi possibile che si dovrà limitare ad alcuni, anche ridotti, interventi su tredicesime, straordinari e premi, o, risorse permettendo, potrà intervenire riducendo le aliquote o parificando il carico impositivo tra pensionati e dipendenti. Spazi per la flat tax non se ne intravedono minimamente.

Due nodi fondamentali della delega governativa sono quelli della lotta all’evasione e delle risorse e del finanziamento del welfare. Rispetto alla lotta all’evasione molto dipenderà dal contenuto dei decreti delegati (la delega espone solo dettami e principi generali), ma soprattutto molto dipenderà dall’atteggiamento del governo. I dati delle entrate del primo semestre non sono rassicuranti, Fubini sul Corriere si interroga se questo non dipenda anche da una, supposta, minore attenzione sul tema da parte del governo. Le dichiarazioni della Meloni sul “pizzo di stato” e quella recentissima di Salvini su milioni di italiani “ostaggi” dell’Agenzia delle entrate fanno pensare che Fubini abbia qualche ragione.

Ma senza un forte e rapido recupero di evasione il governo non avrà spazi di bilancio per procedere a riduzioni non marginali dei carichi fiscali e si troverà in difficoltà a finanziare lo stato sociale.

C’è un’evidente contraddizione nella destra governativa. Lo stato sociale costa, la sua espansione non finanziata dai contributi con l’Assegno Unico, la decontribuzione resa strutturale, lo rende ancora più costoso e per finanziarlo c’è bisogno delle imposte.

I governi del passato, centristi e di centro-sinistra, hanno via via aumentato le imposte sulla classe media, soprattutto composta di lavoratori dipendenti e pensionati, passando col tempo secondo V. Visco a un’alleanza tra “poveri” e ceti abbienti, una maggioranza “populista” rispetto alla maggioranza prima prevalente: quella “socialdemocratica” tra “poveri” e ceti medi. Prima la progressività era limitata in basso, ma elevata in alto, ora avviene il contrario, a spese dei ceti medi sui quali è stato scaricato un peso fiscale molto consistente che è andato a beneficio dei “poveri” e dei “ricchi” (InPiù, 10/01/2022). 

Nella proposta PD di sistema tedesco nell’Irpef si avverte il pericolo di una riproposizione di questa via, così come nelle richieste landiniane di contributi di solidarietà che per essere efficaci in termini di gettito non possono partire da redditi molto alti.

E’ una via questa che è preclusa al CD che non può aumentare le imposte, non può aumentare il debito pubblico per i vincoli europei saggiamente rispettati dalla Meloni e che quindi dovrà scegliere tra taglio delle imposte o taglio delle prestazioni di welfare. Fino al taglio del RdC e della perequazione non ha avuto particolari problemi oltre credo ne avrebbe anche dal suo elettorato.

Molto positivo nel documento del PD mi sembra il richiamo al fatto che i redditi con imposta sostitutiva non versano un euro di addizionale al comune e alla regione. Per il PD debbono essere chiamati a contribuire al prelievo comunale e regionale. Tuttavia non si capisce in quest’ottica perché a questo prelievo debbano essere esentati i redditi finanziari. Si possono capire quelli derivanti dai titoli di stato, ma gli altri perché esentarli?

Altrettanto positiva è la ripresa della riforma del catasto completamente assente nella delega governativa. Non ha alcuna possibilità di passare come proposta ma è importante che il Pd l’abbia ricordata.

Un ultimo punto da sottolineare. Sull’Ires si afferma nel documento del PD il sì a una razionalizzazione e stabilizzazione degli incentivi per gli investimenti, la formazione, la ricerca e sviluppo e l’occupazione, ma, si afferma, su quest’ultimo punto, che la via maestra è la riduzione permanente del cuneo contributivo. Su questa affermazione sollevo un grosso punto interrogativo e mi chiedo se l’estensore del documento abbia ben presente a cosa servono i contributi tagliati.

Un taglio contributivo come quello attuale reso strutturale pone due problemi: uno di struttura retributiva con il salto di retribuzione netta a 35.000 euro in cui il taglio contributivo cessa, il secondo con il venir meno delle entrate per l’Inps e la necessità (circa 10 miliardi) di coprirle con le imposte. Nulla vieta che le pensioni siano pagate dal fisco, in alcuni paesi europei lo sono integralmente, questo comporta tuttavia un cambiamento totale del nostro sistema di welfare e del suo finanziamento, basta saperlo e saperne le conseguenze. La Destra le ignora, la Sinistra?

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