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Dietro i successi, soltanto tanti sforzi individuali

L’annuncio relativo all’osservazione delle onde gravitazionali, che conferma la teoria di Einstein, ha riportato l’attenzione dei media sul ruolo e l’importanza della ricerca scientifica. Al di là del plauso e del giusto orgoglio per i risultati conseguiti, la Ricerca italiana sconta una serie di difficoltà.

In primo luogo la scarsità dei finanziamenti. Basti pensare che già l’accordo di Lisbona prevedeva che i membri dell’Unione Europea investissero in Ricerca, entro il 2010, risorse pari al 3% del PIL. Per contro, a tutt’oggi l’investimento in Ricerca dell’Italia è dell’1,3% del PIL, ben al di sotto di quanto previsto dal patto di Lisbona e della media di quanto investono la stragrande maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea, ma a guardar bene non solo questi.

In secondo luogo, la Ricerca paga l’assenza di un unico punto di coordinamento delle politiche. Infatti non esiste nel Paese una Governance in grado di coordinare e di porre a sistema le iniziative e gli attori della Ricerca: gli Enti Pubblici di Ricerca (EPR); le Università; le Imprese. In questo schema andrebbero poi ricomprese le iniziative finanziate e svolte dalle Regioni, che normalmente si muovono in modo autonomo.

La situazione diviene ancor più paradossale se si analizzano gli EPR: 21 Enti vigilati da diversi Ministeri. L’assenza di coordinamento è resa palese dall’assenza del Piano Nazionale della Ricerca (PNR), documento strategico e dovuto normativamente, considerato che l’ultimo PNR è scaduto nel 2013… Quindi poche risorse e assenza di una strategia generale!

La situazione del Personale che opera nella Ricerca non è migliore: poco e mal retribuito. Infatti, se torniamo a considerare gli EPR, i Ricercatori, i Tecnologi e i Tecnici amministrativi debbono operare e competere a livello internazionale essendo comunque soggetti alle regole proprie della Pubblica Amministrazione.

Si pensi poi che il contratto di lavoro è scaduto dal 2009. Allo stesso tempo, il contratto è l’unico strumento normativo che definisce l’ordinamento delle figure professionali che operano negli EPR e costituisce il solo elemento di trasversalità e quindi di collegamento tra i diversi Enti. Tra l’altro, nella previsione della Legge 150/2009 (c.d. Brunetta che nessuno dei Governi e Ministri precedenti ha voluto sino ad ora cambiare, per quanto riguarda la Ricerca) la riduzione dei Comparti di contrattazione, da 11 a 4, mette in discussione l’esistenza dell’unico strumento in grado di riconoscere le peculiarità professionali del personale della Ricerca.

Non aver riconosciuto specificità agli EPR ha fatto sì che fossero soggetti ad un sostanziale blocco delle assunzioni; la stessa Legge Finanziaria 2016 reitera i limiti all’utilizzo del turn over: ogni 5 Ricercatori che andranno in pensione sarà possibile assumerne 3, con le regole ed i tempi propri della Pubblica Amministrazione, mentre nel caso di Tecnici specializzati o di personale amministrativo di supporto, a fronte di 4 pensionati sarà possibile acquisire 1 unità di personale.

D’altra parte, il Personale è sicuramente necessario per assolvere ai compiti istituzionali degli Enti, per competere in particolare a livello internazionale e per mantenere ed esprimere le eccellenze del Sistema.

L’impossibilità di assumere ha prodotto un livello allarmante di precariato: sui 32.000 dipendenti degli EPR circa 1/3 sono precari, assunti con contratto a termine, quando va bene, piuttosto che con contratti di collaborazione o assegni di ricerca o con borse di studio.

In questo quadro, diviene quasi obbligatorio per molti dei nostri giovani recarsi all’estero per esercitare la loro professione.

Non è preoccupante se un Ricercatore o un Tecnologo nel corso della propria carriera fa un’esperienza di lavoro all’estero. Chi fa questo mestiere sa benissimo che lo scambio di esperienze è di comune arricchimento. E’ allarmante invece constatare come il nostro Paese non sia in grado di offrire prospettive ai nostri talenti, sia quelli che restano in Italia (troppo spesso come precari) sia quelli che si recano all’estero con scarse probabilità di rientro in Italia.

Tra l’altro, i Ricercatori italiani sono tra i primi per la capacità di acquisire risorse partecipando ai bandi finanziati dall’Unione Europea. Infatti nel precedente Programma Quadro, il CNR si è classificato al quinto posto in Europa, tra tutti gli Enti e le Università, per le risorse acquisite (primo il CNRS francese, con 25000 addetti a fronte degli 8500 del nostro CNR). D’altra parte, abbiamo finanziato progetti per 14 miliardi di euro acquisendone 8, segno evidente che i numeri contano, al di là delle eccellenze dei singoli.

Un’ulteriore prova è l’assegnazione degli ultimi Grants finanziati dall’ERC European Research Council, con i Ricercatori italiani che sono risultati vincitori in 30 progetti, ma 17 di questi verranno svolti all’estero. Per contro, un solo progetto vinto da Ricercatori stranieri sarà realizzato in Italia, a conferma della scarsa attrattiva del Paese per la Ricerca e per i Ricercatori.

E’ stato stimato che la formazione del Ricercatore costa circa 800 mila euro al nostro sistema, quindi ogni volta che un Ricercatore si reca all’estero regaliamo ai nostri competitori importanti risorse umane, che a guardar bene sono la vera ricchezza del nostro Paese.

La Federazione Italiana Ricercatori (FIR CISL), insieme alla Confederazione, sta intensificando le proprie iniziative affinché si passi finalmente dalle generiche affermazioni alla concretezza dei fatti.

Assodato che nelle moderne società della conoscenza la competizione si basa sulla capacità di innovare piuttosto che sul costo del lavoro.

La FIR è fortemente convinta del paradigma Ricerca-Innovazione-Sviluppo-Qualità della vita. La FIR pertanto ritiene necessario che finalmente venga realizzata una governance unica della Ricerca, vengano definiti ambiti normativi che tengano conto della peculiarità del personale tutto della Ricerca e ci siano finanziamenti adeguati. In particolare alla Ministra Giannini e al Governo tutto abbiamo chiesto di rendere pubblico, se esiste, il loro progetto sulla Ricerca.

Con la consapevolezza che qualsiasi progetto ha bisogno di una idea, di una programmazione, di risorse economiche ed umane per essere realizzate.

Si pensi che la partecipazione italiana alla Ricerca sulle onde gravitazionali parte da una idea di circa 40 anni fa.  L’avvio del progetto è di circa 20 anni orsono, con la costruzione del laboratorio Virgo, che fa capo al Consorzio Ego (European Gravitational Observatory) fondato e finanziato da Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e Consiglio nazionale delle ricerche francese (Cnrs). In questo laboratorio c’è tanta Ricerca e tanta Innovazione tecnologica ma, come detto, sono frutto di una seria programmazione. Deve essere chiaro che il terreno perso oggi, nei confronti dei nostri competitori internazionali, probabilmente non sarà recuperato domani. Il Paese deve avere la consapevolezza che, se non facciamo oggi quello che è necessario fare per difendere e valorizzare questo Settore, domani sarà troppo tardi.

Proprio per questo la FIR continuerà la propria azione nei confronti del Governo con la consapevolezza che la Ricerca è una risorsa fondamentale per il Paese. 

 

(*) Segretario Generale FIR Federazione Innovazione e Ricerca – CISL

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